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Habemus papam: teaser trailer del film di Nanni Moretti

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Ecco finalmente uscire il teaser trailer dell’attesissimo nuovo film di Nanni Moretti: Habemus Papam!

Shelter – Identità violate: recensione del film

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Shelter – Identità violate: recensione del film

Gli amanti del genere Psycho-thriller troveranno dal prossimo weekend al cinema pane per i propri denti. Shelter – Identità violate (“Shelter” titolo originale), è infatti un film che sfrutta appieno tutte le caratteristiche tipiche del genere, stuzzicando al massimo l’emotività dello spettatore scuotendola mediante una trama carica di suspence e colpi di scena. Non mancano altresì momenti di puro Horror.

Protagonista di Shelter – Identità violate è una donna tenace e capace, Cara Jessup, psichiatra forense molto convinta delle sue idee, tra le quali c’è quella che le personalità multiple non esistono realmente, ma sono solo suggestioni. Suo padre, il dottor Harding, le sottopone così il caso di David Bernburg, un giovane sulla sedia a rotelle arrestato per vagabondaggio e messo sotto cure mediche dato il suo labile stato psichico. Carla così scopre che David è in grado di assumere più personalità, anzi pare che incarni persone vittime di omicidi. Da qui comincia per lei un’avventura mozzafiato, nella quale viene messa a rischio la sua vita e non solo.

Shelter – Identità violate riprende un leitmotiv più volte sfruttato dal cinema: quello di una psichiatra o uno psichiatra, i quali, curando un paziente, ne scoprono aspetti inquietanti latenti, magari paranormali. Il film inizia con le migliori premesse, poi perde un po’ di brillantezza, rischiando di diventare quasi confusionario e scontato. Il risultato complessivo è comunque valido. Shelter – Identità violate è stato girato tra il 2008 e il 2009 a Pittsburgh, Pennsylvania. Il primo Paese a distribuire Shelter – Identità violate nelle sale cinematografiche è stato il Giappone il 27 marzo 2010; successivamente è stato distribuito in Irlanda e nel Regno Unito il 9 aprile dello stesso anno. Qui e negli Usa dal 25 febbraio.

I registi sono Måns Mårlind e Björn Stein, svedesi, al loro film d’esordio. Attualmente stanno anche lavorando al quarto episodio di Underworld – “Underworld 4: New Dawn” – lungometraggio sull’eterna lotta tra vampiri e licantropi, la cui uscita nelle sale è prevista per il 2012. Gli attori protagonisti sono Julianne Moore e Jonathan Rhys-Meyers. La prima, sinuosa attrice americana dai capelli rossi e dall’invidiabile forma fisica malgrado abbia ormai superato i 50 anni, interpreta ovviamente i panni della psichiatra e detective improvvisata Cara Jessup. Vanta una carriera che l’ha vista oscillare dai ruoli tipici della commedia sentimentale a quella sensuale, finanche a quelli del genere fantascientifico. Il secondo indossa invece i panni dello psicopatico David Bernburg. Attore-modello, Rhys-Meyers vanta già 24 film all’attivo a 34 anni. Il film che lo ha consacrato al grande pubblico è stato “Match point” (2005) di Woody Allen.

Dakota Superstar

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Dakota Fanning non è più una bambina, lontani sono i tempi di Mi chiamo Sam, ma a quanto pare l’unica cosa a non essere cambiata è il talento della bionda attrice che continua a cimentarsi in ruoli sempre diversi.

Continuerà a vestire il ruolo Jane, vampira del clan dei Volturi, nella saga di Twilight (The Twilight Saga: Breaking Dawn arriverà in sala il 16 novembre prossimo), e dopo aver interpretato il ruolo di Cherie Currie, vocalist  bella e dannata del gruppo The Runaways, nell’omonimo film accanto alla star di Twilight Kristen Stuart, prossimamente la giovane attrice affiancherà Stephen Dorff (co-protagonista accanto alla sorella Elle in Somewhere di Sofia Coppola) ed Emile Hirsch nell’adattamento dell’omonimo romanzo di Willy Vlautin The Motel Life, in cui si racconta la lunga fuga di due fratelli dalla stanza di un motel in cui è avvenuto un tragico incidente. Ancora, finite le riprese del progetto dei fratelli Alan e Gabriel Polsky, si sposterà sul set del caper movie Mississippi Wild,  nel quale Dakota sarà un’adolescente in fuga che, insieme a un amico (Ryan Donowho), tenta di sfuggire al gangster al quale ha rubato un prezioso carico di diamanti.

Le 127 Ore di Danny Boyle

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Le 127 Ore di Danny Boyle

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Danny Boyle è il regista che agli Oscar del 2009 aveva conquistato la ribalta con The Millionaire ( otto premi, tra cui miglior regia, miglior film e miglior montaggio ).  Ha uno stile “sporco” da cinema indipendente alla base,  a cui accompagna un eclettismo e un’originalità nelle scelte visive tali da permettergli di destreggiarsi tra tonalità diverse a seconda della storia con cui sceglie di confrontarsi. Altrettanta originalità lo caratterizza nello scegliere i suoi soggetti.

