Victor: La storia segreta del Dottor Frankenstein si presenta fin da subito come un titolo più che fuorviante, poiché, per la prima volta negli oltre cento adattamenti del romanzo gotico di Mary Shelley spalmati in 120 anni di cinema, a essere messo in luce non è né la mostruosa creatura frutto di innesti cadaverici né il folle medico di origini teutoniche, ma quell’Igor per lo più ignorato fin dai tempi di Boris Karloff e parodiato dall’istrionico Marty Feldman nella versione junior di Mel Brooks.

 

In Victor: La storia segreta del dottor Frankenstein in uno dei tanti squallidi circhi di periferia dell’Inghilterra vittoriana, un giovane gobbo conduce un’esistenza di soprusi e sofferenze, mitigati soltanto dal segreto amore per una graziosa trapezista e un acuto interesse autodidatta per la medicina e l’anatomia. Saranno proprio queste sue doti a permettergli di salvare in extremis la ragazza amata da un potenziale incidente mortale, portandolo all’attenzione del bizzarro dottor Victor Frankenstein, il quale decide subito di prenderlo con sé come collaboratore. Ripulito, educato e con a disposizione un intero laboratorio, il giovane assume l’identità fittizia di Igor Strausman, mettendosi subito al lavoro per aiutare il nuovo compagno in una serie di esperimenti che hanno come obiettivo quello di ridonare artificialmente la vita.

Spremuti fino all’osso i personaggi principali e i possibili intrighi delle narrazioni classiche, il cinema contemporaneo si affida al potere evocativo dei tanti soggetti secondari e misconosciuti che popolano i racconti più o meno noti, cosicché la scelta operata dal regista scozzese Paul McGuigan di svelare l’ipotetica storia mai raccontata del (non veramente) gobbo dietro la mente malata del reanimator londinese appare tutt’altro che malvagia.

Intrecciando con gusto e competenza un’eterogeneità di registri che spaziano dal comico al sentimentale – passando per un sano horror patinato ricreato dalla fotografia di Fabian Wagner –, la sceneggiatura di Max Landis prova a immaginare un alternativo “C’era una volta”, dando vita a una narrazione coerente e – It’s Alive! – godibile e gustosa. Daniel Radcliffe, reduce da un’oscurità professionale degna del perenne cielo plumbeo in CGI che avvolge la Londra dark-gothic del film, trova qui un equilibrio e una capacità recitativa alquanto convincente; il suo Igor (parallelo mostruoso in Do minore della celebre creatura) è il vero perno della narrazione, meno demenziale di quello di Brooks e molto più vicino all’Edward di Burton, così come il dottor Frankenstein di James McAvoy possiede le stesse qualità da mattatore di un Willy Wonka.

Un ottimo prodotto di consumo, immerso in un universo visionario che non disdegna nemmeno sequenze grafiche ispirate al Sherlock Holmes di Guy Ritchie, relegando la creatura alla fine del racconto e lasciando che un’altra storia di sofferenza si dipani davanti a noi.

Victor: La storia segreta del dottor Frankenstein

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Matteo Vergani
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Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.
victor-la-storia-segreta-del-dottor-frankensteinA essere messo in luce non è né la mostruosa creatura frutto di innesti cadaverici né il folle medico di origini teutoniche, ma quell’Igor per lo più ignorato fin dai tempi di Boris Karloff e parodiato dall’istrionico Marty Feldman nella versione junior di Mel Brooks.