Zero Zero Zero: recensione della serie di Stefano Sollima #Venezia76

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La serialità televisiva sta facendo passi avanti giganteschi, surclassando per budget e grandiosità progetti pensati per il cinema. Proprio nelle giornate della 76° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica si sono visti tanti film, prodotti faticosamente, con risorse che non basterebbero a realizzare neanche un singolo episodio, cosa che tuttavia non significa che venga meno l’intensità o i contenuti di un’opera filmica, ma che il mercato del cinema e della televisione si sta spostando in nuovi territori. Le piattaforme come Netflix, Amazon Studios, o Sky, hanno fatto nascere un nuovo modo di produrre, di raccontare, di comunicare, di diffondere film, contenuti e serialità. E in questo nuovo panorama non manca certo un ritorno alla ricerca espressiva e alla sperimentazione, basta pensare a The New Pope di Paolo Sorrentino, presentato al lido pochi giorni fa, ma anche a serie che rompono completamente gli schemi, come Love Death & Robots, visibile su Netflix. Zero Zero Zero di Stefano Sollima è frutto di questo positivo sconvolgimento, che tanta enfasi, clamore e anche polemica sta suscitando.

 

Le prime due puntate, presentate in anteprima, fuori dalla competizione ufficiale, lasciano intendere l’imponenza dello sforzo produttivo e il respiro internazionale, che nasce nel nostro paese e sconfina in altri continenti, USA, Centro e Sud America, Africa. Ed è proprio questa la grande forza della serie, mantenere sempre uno guardo italiano nonostante un cast internazionale e tante location sparse nel mondo. Tutto questo per narrare un problema tanto attuale, quanto vasto: il narcotraffico.

La sceneggiatura di Zero Zero Zero si poggia solidamente sul romanzo-inchiesta di Roberto Saviano dall’omonimo titolo, pubblicato da Feltrinelli nel 2013. Ma è stata sviluppata inventando personaggi e un solido filo narrativo che permettesse di creare una storia avvincente e credibile, che permettesse di tenere un pubblico vastissimo incollato allo schermo. Episodio dopo episodio è raccontato il viaggio di un carico di cocaina, dal momento in cui un potente clan della ‘Ndrangheta decide di acquistarlo, fino a quando viene consegnato e pagato. In questo modo è mostrato, fin nei dettagli, di come l’economia illegale diviene parte di quella legale e su come entrambe siano collegate a una spietata logica di potere e controllo che influenza le vite e le relazioni delle persone. Attraverso i personaggi e le loro singole storie si evidenziano tutti i meccanismi sconosciuti che si celano dietro il business più redditizio del pianeta, dopo quello del petrolio.

Il modo di creare immagini e di raccontare di Stefano Sollima è di enorme professionalità e bravura, riesce a costruire concitate ed efficaci scene d’azione e di combattimento, con set smisurati, veicoli, esplosioni e centinaia di comparse. La messinscena è così convincente da far sentire lo spettatore sempre al centro della baraonda, almeno sul grande schermo cinematografico. Peccato che alla fine la fruizione sarà destinata alla TV, se non addirittura a computer o dispositivi portatili. Stona però che in un prodotto così ben realizzato si avverta un vizio tutto italiano, ovvero quello di inzuppare ogni secondo del film di musica e tappeti sonori, che tolgono purtroppo verità a situazioni che dovrebbero nutrirsi solamente di rumori o suoni diegetici. La musica di Mogway risulta invadente, stancante, monotona e spesso superflua. Molto indovinati invece sono i volti dei tanti personaggi e risultano assai credibili gli attori, in particolare Dane DeHaan, Gabriel Byrne e Andrea Riseborough.

Zero Zero Zero è una serie avvincente sul traffico di narcotici, che prende vita da un libro di denuncia di grande successo e che regala spettacolarità ed emozioni, garantendo puro intrattenimento.

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