Box Office USA 21 febbraio 2011

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Box Office USA 21 febbraio 2011

Le nuove uscite della settimana dominano la parte alta della classifica del botteghino USA. Il nuovo film con Liam Neeson, Unknown, infatti, balza immediatamente in prima posizione, con un incasso di quasi 22 milioni di dollari. A seguire, un’altra nuova uscita: il film di fantascienza per pubblico adolescente I am number four, con al timone dell’operazione Steven Spielberg e Michael Bay.

 

Nel post San Valentino resiste ancora in terza posizione il film animato della Disney Gnomeo and Juliet, con Emily Blunt e James McAvoy che prestano le voci ai personaggi protagonisti. In quarta posizione scivola Just go with it, con Adam Sandler e Jennifer Aniston, ancora una volta in un ruolo di futura “scaricata”. Con l’incasso di questa settimana, il film raggiunge un totale di 60.8 milioni di dollari. Le nuove avventure dell’agente dell’FBI Malcolm Turner che effettua le sue investigazioni travestito  da grassa signora, ossia Big Mommas:Like father like son guadagna la quinta posizione nella classifica degli incassi con 17 milioni di dollari.

Justin Bieber: Never say never si ferma in sesta posizione, forse gli animi delle quindicenni si sono placati. Il film raggiunge quota 48 milioni di dollari di incasso alla seconda settimana di uscita. Unico sopravvissuto in classifica tra i favori ti agli Oscar, The king’s speech resiste in settima  posizione e, arrivato quasi al secondo mese di uscita, raggiunge un totale di 103 milioni di dollari.

Chiudono la classifica il thriller The Roommate in ottava posizione, con quasi 33 milioni di dollari totali di incasso, il film di ambientazione storica di Kevin McDonald, The eagle che dall’uscita non si è spostato dalla zona bassa della classifica, e infine la commedia con Natalie Portman e Ashton Kutcher, No strings attached, diretta da Ivan Reitman. Tra le uscite della prossima settimana troviamo Uomini di Dio, film francese che ha vinto a Cannes, un nuovo film con Nicolas Cage che cerca vendetta per sua figlia: Drive Angry 3D. Hall pass, il nuovo film dei fratelli Farrelly che gioca sull’idea che il tradimento è divertente solo se non lo si subisce, è tra le altre uscite attese insieme con Shelter, un thriller in cui la vita della psichiatra Julianne Moore è minacciata da una delle personalità di un paziente.

Uscite al cinema del 25 febbraio

Questo finesettimana pre-Oscar vedrà al cinema diverse soluzioni per passare il proprio tempo, dall’horror al thriller fino all’amore secondo Veronesi di Manuale d’Amore 3. Ecco quello che ci aspetta dal 25 febbraio nelle sale italiane.

127 Ore: il film racconta la storia dell’escursionista Aron Ralston (interpretato da James Franco) e della sua incredibile disavventura. Bloccato in uno stretto canyon nello Utah, con un braccio schiacciato da un masso distaccatosi dalla roccia, Ralston ricorda gli amici, le amanti (Clémence Poésy vista in Harry Potter e i Doni della morte e in In Bruges), la famiglia e le due escursioniste (Amber Tamblyn e Kate Mara) incontrate poco prima e, nel corso di cinque giornate, combatte contro gli elementi e i suoi stessi demoni, fino a scoprire di avere il coraggio e la volontà di sopravvivere e liberarsi. Attesissimo film di Danny Boyle che concorre ai prossimi Oscar con diverse candidature.

Ladri di Cadaveri: John Landis torna al cinema con una storia divertente e grottesca. La storia vera di Burke e Hare, assassini per necessità che vendevano i corpi delle loro vittime alla scienza nella Edimburgo del 1820. A prestare il volto ai due storici mascalzoni, Simon Pegg e Andy Serkis. Inutile dire che anche la storia più macabra, con lo zampino di Landis, diventa divertente. Al cinema dal 25 febbraio dopo la presentazione al Festival di Roma lo scorso ottobre.

Manuale D’Amore 3: dopo il successo dei primi due capitoli, Veronesi torna al cinema con le storie d’amore più disparate. Questa volta si tratta di tre storie con il ‘solito’ super cast più una guest star d’eccezione, Robert De Niro. “Giovinezza” racconta la storia di Roberto (Riccardo Scamarcio), giovane e ambizioso avvocato, prossimo alle nozze con Sara (Valeria Solarino), e del suo travolgente incontro con Micol (Laura Chiatti), bellissima, provocante e misteriosa. In “Maturità”, Fabio (Carlo Verdone), un affermato anchorman televisivo, marito fedelissimo da 25 anni, viene travolto da un incontro imprevisto e fatale. In “Oltre”, Adrian (Robert De Niro) è un professore americano di storia dell’arte che da qualche anno, dopo il divorzio dalla moglie, ha scelto di vivere a Roma. Riservato e solitario frequenta poche persone tra cui Augusto (Michele Placido), il portiere dello stabile in cui vive. Il fulminante incontro con la figlia di quest’ultimo, Viola (Monica Bellucci), sconvolgerà la sua tranquilla esistenza.

