Tótem – Il mio sole, recensione del film di Lila Avilés

La giovane regista messicana Lila Avilés ci conduce alla scoperta di un piccolo, ma fortissimo, sole, capace di tenere insieme una famiglia intera.

Totem - Il mio sole recensione film

Tótem – Il mio sole, dal 7 marzo nelle sale italiane con Officine Ubu, è la nuova pellicola della regista messicana Lila Avilés, una storia febbrile e sorprendente in cui l’universo dell’infanzia, della famiglia, del femminile e del soprannaturale convivono in modo magistrale. Pur possedendo sempre uno sguardo e una personalità molto specifici, riecheggia una tradizione a cui appartengono voci così diverse e ambivalenti come quelle della peruviana Claudia Llosa e delle argentine Lucrecia Martel e Lucía Puenzo, costruendosi a partire da e attraverso questi quattro vortici concomitanti che si avvicinano e si respingono costantemente.

 

Tótem – Il mio sole, la trama: vita e morte attraverso gli occhi di Sol

Tótem – Il mio sole racconta una giornata nella vita di Sol (Naíma Sentíes) e della sua famiglia allargata di cugini, zie, zii e amici nella cornice della casa (e dello studio) del nonno, dove si festeggia il compleanno del padre, che vive lì. Il giovanissimo Tona (Mateo García Elizondo) è in pessime condizioni fisiche, vittima di quello che sembra essere un cancro fulminante, ed è chiaro che non gli resta molto da vivere, che quello che si sta preparando è più un addio che altro. Fa fatica ad alzarsi dal letto, non vuole farsi vedere così (nemmeno dalla figlia), ma la sua presenza/assenza assorbe e mette in ombra tutto ciò che c’è al di fuori della stanza buia dove viene accudito da Cruz (Teresita Sánchez), una donna gentile che lo assiste.

Tuttavia l’azione si svolge, per la maggior parte, fuori dalla stanza, mentre i parenti di Tona preparano la festa in questione – cucinando, bruciando cose, affrontando problemi personali, ricevendo aiuti inaspettati e insoliti e continuando a lavorare. In uno stile di caos e cacofonia da famiglia allargata, ciò che accade in quella casa assume un tono di comicità assurda e a volte persino nonsense, con situazioni nervose ed esilaranti, ma sempre oscurate dalla tacita evidenza della morte.

Il sole in una stanza

Sol, nel frattempo, andrà per la sua strada, rimanendo un’ansiosa osservatrice della situazione. Non le è permesso vedere il padre, la madre è al lavoro, gli zii sono persi nel loro universo e lei vaga da sola per la casa rovistando negli stivali, ponendosi domande esistenziali al cellulare, toccando (e rompendo) cose, facendosi compagnia con gli insetti, i molluschi e le altre piccole creature che circolano per la casa. Quando la festa inizierà, sarà l’unica a non voler partecipare; oppure lo farà, ma a modo suo.

Tótem – Il mio sole è un complicato arazzo di personaggi ed emozioni contrastanti, un ritratto duro ma a tratti umoristico di una famiglia che affronta a modo suo una situazione difficile e angosciante. Utilizzando una cornice chiusa per dare la sensazione di oppressione e confinamento di questa situazione, Avilés riesce a far interagire una dozzina di personaggi senza abusare di tagli di montaggio o spiegazioni arzigogolate: sono tutti situati a distanze diverse sullo stesso piano, tutti parte della stessa esperienza.

Seguendo le vicissitudini della bambina protagonista (Naíma Sentiés), Avilés pone la macchina da presa all’altezza della piccola, come se contemplasse il mondo spettrale che la circonda con un certo distacco e smarrimento, come hanno fatto recentemente Céline Sciamma e Laura Wandel. Rituali, purificazioni, feste, travestimenti grotteschi, terapie quantistiche, talismani e semi di tamarindo si susseguono attorno al singolare ritratto di una famiglia in cui anche animali e insetti hanno un’importanza simbolica fondamentale.

Totem - Il mio Sole Lila Avilés

La verità di una figlia

Lo sguardo di Sol – o “Solecito“, come lo chiamano le zie – esprime tutto. In mezzo al caos familiare, alla paura, al nervosismo, all’impotenza e persino a una festa imminente, gli occhi della bambina rivelano la gigantesca tristezza che circonda e ingloba tutto. A sette anni sembra sapere di più, negare di meno e supporre in maniera più convinta che a suo padre, Tona, resta poco tempo da vivere e che non c’è motivo di festeggiare, per quanto dietro ai festeggiamenti del suo compleanno ci siano delle buonissime intenzioni. Vuole solo vedere suo padre, stare con lui, abbracciarlo, parlare degli animaletti che ama e dei quadri che lui realizza; approfittare di quelli che intuisce essere pochi momenti condivisi tra loro, quei minuti rubati al tempo che rimarranno impressi nella sua memoria per il resto della vita.

Sebbene lo sguardo di Sol in Tótem – Il mio sole sia anche quello della regista, Avilés non giudica gli atteggiamenti degli altri personaggi: ognuno affronta o meno la situazione con le risorse che ha o che gli mancano. E se Sol può provare distanza e persino una certa incomprensione nei confronti di ciò che vede intorno a sé, la cinepresa sa che alla fine sono tutti lì con lo stesso obiettivo e scopo: abbracciare Tona, festeggiarlo, sostenerlo, stare con lui e ringraziarlo per le esperienze che hanno condiviso. È questa nobiltà e generosità di spirito che nutre questo sorprendende film. Si affronta la morte come si può, non sempre come si vuole: Avilés lo capisce e lo trasmette perfettamente.

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