
Meryl Streep. Attrice versatile, perfettamente a suo agio nel dramma come nella commedia, con i suoi personaggi femminili ha caratterizzato e caratterizza il cinema da oltre trent’anni. Personaggi diversissimi, ma sempre donne grintose, di coraggio, con una forte personalità, cui ha prestato i tratti della sua bellezza fine ed elegante, ma anche determinazione e testardaggine. Così anche per la sua più recente interpretazione, dal 27 gennaio nelle sale: quella di Margaret Thatcher in The Iron Lady di Phyllida Lloyd.
Confermando il suo feeling coi riconoscimenti e le statuette – è l’attrice che ha ricevuto più candidature agli Oscar e ai Golden Globe, ed in quest’ultima categoria è colei che ne ha ottenuti il maggior numero – simbolo dell’apprezzamento che l’attrice riscuote negli Usa, sua patria, ma non solo, si è aggiudicata pochi giorni fa proprio il Golden Globe come Miglior Attrice per il ruolo della Thatcher, mentre il Festival del Cinema di Berlino si appresta a conferirle l’Orso d’Oro alla carriera. E chissà che, grazie alla sua ultima fatica, non possa di nuovo arrivare a stringere tra le mani la statuetta più prestigiosa, quell’Oscar che già fu suo due volte: nel 1980 per la sua straordinaria interpretazione della signora Kramer in Kramer contro Kramer di Robert Benton, accanto a Dustin Hoffman; e tre anni dopo, per il ruolo della prigioniera polacca in La scelta di Sophie. Indipendentemente da come andranno le cose, la bravura di quest’attrice e la perfetta aderenza ai personaggi che interpreta, frutto di un meticoloso lavoro, ha sempre messo d’accordo tutti, facendo di lei, indiscutibilmente, una delle più grandi del cinema contemporaneo.

Nel 1978 Michael Cimino la vuole per uno dei suoi capolavori: sarà accanto a Robert De Niro – ancora oggi suo grande amico – John Savage e Christopher Walken ne Il Cacciatore, intenso lavoro incentrato sull’esperienza di tre amici, soldati in Vietnam. Il film ottiene un grandioso successo agli Oscar, portandone a casa addirittura cinque (miglior film, regia, attore protagonista Walken, montaggio e suono). Anche la Meryl Streep è per la prima volta candidata al premio e si fa conoscere così dal grande pubblico. Sul set del film, poi, conosce l’attore John Cazale, del quale sarà la compagna fino alla sua prematura scomparsa quello stesso anno. Quindi, sposerà uno scultore: Don Gummer, con cui avrà quattro figli.
Del 1979 sono due lavori importantissimi nella carriera dell’attrice del New Jersey: Kramer contro Kramer di Robert Benton e Manhattan di Woody Allen. Nel primo, Ted e Joanna Kramer sono una coppia con un figlio (Billy/Justin Henry), in crisi. Joanna/Meryl Streep, oppressa dalle responsabilità familiari e forse non più soddisfatta della propria vita, decide di prendersi del tempo per riflettere. Perciò se ne va, lasciando marito e figlio a cavarsela da soli. I due trovano un nuovo equilibrio, Ted/Dustin Hoffman riorganizza la propria vita in funzione della cura del figlio, impara ad essere per Billy anche “una madre”, ma Joanna torna e vuole il divorzio, nonché la custodia del piccolo. Inizia così una feroce battaglia legale tra i due genitori. Dunque un film non facile, sul ruolo e sui diritti dei padri, da considerare pari in tutto e per tutto a quelli delle madri.
Meryl Streep: vera diva del grande schermo

È un periodo d’oro questo per la nostra attrice, che nell’83 viene insignita di un secondo Oscar e del Golden Globe per la sua straordinaria interpretazione nel drammatico La scelta di Sophie di Alan Pakula, che vede al suo fianco Kevin Kline, all’esordio sul grande schermo. Qui interpreta una giovane polacca, prigioniera nel campo di concentramento di Auschwitz, che compie una scelta difficilissima: abbandonare la figlioletta per salvare la vita propria e dell’altro figlio, collaborando con un comandante del campo. Nello stesso anno, con Silkwood entriamo assieme alla Streep in fabbrica e indaghiamo sul suo mal funzionamento: l’attrice interpreta l’operaia Karen Silkwood, vittima di una contaminazione radioattiva sul luogo di lavoro nell’Oklahoma degli anni ’70, diretta da Mike Nichols. Nel cast anche Kurt Russel e Cher.