Unknow – senza identità: il Dott. Martin Harris (Liam Neeson) è vittima di un incidente stradale a bordo di un taxi. Dopo quattro giorni di coma si risveglia, per scoprire che un altro uomo ha assunto la sua identità e che persino sua moglie, in viaggio con lui, afferma di non conoscerlo. Ignorato dalle autorità e braccato da un misterioso assassino, Martin trova nella tassista del suo incidente un alleato per scavare a fondo in un mistero che mette in gioco la sua identità e la sua sanità mentale.

Body: il film thailandese racconta di Chon, un ragazzo che ha problemi di insonnia causata da incubi ricorrenti. Lui prova a non dormire poichè spaventato da una ragazza che incontra spesso nei suoi sogni. In questi, lei urla in cerca di aiuto prima che venga uccisa in modo cruento. Ae, la sorella di Chon è preoccupata riguardo ciò che il fratello vede nei suoi sogni, così gli presenta uno psichiatra. Chon cerca di provare che quello che vede non è soltanto un illusione. Finalmente scopre di avere ragione quando alcuni indizi nei suoi incubi lo spingono verso l’obitorio numero 19. A metà tra il thriller e l’horror il film di Paween Purikitpanya del 2007 ha finalmente trovato distribuzione in Italia.

Shelter – identità paranormali: l’ennesimo thriller psicologico a sfondo orrori fico vede convolti la psichiatra Julienne Moore e il paziente affetto da personalità multiple Jonathan Rhys Meyers. Il fatto inquietante è che tutte le personalità dell’uomo sembrano essere state vittime di brutali assassinii. Fenomeno soprannaturale? Allucinazioni? Cara dovrà scoprirlo velocemente, prima che il suo tempo finisca.

Tom Hardy parla di The dark Knight Rises!

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Tom Hardy parla di The dark Knight Rises!

Tom Hardy ha rilasciato alcune dichiarazioni riguardo il suo ruolo in The Dark Knight Rises, il nuovo film di Christopher Nolan nel quale interpreterà il villain Bane. Hardy parlando a Channel 4 di Alam Carr ha parlato della precedente apparizione del suo personaggio nei precedenti film, dissociandolo da quest’ultimi:

Interpreti un villain di nome Bane. Ora, diversi villain in Batman sono un po’ camp, non trovi? E’ abbastanza minaccioso secondo te? Hai visto il film di Joel Schumacher Batman e Robin? Non sembra molto minaccioso, vero?

Sì, forse non è un buon esempio, non dovrai indossare una maschera di cuoio, vero? Beh, solo se mi piacerà. Scherzo, no, Christopher Nolan, come detto, reinventerà tutto quanto, quindi non starei a pensare a Batman e Robin di Joel Schumacher. Inoltre, devo mettere su un mucchio di peso, perché le riprese inizieranno a maggio. Devo tornare a quelle dimensioni ancora, devo arrivare ad almeno novanta chili, e adesso ne peso meno di ottanta: ho tre mesi per arrivare a quel punto.

Ricordiamo che del cast fanno parte anche oltre a Christian Bale, Michael Caine, Morgan Freeman e Gary Oldman, anche lo stesso Tom Hardy (Bane) e Anne Hathaway (Selina Kyle/Catwoman). Il film verrà girato a partire da maggio, e uscirà il 20 luglio 2012.

Manuale d’amore 3 Full Trailer

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Protagonisti della commedia che arriverà venerdì 25 febbraio sui nostri schermi sono Carlo Verdone, Monica Bellucci, Michele Placido, Riccardo Scamarcio, Laura Chiatti, Valeria Solarino, Donatella Finocchiaro e Robert De Niro. In attesa di vedere il film sul grande schermo possiamo guardarci il full trailer.

Kevin Costner nel Superman di Snyder?

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Kevin Costner nel Superman di Snyder?

Sembrerebbe che Kevin Costner, premio Oscar per Balla coi lupi,sia vicino ad entrare nel cast del prossimo Superman diretto da Zack Snyder.

Nulla si sa su quale ruolo potrebbe interpretare: tra i ruoli scoperti di primo piano ci sarebbe quello del Generale Sam Lane, padre dell’amata di Clark Kent, Lois. Ricordiamo che riguardo Superman è già stato deciso il protagonista, Henry Cavill.

“Il loro Natale” alla Casa del Cinema

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“Il loro Natale” alla Casa del Cinema

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Anteprima romana di “Il loro Natale” di Gaetano Di Vaio alla Casa del Cinema – Mercoledì 23 febbraio 2011 alle ore 17.30 verrà presentata l’anteprima romana del film documentario “Il loro natale” diretto da Gaetano Di Vaio alla Casa del Cinema a Villa Borghese, Largo Marcello Mastroianni, 1 in sala Deluxe. L’anteprima del film inaugura la rassegna di documentari italiani “In Questo Paese” curata da Maurizio Di Rienzo.

