Un Natale Stupefacente: recensione del film con Lillo e Greg

Dopo Colpi di Fortuna (2013), con Un Natale Stupefacente la Filmauro cambia ancora formula al cinepanettone. Dopo l’addio di Neri Parenti, affida la regia allo sceneggiatore dei due precedenti, Volfango De Biasi, e tira i remi in barca, mettendo insieme tutto ciò che aveva funzionato nei suoi lavori recenti: Lillo (Pasquale Petrolo) e Greg (Claudio Gregori) passano ad essere protagonisti di un film a tema unico, chiamati in duo a raccogliere l’eredità di De Sica, anche lui non più nel progetto; si fa un film per tutti, ambientato in una quotidianità che si confronta con le difficoltà di oggi e coi temi più attuali – non in un mondo a sé, lontano dai problemi – si riprende il filone dei sentimenti e dell’umanità, invece di concentrarsi solo sulle gags e al posto della farsa c’è la comicità surreale di Lillo e Greg; si torna al “Natale” nel titolo per riguadagnare il pubblico più consolidato di questo tipo di prodotto, ma si cerca anche di intercettare il pubblico più giovane (“stupefacente”). Queste le intenzioni.

 

In Un Natale Stupefacente Oscar (Greg) e Remo (Lillo) sono gli zii di Matteo (Niccolò Calvagna). È quasi Natale quando i genitori del bambino, produttori di formaggio in una tenuta di campagna, vengono arrestati per errore, per coltivazione e spaccio di sostanze stupefacenti. Ma gli zii non se la cavano molto bene col bambino e non sono certo una famiglia tradizionale – Remo si sta separando e Oscar è uno scapolo impenitente. Così, per ottenere l’affido di Matteo coinvolgono anche Marisa, la moglie di Remo, che lui vuole riconquistare, e Genny, la nuova fiamma di Oscar. Col loro aiuto cercheranno di convincere i due assistenti sociali (Riccardo De Filippis e Francesco Montanari) che seguono il caso di Matteo.

Dopodiché, da una parte il nuovo film di Natale coglie nel segno: riesce ad intercettare certi umori della società – dall’ironia sugli italiani che agiscono “a loro insaputa”, alla crisi che morde – a far suo l’evolversi dei costumi, facendo entrare una coppia omosessuale a pieno diritto nel prodotto più tipico del cinema di massa. È intelligente anche nell’assemblare un cast corale, che non punta solo sui protagonisti, Lillo e Greg, ma dà pari rilievo ai personaggi femminili.

D’altra parte, stupisce che con queste premesse manchi uno dei suoi obiettivi principali: far ridere lo spettatore per tutto il film, o quasi. Se infatti in alcuni frangenti la comicità di situazione o la singola gag funzionano – anche grazie a due attrici in continua evoluzione come Paola Minaccioni (Marisa) e Ambra Angiolini (Genny) – ci sono poi spazi di noia. La trama è scontata nei suoi meccanismi e ciò vanifica le trovate più interessanti. La sceneggiatura è discontinua e spesso fiacca. Inoltre, solo alcune delle gag classiche del repertorio di Lillo e Greg conservano freschezza. Ci si sarebbe aspettati di più, visto il buon cast e i quattro sceneggiatori, compreso il regista.

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