Naomi Watts la bionda dall’animo tragico

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La donna nei panni della quale non ci vorremmo mai trovare è quella Sally del non memorabile film di Woody Allen Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni, quando, dopo essersi dichiarata al suo capo, riceve un garbato, cortese, ma fermo “sono lusingato, ma no, grazie”. Non vorremmo essere al posto di Sally anche perché, nella migliore tradizione alleniana, ha già alle spalle un matrimonio naufragato e una mamma (già mamma di Bridget Jones, Gemma Jones) lasciata dal marito Anthony Hopkins per un’oca, ma che, a differenza della figlia, si consola facendosi prendere in giro da una sedicente maga che le promette un futuro di passione. Se però consideriamo che Sally è Naomi Watts, che nonostante la mascellona e il fisico androgino, è una delle attrici più carismatiche di Hollywood, stentiamo a credere che Antonio Banderas – che ai tempi, tra l’altro, non faceva ancora il fornaio – l’avrebbe rifiutata, nel mondo reale.

 

Come si fa a dire no a una che nel 2002 è stata inserita dalla rivista People nella classifica dei 50 più belli dello star system? Che da anni è una delle attrici più attive nella lotta contro l’Aids? E se questo non bastasse, come si fa a snobbare una diventata famosa a 32 anni, sotto l’ala protettrice di David Lynch che inserisce in Mullholland drive quei cinque minuti saffici di lei insieme a Laura Harring, durante i quali ogni uomo – e qualche donna – si dimentica di non aver capito niente della trama e scopre uno spasmodico interesse per come andrà a finire?

Per l’allucinato capolavoro del 2001, la Watts ottiene numerosi riconoscimenti, e nonostante siano più apprezzati dalla critica che dal pubblico, i deliri lynchani le permettono di raggiungere, dopo, anche il cuore del mainstreaming, grazie al remake dell’horror giapponese The Ring. E pensare che la Watts, nata nel Kent e naturalizzata australiana, inizia a recitare a soli 18 anni, nel 1986, in un film intitolato For Love Alone. Dopo quella breve parentesi, la bionda decide che, per lei, è più adatto il mondo della moda e comincia a lavorare prima come indossatrice poi come redattrice di riviste del settore, senza mai interrompere lo studio della recitazione.

Sul set di Flirting, infatti, conosce le future dive Thandie Newton e Nicole Kidman, divenendo amica di entrambe, soprattutto dell’ex signora Cruise. Dagli anni Novanta, fino all’incontro con David Lynch, Naomi Watts ottiene molte particine in serie e pellicole per il cinema e la tv, senza che nessuno si accorga di lei. Scorrendo i titoli, tuttavia, si avverte già in nuce la flessibilità che tuttora la accompagna nella scelta dei ruoli, nonostante la bella Naomi renda decisamente di più nei film drammatici e nei panni di donne disperate e tormentate, che nelle commedie. Dopotutto, la sua infanzia non è stata tutta rose e fiori, prima per la separazione dei genitori, quando è ancora piccola, poi per la morte del padre, ex collaboratore dei Pink Floyd, per overdose di eroina nel 1976. “Quando ci trasferimmo dal Kent nel Galles, io e mio fratello studiavamo la lingua del posto, in una scuola in mezzo al nulla, mentre tutti gli altri perfezionavano l’inglese. Ovunque ci trasferissimo assumevamo l’accento di quella regione e questo forse mi ha aiutata nel mio lavoro. Comunque ricordo una buona dose di tristezza nella mia infanzia, ma l’amore non mi è mai mancato”.