Italiani ‘emigrati’: Pinocchio e gli altri.

Italiani ‘emigrati’: Pinocchio e gli altri.

L’ultima notizia arrivata in ordine di tempo sull’imminente realizzazione di un nuovo rifacimento del delizioso Pinocchio di Carlo Collodi, inevitabilmente pone noi italiani in una posizione che ci faccia quantomeno riflettere. Questo Pinocchio si aggiunge a quei progetti internazionali che continuano a trarre fonte d’ispirazione nella nostra tradizione letteraria (o fumettistica come accade per l’imminente uscita del film targato Warner Bros su Dylan Dog)…come se Hollywood abbia esaurito i film da (ri)fare e i suoi romanzo da trasporre e inizi a buttare l’occhio su altre strade percorribili, lasciate opzionabili dalle mancanze dei legittimi proprietari. Sempre più opere italiane vengono portate sul grande schermo da molti “stranieri” e sempre meno progetti italiani hanno il coraggio di assumersi delle responsabilità doverose e rendere giustizia ad un’italianità letteraria e fumettistica che ci appartiene.

Qualcuno potrebbe nuovamente iniziare a nascondersi dietro alle differenti dimensioni economiche che intercorrono fra le due realtà produttive, il che è vero ma non deve costituire un alibi dietro il quale nascondersi, soprattutto in un momento così fiorente per i nostri incassi. Ma forse, il punto nevralgico intorno a cui ruota questo nostro ormai storico difetto è che a noi manca il coraggio. Manca il coraggio di sapersi assumere dei rischi, di saper ricercare nuovo modelli produttivi, di saper individuare quelle realtà visionarie che in altri paesi riescono ad emergere, come quest’anno è successo a L’illusionista di Sylvain Chomet, incantevole film d’animazione francese che concorre agli Oscar per il miglior film d’animazione. Dove sono i nostri coraggiosi e intrepidi produttori? … Riusciamo ad avere successo, ma sempre seguendo la stessa formula, ormai esausta e limitativa. Nonostante la chiarezza di questa situazione, qualcuno tenterà di nascondersi dietro ad un secondo alibi, ovvero quello dello spettatore italiano che vuole andare al cinema soltanto per ridere e divertirsi. Anche questo assioma è destinato a crollare sotto i numeri di una miriade di spettatori che sempre più premia la qualità, il coraggio, la novità, come dimostra l’inesorabile sconfitta di un certo cinema natalizio che sta iniziando a subire battute d’arresto. Forse lo spettatore inizia finalmente a mostrarsi intelligente. Allora perché non sfidarlo in un impeto coraggioso e sorprenderlo, riuscire finalmente a dare una risposta concreta ad un mercato sempre più ben disposto alla novità?

A questo proposito abbiamo sentito uno degli autori più coraggiosi e “anomali” del panorama italiano: Stefano Bessoni; che ci regala un affascinante e suggestiva sua impressione sul tema.

Un burattino conteso

Guillermo Del Toro è da molti anni uno di miei maggiori punti di riferimento nel panorama cinematografico odierno, perché ritengo che abbia saputo trovare un misurato compromesso tra una forte esigenza autoriale ed una naturale commerciabilità. I suoi film sono avvincenti, godibili, visivamente mirabolanti e al tempo stesso intrisi di un proprio mondo poetico, nonché disseminati di stilemi personali immediatamente riconoscibili.

Sapere quindi che da qualche tempo Del Toro sia impegnato in un progetto per portare Pinocchio sullo schermo in versione dark non può che darmi grande piacere, soprattutto apprendendo che la colonna sonora sarà curata da Nick Cave, altro mio grande chiodo fisso. Tuttavia Del Toro non ne sarà il regista, ma solamente il produttore; il film sarà infatti diretto da Gris Grimly, autore di un fumetto del 2002 su cui si baserà la trasposizione cinematografica e da Mark Gustafson, regista esperto in animazione stop-motion, tecnica con cui sarà interamente realizzato. La produzione sarà invece della Jim Henson Company.

Pinocchio
PINOCCHIO (Pictured) GUILLERMO DEL TORO. Cr. mandraketheblack.de/NETFLIX © 2020

Ma passato l’entusiasmo iniziale, dovuto anche al fatto che il progetto sembra essere finalmente partito, mi prende invece un grande sconforto. Perché direte voi? Beh, semplicemente perché sono vent’anni che lavoro su Pinocchio e perché vorrei tanto farne una mia trasposizione oscura e macabra. Allo stesso tempo sono altrettanti anni che mi sento dire dai produttori che è una cosa che non vende, che non interessa a nessuno, che è un progetto fallito in partenza. Poi improvvisamente arriva qualcuno dall’estero, come Del Toro appunto, che ci mette le mani sopra e con grande gusto ed intelligenza ci lavora, e quelle stesse persone gridano “Colpo di genio”, “perché non ci abbiamo pensato noi?”, o peggio “Noi certe cose non le sappiamo proprio fare”.