Gli anni ’90 iniziano all’insegna della varietà per l’attrice: nel ’92 si fa dirigere da Robert Zemekis nella commedia La morte ti fa bella, dai toni satirici. Assieme a lei a reggere questa satira sul sogno dell’eterna giovinezza, Goldie Hawn e Bruce Willis. L’anno dopo torna al dramma, con la trasposizione cinematografica del romanzo di Isabel Allende La casa degli spiriti, che attraverso le vicende della famiglia Trueba ci racconta il Cile dagli inizi del ‘900 al regime di Pinochet. Difficile senza dubbio la sfida di racchiudere il grande affresco storico nel tempo di un film e di trasporre un romanzo senza tradirlo, ma il tema è forte e meritevole di trattazione, così come meritevoli sono senz’altro le interpretazioni degli attori, specie quelle di Jeremy Irons, nei panni del capofamiglia, il generale Esteban Trueba, della moglie Clara/Meryl Streep, e della sorella Ferula/Glenn Close. Nel ’95, Meryl aggiunge un tassello alle sue prestigiose collaborazioni e ottiene di nuovo il favore di pubblico e critica, diretta niente meno che da Clint Eastwood, e protagonista assieme a lui del romantico I ponti di Madison County. Francesca è una donna sposata che vive nella campagna dell’Iowa e dedica tutta la sua vita alla famiglia. Il fotografo Robert Kincaid è di passaggio, ma i due vivranno in pochi giorni un amore che cambierà le loro vite.
Il nuovo millennio inizia invece con la partecipazione al film di Spike Jonze Il ladro di orchidee, accanto a Nicholas Cage e Tilda Swinton, che vale all’attrice del New Jersey un altro Golden Globe. Dello stesso anno è un’altra scommessa vinta dalla Streep. Prende parte infatti a The Hours, impegnativa trasposizione del romanzo di Michael Cunningham. Un cast tutto al femminile regge quest’ambiziosa opera che vede protagoniste Nicole Kidman, nei panni di Virginia Woolf, Julianne Moore/Laura e Meryl Streep/Clarissa: tre donne in tre epoche diverse, legate da storie che s’intrecciano e dal romanzo Mrs. Dalloway, tre donne poste di fronte a scelte importanti, insoddisfatte delle proprie vite. L’interpretazione che colpisce maggiormente è senz’altro quella di Nicole Kidman, che guadagna l’Oscar e il Golden Globe – ma tutte e tre le protagoniste ottengono l’Orso d’Oro al Festival di Berlino. Nel 2004, un tuffo nel genere fantastico, con la partecipazione a Lemony Snicket – Una serie di sfortunati eventi, favola dalle atmosfere oscure per la regia di Brad Silberling.
Due anni dopo a regalare a Meryl l’ennesimo successo è la straordinaria abilità con cui impersona l’arcigna e altera direttrice di un importante magazine di moda, Miranda Priestley, in Il Diavolo veste Prada alle prese con l’apprendistato, non solo lavorativo, della giovane dipendente Andie Sachs/Anne Hathaway. L’interpretazione merita un nuovo Golden Globe. Ma non è questa l’unica commedia con la quale la Streep si cimenta quell’anno. Se infatti nella prima parte della sua carriera ha interpretato soprattutto ruoli drammatici, ha progressivamente scoperto e coltivato, sempre con ottimi risultati, anche il lato comico del suo talento. Così nel 2006 veste anche i panni di Liza, psicanalista di Uma Thurman/Rafi, che cerca l’amore e sembra trovarlo nel giovane David che però, guarda caso, è il figlio di Liza. Ottima la sua interpretazione in questo Prime, commedia brillante firmata Ben Younger. Nel 2007 Meryl torna al dramma e ritrova Robert Redford, col quale non recitava dai tempi de La mia Africa. In questo caso, però, l’attore è anche regista e sceglie proprio la Streep e Tom Cruise per affiancarlo in Leoni per agnelli, pellicola d’impegno, in cui Redford fonde le storie di tre personaggi: il politico dalle forti ambizioni, senatore Irving/Cruise, la giornalista in cerca di uno scoop che lo intervisterà in esclusiva, Janine Roth/Streep, e un professore, Stephen Malley/Redford che cerca di far cambiare idea a un suo studente intenzionato ad abbandonare gli studi. A tenere insieme e a far da sfondo alla storia c’è la guerra in Afghanistan. Redford intende con questa pellicola scuotere le coscienze e richiamarle all’impegno.
Ma Meryl non trascura neppure il genere thriller, e partecipa all’esordio del regista sudafricano Gavin Hood, Rendition – Detenzione illegale. Nello stesso anno fa di nuovo ampiamente centro e mostra ottime doti di cantante, ballerina e performer nella commedia musicale Mamma Mia!, per la regia di Phyllida Lloyd, in cui dà corpo e una straordinaria vitalità al personaggio di Donna, spensierata figlia dei fiori negli anni ’60 e ora pragmatica padrona di un piccolo hotel in un’isola greca, alle prese con l’imminente matrimonio della figlia, e non solo. Lo stesso anno la vede anche partecipare a Il dubbio, di John Patrick Shanley, che affronta il delicato tema della pedofilia all’interno delle istituzioni religiose (qui, in una scuola). Il film analizza in maniera complessa la questione e va a fondo nel tratteggiare le psicologie dei personaggi. Non solo quella del presunto pedofilo, Padre Flynn, ma anche quella della direttrice: Sorella Aloysius, una perfetta Meryl Streep.
L’attrice appare anche nel documentario di John Walter Theatre of war, incentrato sullo spettacolo Madre coraggio di Brecht, interpretata dalla Streep al teatro all’aperto di Central Park a New York. Questo testimonia come l’attrice non abbia mai abbandonato la sua passione degli inizi: quella per il palcoscenico. Nora Ephron la vuole nel 2009 per un ruolo brillante nella commedia gastronomica Julie & Julia. L’attrice è stavolta un’americana a Parigi negli anni ’50, conquistata dalla cucina francese. La sua storia scorre in parallelo con quella di una giovane americana dei nostri giorni, anche lei alle prese coi fornelli. Ennesima prova magistrale e meritato Golden Globe.

