Con La terra dei morti viventi, uscito nel 2005, George A. Romero torna a imporsi come maestro indiscusso del cinema horror, riportando in vita – è il caso di dirlo – la sua saga sugli zombie che aveva rivoluzionato il genere fin dagli anni ’60. Dopo La notte dei morti viventi (1968), Zombi (1978) e Il giorno degli zombi (1985), Romero riallaccia il filo della sua riflessione sulle paure e le contraddizioni della società contemporanea, portando la sua visione nel nuovo millennio. Questo quarto capitolo si colloca come una naturale prosecuzione della sua poetica, capace di coniugare l’horror apocalittico con un’acuta critica sociale.
Il film si muove dentro i codici del survival horror e dell’action post-apocalittico, con un tono più spettacolare e dinamico rispetto ai capitoli precedenti, ma senza rinunciare alla profondità che contraddistingue il regista. In un mondo ormai dominato dai morti viventi, i pochi sopravvissuti si rifugiano in città fortificate dove le gerarchie sociali si riproducono in maniera spietata: i ricchi vivono nel lusso protetto, mentre i poveri sono costretti a sopravvivere tra miseria e pericolo. Romero intreccia così l’immaginario dell’invasione zombie con una parabola sulle disuguaglianze e sulle derive del potere.
La terra dei morti viventi non è quindi solo un horror di intrattenimento, ma un racconto allegorico che parla di oppressione, di rivoluzione e di ribaltamento degli equilibri. La progressiva “evoluzione” degli zombie, che iniziano a mostrare forme di coscienza e organizzazione, riflette il timore di una società che non può più controllare le forze che ha contribuito a creare. Nel resto dell’articolo analizzeremo proprio il finale del film, cercando di comprenderne il significato e il messaggio che Romero affida agli spettatori.
La trama di La terra dei morti viventi
Il film è ambientato in un futuro distopico, nel quale la Terra è stata devastata da una terribile invasione zombie. Siamo negli Stati Uniti e gli abitanti rimasti in vita hanno dovuto fortificare le proprie città per sopravvivere, come Pittsburgh, completamente recintata e controllata. Sono pochi i fortunati che possono abitare al Fiddler’s Green, un grattacielo di lusso che ospita ricchi e potenti, mentre il resto della popolazione patisce la fame. Situato all’esterno del grande palazzo c’è un imponente carro armato, il Dead Reckoning.
Pubblicizzato da Paul Kaufman (Dennis Hopper) e progettato da Riley Denbo (Simon Baker) questo consente di potersi muovere liberamente attraverso le metropoli invase dai morti viventi. Durante una pattuglia notturna, l’uomo si rende conto che alcuni zombie continuano a ripetere le azioni abitudinarie di quando erano vivi. Non solo: uno di loro, Big Daddy (Eugene Clark), il benzinaio, è diventato abile a capire ed emulare i comportamenti degli esseri umani. Tutto si complica dopo l’ennesimo massacro di zombie a opera del Dead Reckoning, che scatena l’ira e la voglia di vendetta dei morti viventi.
La spiegazione del finale del film
Nel terzo atto de La terra dei morti viventi, la tensione esplode quando Big Daddy guida l’orda di zombie oltre il fiume, riuscendo a sfondare le difese della città e a penetrare nei quartieri ricchi di Fiddler’s Green. Le barriere e le misure di sicurezza, simbolo del potere elitario di Kaufman, si rivelano inutili contro l’organizzazione e la determinazione degli zombie, che invadono il cuore della città fortificata. Nel frattempo, Riley e i suoi compagni cercano di fermare Cholo, deciso a usare Dead Reckoning per ricattare Kaufman, ma gli eventi prendono una piega drammatica quando Cholo viene morso e si prepara alla sua inevitabile trasformazione. Parallelamente, Kaufman cerca di fuggire dalla catastrofe che lui stesso ha contribuito a provocare.
Tuttavia, viene raggiunto dal suo destino in una delle scene più emblematiche del film: nel parcheggio sotterraneo di Fiddler’s Green si trova faccia a faccia con Cholo ormai zombificato e con Big Daddy, che chiude la sua parabola facendo esplodere un serbatoio di propano e uccidendoli entrambi. Intanto Riley e il suo gruppo, utilizzando Dead Reckoning, offrono una morte misericordiosa a coloro che vengono divorati, mentre Mulligan rivela di essere riuscito a salvare gran parte della popolazione più povera. L’orda di zombie, dopo aver devastato il simbolo del potere elitario, lascia la città, risparmiando i sopravvissuti. Nel finale, Riley decide di non attaccarli, riconoscendo negli zombie una sorta di parallelo con l’umanità, e parte con i suoi verso il Canada, alla ricerca di un futuro diverso.
Il significato di questo finale si lega profondamente alla poetica di Romero: gli zombie non sono più soltanto una minaccia cieca, ma un’entità collettiva che reclama il proprio spazio, mostrando capacità di organizzazione e perfino una forma di giustizia. La decisione di Big Daddy e del suo gruppo di abbandonare la città, risparmiando gli umani, ribalta completamente l’idea tradizionale dello zombie come simbolo di caos privo di scopo. Romero suggerisce che, in questo mondo post-apocalittico, non esistono più netti confini tra umani e non-morti: entrambi lottano per sopravvivere, entrambi cercano un rifugio.
Anche la scelta di Riley di risparmiare gli zombie assume un valore fortemente simbolico: l’eroe non cerca vendetta né sterminio, ma riconosce che la convivenza, o almeno la non belligeranza, è l’unica via per andare avanti. Questo ribalta la logica del genere, che solitamente pone come obiettivo la distruzione della minaccia, e apre invece a una riflessione più ampia sulla natura del “nemico”. Non è lo zombie a rappresentare il vero male, ma piuttosto il sistema corrotto e oppressivo incarnato da Kaufman e dalla sua città, incapace di garantire uguaglianza e giustizia.
Cosa ci lascia La terra dei morti viventi
Il messaggio che La terra dei morti viventi lascia agli spettatori è chiaro: Romero utilizza ancora una volta il linguaggio dell’horror per parlare di società, disuguaglianze e lotte di potere. La distruzione di Fiddler’s Green e la caduta del suo tiranno mostrano come le strutture oppressive siano destinate a crollare sotto il peso delle ingiustizie che generano. Allo stesso tempo, la marcia degli zombie che si allontanano in cerca di un nuovo spazio diventa una metafora della necessità di riconoscere l’umanità anche in ciò che appare diverso o “altro”. Un finale che, pur calato in un contesto apocalittico, ci invita a riflettere sulla convivenza, sulla resistenza ai privilegi e sulla possibilità di costruire un futuro più giusto.
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