Wendy, recensione del film di Benh Zeitlin #RFF15

Il film è stato presentato nel corso della diciottesima edizione di Alice nella Città, nell'ambito della Festa di Roma 2020 e segue di otto anni l'opera prima del regista che guadagnò quattro nomination agli Oscar.

wendy recensione

A oltre otto anni di distanza dal suo esordio, Re della Terra Selvaggia, Benh Zeitlin torna a dirigere per il cinema, reinventando una storia che ha accompagnato la sua infanzia, quella di Peter Pan e dei bambini sperduti. Il film si intitola Wendy e, nel lavoro di riscrittura che il regista ha fatto insieme alla sorella Eliza, è il risultato di una trasposizione prima di tutto geografica e poi emotiva dell’avventura del bambino che non voleva crescere.

 

Come accaduto al nostro Matteo Garrone, che sin da piccolo voleva raccontare per immagini la storia di Pinocchio, Benh ed Eliza sono cresciuti nella magia di un altro grande classico per ragazzi, quello di J.M. Barrie, che racconta di bimbi, pirati, coccodrilli, sirene e magia. In questa storia, invece, seguiamo una ragazzina, Wendy, che vive con la madre e due fratelli gemelli su un diner, gestito dalla donna, e che da piccola è testimone della sparizione di un bimbo. Qualche anno dopo, di notte, lei e i suoi fratelli saltano su un treno in corsa e sui vagoni che sfrecciano nella natura selvaggia, incontrano un ragazzino afroamericano che li porterà su un’isola sperduta e incolta, dove altri bambini come lui comunicano con la Madre Terra, e non crescono mai.

Wendy è la protagonista della nuova lettura di Peter Pan

Il primo elemento di originalità nel racconto di Zeitlin è che si sceglie di spostare l’inizio della storia dalla Londra dell’inizio Novecento al caldo e brullo Southern americano, un paesaggio che ricorda più Mark Twain che Barrie. Lì, Wendy cresce in mezzo a persone amiche, uomini e donne che popolano il diner gestito dalla madre, che ha abbandonato i suoi sogni per portare avanti quell’attività e avere dei figli, diventando grande, donna e madre. La seconda operazione che compie il regista, a quattro mani con la sorella sceneggiatrice, è quello di eliminare la magia in senso stretto e pervadere la storia di una spiritualità legata alla natura, alla Madre Terra, appunto, con cui i bambini parlano, giocano e interagiscono in diversi momenti della storia, decisamente i più suggestivi.

L’isola selvaggia e senza nome in cui si ambienta gran parte dell’avventura di Wendy, con i suoi fratelli e con Peter è un territorio rigoglioso, misterioso, che offre loro infinite possibilità di gioco in una continua sensazione di sogno ad occhi aperti, un non-luogo (l’isola che non c’è, appunto) che è anche un non-tempo, o meglio in cui il tempo scorre in base alla volontà di chi abita lì.

Zeitlin fugge dalla concettualizzazione con una regia libera

Zeitlin è bravissimo a svicolare ogni possibile concettualizzazione della storia, ogni gabbia didattica che possa in qualche modo imbrigliare il selvaggio spirito che anima non solo i piccoli protagonisti, ma il film stesso. Lo fa con una regia libera, leggera, appassionata, accompagnando le immagini con una colonna sonora da lui composta che ricorda molto da vicino le partiture realizzate per Re della Terra Selvaggia e che restituiscono allo stesso modo sensazioni di libertà e giovinezza.

Wendy è la lente attraverso cui guardiamo tutto ciò che accade, è lei che guida i nostri passi e anche quelli degli altri protagonisti. È lei che decide quando l’avventura deve cominciare, ma anche quando la storia che ognuno di loro racconta deve diventare una storia che scende a patti con il tempo, con la realtà, lontano da quei luoghi mistici.

Un’avventura viscerale e scalmanata

Le idee, sia visive che narrative, di Benh Zeitlin sono fresche e affascinanti, come la rappresentazione dello spirito della Madre, o come la genesi di Capitan Uncino che non sveliamo per non rovinare la visione. Con un primo film arrivato direttamente agli Oscar, Zeitlin si è preso il suo tempo, rifiutando offerte allettanti, e impiegando otto anni a realizzare il suo secondo film, sicuramente più difficile del primo, ma con il quale condivide lo spirito selvaggio di un narratore che ama la storia che racconta.

Wendy è un’avventura viscerale, scalmanata e allo stesso tempo intima, in un luogo dell’infanzia dove si conosce il valore, potente e puro, delle storie, un luogo che si finisce per dimenticare, da grandi. E Benh Zeitlin, per fortuna, non lo ha dimenticato.

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Chiara Guida
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Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.
wendy-benh-zeitlinWendy è un’avventura viscerale, scalmanata e allo stesso tempo intima, in un luogo dell’infanzia dove si conosce il valore, potente e puro, delle storie, un luogo che si finisce per dimenticare, da grandi. E Benh Zeitlin, per fortuna, non lo ha dimenticato.