Sarebbe un discorso lungo da approfondire in questa sede, un discorso che comunque mi ripropongo di affrontare per riuscire a capire il perché oggi non si riesca più a fare nulla in Italia, o quantomeno per avere una valvola di sfogo e raccontare quello che un autore è costretto a subire nel suo tentativo di costruire una personale forma di espressione cinematografica in un panorama divenuto a dir poco agghiacciante.

Comunque, torniamo al nostro caro Pinocchio.

Ho amato il libro di Collodi fin da quando ho memoria, poi, nel 1972, arrivò lo straordinario sceneggiato televisivo di Luigi Comencini, che assieme alle strabilianti illustrazioni di Enrico Mozzanti della prima edizione del 1883, hanno formato immagini indelebili nella mia mente. Ricordo che ero così colpito dalle gesta del burattino che il “mi babbo”, per dirla alla Collodi, passò giornate intere sul terrazzo di casa a fabbricarmi un Pinocchio in legno a grandezza naturale con il quale condividere i miei giochi. Ho sempre odiato invece la versione della Disney, con la sua ambientazione tirolese, con tanto di calzoncini con le bretelline e orologi a cucù. Peccato che per molti bambini sia diventata proprio quella l’immagine del “vero” Pinocchio, vittima innocente insieme alla povera Alice di una bieca quanto insensata forma di revisionismo fiabesco.
Quando iniziai a voler fare cinema cominciai a progettare una mia versione del Pinocchio e ne 1997 feci un lavoro televisivo, molto sperimentale, una sorta di video-teatro dal titolo “Pinocchio apocrifo”, dove contaminavo la fiaba collodiana con influenze lombrosiane e shelleyane. Il mio Pinocchio era una sorta di piccola creatura muta ed infelice che portava su di se le stigmate anatomiche del “Criminale nato” di Cesare Lombroso e la perturbante diversità del Frankenstein. Nonostante il lavoro di allontanamento dalla favola per ragazzi ricevetti addirittura il patrocinio della Fondazione Collodi ed il lavoro ebbe un ottimo riscontro in molti festival.

Certo si trattava di una cosa molto sperimentale, forse un po’ troppo intellettuale, ma proprio quell’esperienza mi spinse a cercare di trovare un compromesso più commerciale per cominciare a pensare ad una mia trasposizione cinematografica che potesse arrivare ad un pubblico più ampio. Cominciai così a buttare giù idee e disegni, cercando appoggi produttivi e strade valide per far partire il progetto.

Ma un bel giorno arrivò  Roberto Benigni, che in preda a suggestioni felliniane si approprio di Pinocchio e ne fece una sua versione, sicuramente fedele allo spirito originale, ma discutibile e bislacca per alcune scelte. Il nostro Benigni era assolutamente più pinocchiesco in alcune ispirate inquadrature de “La voce della luna” che nel film in questione. D’altronde fu proprio Fellini ad instillare nell’attore toscano il primo germe dell’idea di lavorare sulla realizzazione di una nuova versione de “Le avventure di Pinocchio”; diceva sempre che Roberto incarnava lo spirito di due grandi italiani: Giacomo Leopardi e Pinocchio.

Così abbandonai l’idea, riproponendomi di far passare qualche anno per far decantare la questione e poi ricominciare a ripensare alla mia rivisitazione in chiave macabra in un momento più adatto. Furono anni non del tutto tranquilli, perché qua e là si riaffacciava ogni tanto qualche Pinocchietto strambo, come quello del bel fumetto di Ausonia “Pinocchio – Storia di un bambino” o dello spiazzante film giapponese intitolato “964 Pinocchio”.

Ora Guillermo Del Toro ha dato nuovamente inizio al gioco. Che fare? Beh, prima di tutto auguro tutta la fortuna possibile al nuovo Pinocchio, rimanendo in fremente attesa di poter vedere presto il risultato. Ed poi farò decantare ancora un po’ la cosa, aspetterò altri anni, continuando a buttare giù idee e schizzi. Ma nel frattempo mi dedicherò ad un altro progetto che parte anch’esso da suggestioni lontane nel tempo, suggestioni arrivate da un opera letteraria sicuramente meno famosa di Pinocchio, ma per me altrettanto importante: I Galgenlieder (Canti della forca) dello scrittore tedesco Christian Morgenstern.

Stefano Bessoni

 

La storia di Stefano (Bessoni) è come poche, l’occasione mancata che colpisce  chi invece sarebbe pronto a coglierla ma che viene ostacolato da ciò che di più meschino c’è al mondo: il denaro. Denaro che purtroppo serve per realizzare sogni, ma che viene forse speso per qualcosa di più simile al reale, qualcosa che non spaventa e non stimola l’immaginazione. Meno male che ancora qualcuno c’è che non ha paura di sognare e di lottare per un sogno. Forse, se ci fossero state più persone come Stefano, Dylan Dog non sarebbe uscito dal nostro paese, né avrebbe subito le mutilazioni di cui è stato vittima nella prossima scialba trasposizione Made in Usa. Noi ci rivolgiamo principalmente a quelli che materialmente possono fare qualcosa, per aiutare questi pensieri, questi progetti, e ci auguriamo che questa “lunga notte” finisca presto.

