Roschdy Zem è conosciuto in Francia più come attore che come regista; ma la sua prova con Mister Chocolat si dimostra davvero interessante e strutturata, proprio nel momento in cui Zem sceglie di confrontarsi con un genere così “rischioso” come il biopic.
Rischioso, perché si presta alle cadute di stile nel patetismo gratuito e nelle lacrime facili, romanzando le storie di personaggi dalle esistenze più o meno, globalmente, famose.
Mister Chocolat racconta la storia abbastanza nota (in Francia, perché da noi è praticamente sconosciuta) del primo clown di colore della storia, l’haitiano Raphael Padilla, diventato famoso nella Parigi della Belle Èpoque col nome d’arte di Mister Chocolat. Insieme al “clown bianco” Footit hanno formato una delle coppie d’oro che ha rivoluzionato l’arte circense, allargando il numero dei suoi fruitori e consumatori, dei semplici appassionati e di tutti coloro che l’hanno trasformata in una ragione di vita. Ma il film di Zem non si limita a raccontarci la figura del clown, la maschera buffa sotto le luci scintillanti della ribalta: il regista, con il suo personale punto di vista, sceglie di romanzare la storia – per via delle informazioni lacunose a disposizione- raccontando l’uomo dietro la maschera, quel Raphael che tanto lottò, in vita, per raggiungere una piena consapevolezza del suo status e della sua condizione di artista indipendente di colore, l’unico nel suo genere sulle scene della rivoluzione del secolo. Chocolat è un uomo sfaccettato, un personaggio che si presta a molteplici interpretazioni e chiavi di lettura, e che trova la sua forza nell’interpretazione poderosa di Omar Sy, già apprezzatissimo talento in patria, che qui riconferma le sue qualità attoriali. Il prodotto filmico è forte delle sue sicurezze e della sua impeccabile confezione ben congegnata ed architettata, a partire dalla solida- ma tradizionale- scrittura fino alla regia distante, ma pronta a celare dietro l’evocazione di ectoplasmi del passato il personale punto di vista del regista sul nostro futuro, fino alle interpretazioni sorprendenti dei due protagonisti Sy e James Thierrée (nipote del grande Charlie Chaplin), che non si sono limitati a dare corpo alle ombre sbiadite di un passato effimero in bilico tra modernità e gretta tradizione, ma hanno prestato i loro corpi “fisici” alla messinscena totale, ricreando un mondo antico e misterioso come quello dell’arte circense di fine ottocento/ inizio novecento, calpestando le assi di un piccolo teatro con la speranza di sovvertire la visione retorica e razzista di un pubblico ancora incapace di accettare una rivoluzione in atto. Mister Chocolat gioca sulla sicurezza di una struttura convenzionale ma ben rodata che funziona e arriva dritta al cuore del grande pubblico, con la sua storia popolata di contrasti, tra ascesa e caduta, redenzione e dannazione, razzismo e amore, emancipazione e accettazione.