A 14 anni, Naomi Watts si trasferisce in Australia, insieme al fratello, la madre e il patrigno. Poi, negli anni 90, incoraggiata anche da Nicole Kidman, Naomi si trasferisce a Los Angeles, dove iniziano anni difficilissimi in cui accetta tutte le “parti di merda” che riesce a trovare. “Per un periodo sono tornata di nuovo in Australia, sempre per piccole parti. Una volta rientrata a Hollywood tutti quelli che mi avevano spronata non sembravano più interessati. In pratica, dovetti ricominciare tutto da capo. Non mi inviavano neanche lo script perché a loro non conveniva. Mi ricordo che una volta dovetti guidare per ore nella Valley per andare a prendere tre pezzi di carta scritti da qualche orrendo pezzo di merda”. “Nicole (Kidman) mi ha sempre offerto un enorme appoggio, ma ce l’ho fatta perché a poco a poco il mio motto è diventato ‘il lavoro genera lavoro’, così continuavo ad accettare tutto”. Per un soffio non ottiene la parte che poi sarebbe andata a Charlize Theron in L’avvocato del diavolo. La stessa cosa succede con Ti presento i miei, ma proprio quando le speranze di Naomi sembrano esaurirsi, Mister Lynch, senza aver visto nessuno dei suoi precedenti lavori, la scrittura immediatamente per Mullholland Drive: “Sentivo che la persona che stavo guardando nella foto aveva un talento enorme. Ho visto qualcuno con una bella anima e una bella intelligenza, capace di supportare i ruoli più vari”. Dopo, la strada della ragazza che nessuno voleva, è tutta in discesa.

Oltre a The Ring, Naomi recita in Ned Kelly – dove si innamorerà, ricambiata, di Heath Ledger – e in Le divorce, insieme a Kate Hudson, ma anche negli inquietanti episodi di Rabbits, firmati dal mentore Lynch.  

Nel 2004, per l’interpretazione di Ann Darrow nel remake di King Kong, firmato da Peter Jackson, vince il Saturn Award come migliore attrice protagonista, ma è nel 2006 che dà un’altra bella prova, nel godibilissimo remake di una pellicola del 1934, Il velo dipinto, dove veste i panni di una moglie insoddisfatta che si accorge troppo tardi aver avuto accanto per tutta la vita un marito migliore di lei e che, tra l’altro, è Edward Norton. Per la parte di Kitty Garstin, la stampa americana la paragona a Greta Garbo, prima a interpretare il ruolo, e scrive che la Watts riesce a coinvolgere lo spettatore quasi più della grande diva. Sul set de Il velo dipinto, Naomi conosce anche l’attore e regista Liev Schreiber, col quale intreccia una relazione che dura tuttora e dalla quale sono nati Alexander e Samuel Kai. La coppia, inoltre, ha recentemente dichiarato di desiderare una bambina.

Nel 2007, per Naomi, arriva un altro grande nome, quello del regista David Cronenberg, nonostante in La promessa dell’assassino l’attrice venga, in parte, oscurata, così come Vincent Cassel, dalla preponderanza del corpo di Viggo Mortensen e dalla scena, ormai cult, di lui che, nudo e coperto solo dai tatuaggi, combatte in una sauna contro due energumeni. Sempre nel 2007 interpreta Funny games insieme a Tim Roth che non esita a definire la pellicola “più più disturbante della mia carriera. È stata brutale”. Dal canto suo, il regista Michael Haneke dichiara: “Per quanto mi riguarda ho posto una sola condizione: che la protagonista fosse Naomi Watts”. Arrivano poi, tra gli altri, The International (2009) e il non eccelso J. Edgar (2011), diretto da Clint Eastwood, dove tutti gli attori, lei compresa, non sono che delle comparse che supportano il gioco tra Leonardo Di Caprio e Armie Hammer.

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Con The Impossible di Juan Antonio Bayona, basato sulla vera storia di una famiglia scampata allo tsunami del 2004, Naomi ottiene le nomination come miglior attrice protagonista, concorrendo sia per l’Oscar, che per il Golden Globe. Oggi, nonostante sia stata massacrata dalla stampa inglese per la sua interpretazione di Lady Diana, ai suoi fan piace sempre ricordarla, nominarla e magnificarla nel suo vero stato di grazia, cioè nei panni di Cristina, la disperata vedova assetata di vendetta, in 21 grammi. Il film di Alejandro Gonzáles Inárritu, forse il vero capolavoro della sua “Trilogia della morte”, mastica e sputa le certezze dello spettatore. La “trinità” Watts, Sean Penn e Benicio Del Toro – e diciamolo, la pazzesca storia d’amore dei primi due – dà vita a un ingranaggio così naturale e al tempo stesso sconvolgente, da far desiderare che una come Naomi lasci definitivamente perdere le Kate Hudson e i King Kong e scelga ancora di farci piangere come si deve, come quando, dopo che le hanno investito il marito e le figlie sussurra: “Non è vero quello che dicono tutti. La vita non continua”.

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