All’interno della sezione Fuori Concorso della 41esima edizione del Torino Film Festival Mario Martone (Nostalgia, Qui rido io) ha presentato Un ritratto in movimento. Omaggio a Mimmo Jodice, film documentario dedicato alla figura del celebre fotografo italiano della durata di poco più di 50 minuti.
Partenopeo di nascita – e dunque concittadino del regista – Mimmo Jodice è ormai da qualche tempo, in realtà, al centro dell’attenzione torinese. Aperta al pubblico il 29 giugno scorso e programmata fino al 7 gennaio 2024, la mostra “Mimmo Jodice. Senza tempo” – allestita alle Gallerie d’Italia – rappresenta infatti il secondo capitolo di un progetto curato da Roberto Koch e intitolato “La Grande Fotografia Italiana”. Un’esposizione che, pensata come celebrazione dei grandi maestri dell’arte fotografica del nostro Paese, si compone di diverse sezioni (tra cui Anamnesi, Linguaggi, Vedute di Napoli, Città, Natura e Mari) e tenta in qualche modo di sintetizzare la gloriosa produzione del fotografo attraverso 80 scatti da lui realizzati tra il 1964 e il 2011.
Accanto però alle opere della sua carriera, alcune iconiche, le sale espositive della mostra proiettano proprio l’ultima “fatica” di Mario Martone. In una commistione artistica che, a partire dalla forza dell’Immagine, si sforza di restituire la trasversalità di un grande autore nostrano.
Un ritratto in movimento. Omaggio a Mimmo Jodice: la trama
Ma chi è Mimmo Jodice? Chi si nasconde nel buio della camera oscura, dietro l’obbiettivo della fedele macchina fotografica? Un artista, senza dubbio; un napoletano verace classe 1934, oggi ottantanovenne, ma in attività costante. Di sicuro una importante personalità del mondo culturale e dei suoi dibattiti, fondamentale per l’affermarsi della fotografia italiana nel mondo e responsabile della crescita della stessa – non solo per le sue possibilità nell’ottica di analisi del reale, ma anche (e soprattutto?) per l’indiscutibile valore introspettivo ad essa strettamente connesso.
Ma chi è il Mimmo Jodice osservato da Mario Martone? Il racconto del regista segue, prevedibilmente, gli stilemi canonici della narrazione documentaria e lo fa radunando testimonianze varie, ricordi e aneddoti, parole e immagini; recuperando dunque – e di fatto costruendo – un archivio pluralmente composto. Molti sono infatti i volti di persone (tra intellettuali, artisti o galleriste) che, seppur appartenenti a generazioni diverse, hanno avuto modo di incontrare il suo lavoro; e Martone li convoca, li pone davanti alla cinepresa e li alterna, affrescando l’esposizione. Ci sono le voci di Antonio Biasiucci e Marino Niola, quelle di Laura e Lucia Trisorio e Lia Rumma, ci sono Stefano Boeri e Francesco Vezzoli; e, naturalmente, c’è Angela Jodice, l’instancabile compagna di vita che ha sempre sostenuto Mimmo e forse per prima si è accorta di un talento che negli anni sarebbe stato sotto gli occhi di tutti.
Un’opera “in absentia”
Non è però il fuoricampo l’unico spazio dove il corpo di Mimmo Jodice guadagna concretezza. Non sono solo le parole di altri a dargli forma, a descriverlo, a raccontarne le particolarità che lo hanno reso l’uomo che conosciamo oggi.
Martone non rimane esclusivamente in ferma osservazione; si fa avanti, varca la soglia dello studio del fotografo e qui riporta a galla aneddoti, immagini, anni e anni di archivio e di professione, nonché di continua ricerca e sperimentazione. Ed è attraverso la delicatezza dei gesti dell’artista, tramite la sua stessa voce, che il cineasta riordina una vita dedicata alla fotografia; passando in rassegna i primi scatti, genesi di un pensiero prima ancora che di un atto, gli anni sessanta e settanta, le opere di natura politica e di interesse sociale, senza dimenticare le numerose passioni ispiratrici di Jodice – tra cui l’architettura, le antichità classiche, la natura e i nudi. Il tutto rigorosamente filmato avvicendando il colore del presente al bianco e nero delle foto, fissate come in un orizzonte d’eternità come simulacro di un uomo e di un’arte.
Dopotutto, per usare le parole di Jodice “tutto ciò che succede in fotografia, succede prima in visione”. E le visioni dell’artista napoletano affiorano ben oltre il reale, prendono forma solo in condizioni di luce ottimali e istantanee, indagando il sublime insito nel tempo e in ciò che da esso è stato levigato. Perché la fotografia di Mimmo Jodice è prima d’ogni altra cosa un’arte che lavora in absentia; là dove l’umano ha deciso di ritirarsi lasciando che la realtà, sovrascritta della sua mancanza, acquisti un ultra-senso (quasi) impossibile da scorgere e catturare.
“Io ho fatto sempre con grande eccitazione tutte le foto che ho fatto. Le rifarei tute da capo”.