Chiara Guida

Box Office ITA 21/02/2011

Femmine contro Maschi si conferma ancora una volta primo, seguito dagli ottimi esordi di Amore e altri rimedi e Il cigno nero. A eccezione de Il grinta, pessimi risultati per le altre new entry.

Quello appena trascorso può essere definito un weekend “di qualità”, considerando alcune nuove uscite: è il caso delle pellicole nominate agli Oscar, rispettivamente Il grinta, Il cigno nero e Un gelido inverno. Ma a cantar vittoria sono in pochi.

Non era poi così certo che Femmine contro Maschi si confermasse anche questa volta al primo posto della classifica italiana; ma la commedia italiana vi riesce per neppure 100.000 euro di differenza: il film raccoglie infatti 1.347.000 euro, per un totale di 9,8 milioni, contro 1.274.000 euro incassati da Amore e altri rimedi, la new entry più ‘forte’ della settimana.

Segue il buonissimo debutto de Il cigno nero, che ottiene 1.098.000 euro: merito di certo della curiosità nei confronti dell’ottima performance della protagonista Natalie Portman, Oscar praticamente annunciato.

Il grinta registra un risultato simile, incassando 1.041.000 euro: il film dei Coen è stato però distribuito in un maggior numero di copie rispetto a Il cigno nero, ma bisogna anche ricordare che il western non è un genere molto amato in Italia.

Sanctum scende così al quinto posto, raccogliendo altri 712.000 euro per 2,4 milioni totali. Segue Immaturi, arrivato a quota 14,1 milioni con altri 690.000 euro.

Il discorso del re scende al settimo posto con 563.000 euro e arriva all’ottimo totale di 4,3 milioni.

Sono il numero quattro segna un esordio alquanto soddisfacente con i suoi 526.000 euro. Seguono due pellicole in calo: I fantastici viaggi di Gulliver (503.000 euro) e Qualunquemente (286.000 euro), che giungono rispettivamente a 2,8 e 15,6 milioni complessivi.

Da segnalare infine i pessimi risultati delle altre novità del fine settimana: Il padre e lo straniero (sedicesimo) raccoglie 71.000 euro, mentre Come lo sai? (diciottesimo) incassa 64.000 euro in un numero di copie pari alla metà del film diretto da Ricky Tognazzi.
Deludente anche il ventesimo posto de Un gelido inverno, che ottiene solo 63.000 euro nelle 19 sale in cui ha debuttato, ma con una media migliore rispetto a queste new entry.

Harry a Pezzi: recensione del film di Woody Allen

Harry a Pezzi: recensione del film di Woody Allen

Harry A Pezzi è il film del 1997 di Woody Allen con protagonisti oltre a Woody Allen anche Billy Crystal, Demi Moore, Amy Irving, Robin Williams e Stanley Tucci. Harry A Pezzi (titolo originale “Deconstructing Harry”) è il 28° film del maestro della commedia Woody Allen. Un regista che con i suoi film è capace di auto-psicanalizzarsi ed essere molto auto-ironico, cercando però al contempo di analizzare la società contemporanea soprattutto nei suoi difetti.

Veniamo alla trama di Harry A Pezzi. Harry Block è uno scrittore sessantenne in piena crisi creativa (chissà, magari il cognome scelto da Allen per il suo personaggio non è casuale), alla quale si somma la crisi nella vita “reale” con le donne e gli amici. Ed ecco che Harry va letteralmente a pezzi, e comincia a mescolare la realtà con le storie dei suoi libri; i personaggi reali con quelli immaginari. Tanto che per lo spettatore diventa impossibile capire quali sono i personaggi di fantasia e quali sono quelli della realtà.

Anche in questo film, Woody Allen ironizza sull’amore e sull’amicizia, ma soprattutto sul sesso e sui tradimenti. Dinamico e divertente, questo lungometraggio vuole essere un messaggio chiaro di Allen al pubblico: la sua frizzantezza, la sua voglia di mettere in gioco le proprie idee, i suoi disastri sentimentali, i suoi atteggiamenti buffi, non si sono assopiti. Tanto che negli anni successivi, fino ai giorni nostri, proporrà altre commedie gradevoli. Tra una gag e l’altra, intrecci esilaranti, disastri amorosi vari, rapporti sessuali occasionali, il film scorre piacevolmente, in una sorta di psico-analisi per Allen, in chiave divertente, frizzante, autoironica.

Harry A Pezzi è stato uno dei candidati al premio Oscar 1998 per la migliore sceneggiatura originale, dopo essere stato anche presentato fuori concorso al Festival di Venezia il 26 agosto 1997. E’ stato girato principalmente nella città di New York, scenario frequente, come altre grandi metropoli, dei suoi film. Tra le location vi è il Central Park e la West End Avenue, nel distretto di Manhattan, e la Drew University a Madison, nel New Jersey.

Il cast di Harry A Pezzi è di tutto rispetto: tra gli altri compaiono, oltre che ovviamente Allen, anche Demi Moore, Amy Irving, Robin Williams, Billy Crystal, Elisabeth Shue, e Tobey Maguire.

Una Storia Vera

Una Storia Vera è il film del 1999 di David Lynch con Richard Farnsworth e Sissy Spacek.

“Una storia vera” (titolo originale “The Straight Story”) è un film del 1999 diretto da David Lynch. Il lungometraggio è un inno alle cose semplici della vita, dell’importanza della famiglia. Fattori che la frenesia quotidiana della vita moderna ci ha fatto ormai dimenticare. Non manca nemmeno l’ironia

La trama racconta un fatto realmente accaduto. Alvin è un 73enne che vive con una figlia diventata un po’ ritardata dopo che le furono sottratti i figli a seguito di un incendio, del quale non aveva neppure colpa. Venuto a conoscenza che il fratello Lyle ha avuto un infarto, decide di andarlo a trovare, benché i due non si parlino da molti anni. E decide di farlo con un trattore, il mezzo che usava per lavorare essendo un contadino, sebbene i due siano divisi da decine di migliaia di Km. Alvin si trova nell’Iowa mentre Lyle nel Wisconsin. Il viaggio sarà anche un modo per ripercorrere la propria vita, oltre che confrontarsi con i nuovi valori dominanti nella società. Evidente infatti la differenza tra il suo modo di vivere lento e pacato da un lato e la frenesia del Mondo che lo circonda dall’altro. Bella la metafora legata ai due fratelli meccanici che litigano tra loro, che egli riprende facendogli notare l’importanza dell’essere fratelli.

Una commedia piacevole, distensiva, che ci mostra un’America solidale raramente vista nei film. Piacevole anche la colonna sonora che accompagna la storia, scritta da Angelo Badalamenti, basata soprattutto sulla fisarmonica. Badalamenti palesa chiare origini italiane, benché ci tenga a sottolineare che non ha parentele con il noto Boss. A rendere il film distensivo, oltre che la musica, ci pensano anche le immense praterie sullo sfondo. Un verde che nelle nostre grigie città vediamo sempre meno. Si basa su un fatto realmente accaduto e racconta la storia di Alvin Straight, un contadino dell’Iowa che nel 1994, a 73 anni di età, intraprese un lungo viaggio a bordo di una motofalciatrice per andare a trovare il fratello reduce da un infarto. Straight coprì in 6 settimane la distanza di 240 miglia (386 chilometri circa), viaggiando a 5 miglia all’ora (8 km/h).

Il titolo originale, “The Straight Story”, contiene un gioco di parole, poiché vuol dire “La storia di Straight” (il protagonista del film), ma anche “La storia dritta”, che indica la linearità del viaggio effettuato da Alvin Straight per raggiungere il fratello e, metaforicamente, la linearità della vita. È stato presentato in concorso al 52º Festival di Cannes.

Un film alquanto inusuale per il regista David Lynch, giacché egli ha proposto solitamente film “visionari” e/o che propongo il lato più oscuro e inquietante delle cittadine americane. Tra i suoi film si ricordano “Velluto blu”, “Strade perdute”, “Mulholland Drive”; ma anche il malinconico e toccante “The Elephant man”, descrizione della vita difficile di un uomo deformato. O ancora, la serie tv che sconvolse una generazione a cavallo tra gli anni ’80 e ’90: “Twin Peaks”.

L’attore protagonista, Richard Farnsworth, si suicidò nel 2000 ad un anno dall’uscita del film, all’età di 80 anni. Si sparò all’interno del suo ranch in Lincoln, nel Nuovo Messico. Prima del film, gli era stato diagnosticato un cancro alle ossa in fase terminale. Si narra che girò questo film soffrendo. Farnsworth aveva ancora tanta voglia di vivere.

Nicole Kidman: un’australiana a Hollywood

Nicole Kidman: un’australiana a Hollywood

Nei primi anni ’80, al suo esordio televisivo, era solo una bella ragazza australiana Nicole Kidman, con la passione per il mondo dello spettacolo, e non immaginava certo, né lo immaginavano i critici e il piccolo pubblico che allora la seguiva, che sarebbe diventata una delle attrici più famose, amate e pagate d’America. Ha interpretato spesso ruoli da “ragazza di buona famiglia”, o altezzosa aristocratica, aiutata da un’innata eleganza che le conferisce un perfetto phisique du role.

Ciò non di meno, dai grandi registi che l’hanno diretta (da Gus Van Sant a Stanley Kubrick, a Lars Von Trier) si è fatta plasmare, interpretando personaggi forti, ed esplorando a fondo anche il proprio lato oscuro. Nei primi anni ’90 la sua notorietà ha subìto un’impennata grazie al matrimonio con il collega Tom Cruise, ma oggi, dopo i premi e riconoscimenti internazionali che le sono piovuti addosso per le sue indiscusse qualità artistiche, si può ben dire che la stella Nicole Kidman brilli di luce propria. Dicevamo delle origini australiane. In realtà, l’attrice è nata a Honolulu il 20 giugno del 1967 e nei primi anni ha vissuto in America per motivi di lavoro del padre, ricercatore, biochimico e psicologo clinico. All’età di quattro anni, però, sempre a causa del lavoro paterno, si è trasferita con la famiglia a Sidney, in Australia.

Qui è rimasta fino alla fine degli anni ’80, e anche in seguito al trasferimento negli Usa, ha sempre ribadito il proprio legame con la terra australiana. Da piccolissima studia danza, per poi dirigersi verso la recitazione. Studia infatti arte drammatica a Melbourne, teatro e storia. Per assistere ai suoi esordi davanti alla macchina da presa, dobbiamo però attendere il 1983, quando è protagonista del video Bop Girl, che accompagna un pezzo della cantante Pat Wilson. Da questo momento in poi, la vediamo in diversi lavori per la televisione  come Bush Christmas (1983), la soap opera australiana Country Practice (1985) e la mini serie Vietnam (1987). Allo stesso anno risale perfino un film per la nostra Rai tv: Un’australiana a Roma, accanto a Massimo Ciavarro. Il sogno di Nicole resta però il cinema. Nel 1989 i suoi sforzi per farsi notare dai registi del grande schermo sono premiati: l’australiano Philip Noyce la vuole accanto a Sam Neill e Billy Zane nel suo Ore 10: calma piatta, un thriller ben orchestrato e ricco di suspence, che la lancia definitivamente nel mondo del cinema. È poi accanto all’anglo-australiano Noah Taylor (che forse ricorderete come protagonista di E morì con un felafel in mano) e all’amica Naomi Watts nella commedia Flirting dell’inglese John Duigan.

Si trasferisce quindi negli Usa, dove l’anno dopo viene scelta da Tony Scott, fratello di Ridley Scott e già regista di Top Gun, per affiancare Tom Cruise nell’avventuroso Giorni di tuono, ambientato nel mondo delle corse automobilistiche. Certo non un capolavoro della cinematografia, che però contribuisce a far conoscere la Nicole Kidman in America e a farle incontrare Cruise. I due si sposano nel’91, quando l’attrice è alle prese con il gangster movie di Robert Beton Billy Bathgate – A scuola di gangster, nel quale condivide il set con Dustin Hoffman. L’anno successivo è Ron Howard a puntare ancora sulla coppia Cruise – Kidman per la sua avventurosa commedia Cuori ribelli, racconto di formazione con storia d’amore annessa tra due ragazzi irlandesi di diversa estrazione sociale (di modeste origini lui, di buona famiglia lei). Il tutto nella cornice storica di fine Ottocento, che vede schiere d’inglesi emigrare in America, col miraggio della terra. I due ribelli protagonisti della pellicola legheranno le proprie speranze di un futuro insieme, proprio alla conquista di un pezzo di suolo americano.

Nicole Kidman: un’australiana a Hollywood

Nel ’93 Nicole Kidman cambia genere e passa a interpretare Tracy, la moglie di un preside alle prese con un pluriomicida e problemi di coppia nel thriller Malice – Il sospetto. Ma è nel ’95 che l’attrice emerge definitivamente, dando prova del suo indubbio talento recitativo, nel ruolo di un personaggio dai toni forti. È infatti protagonista de Da Morire di Gus Van Sant.   Nicole Kidman interpreta qui magistralmente Suzanne, il cui unico obiettivo è quello di sfondare nel mondo dello spettacolo, possibilmente in televisione, e che per raggiungerlo è disposta a qualunque cosa. Personaggio doppio, che cela dietro un aspetto affascinante e innocente una personalità ossessiva e cinica. L’interpretazione le vale il primo riconoscimento di peso: il Golden Globe come Miglior Attrice.

Nello stesso anno cambia genere e si dà al fantastico, partecipando al Batman di Joel Schumacher, al fianco di Val Kilmer e Jim Carrey. A lei è affidato il ruolo della bella psichiatra Chase Meridian. Nel ’96, splenderà in tutto il suo fulgore ed eleganza nelle mani della regista neozelandese Jane Campion, che le affiderà il ruolo da protagonista in Ritratto di signora, trasposizione cinematografica del romanzo di Henry James. Ed è proprio nell’interpretazione della malcapitata Isabel Archer che la Kidman offrirà una delle grandi prove della sua carriera. Da ricca ereditiera desiderosa di mantenere la propria libertà, piena di speranze per il futuro, finirà per essere moglie sottomessa e frustrata dell’affascinante ma cinico ed egoista John Malkovich che, fintosi innamorato, si rivela interessato solo al suo denaro. Vittima della trappola abilmente intessuta da Malkovich/Gilbert Osmond, Isabel non si sottrarrà però alle proprie responsabilità, portando il peso delle proprie scelte. La Kidman incarna perfettamente i mutevoli stati d’animo della donna nella sua parabola esistenziale. Dalla spensieratezza e ingenuità degli inizi, all’asprezza dolente dell’epilogo. Premio Pasinetti per la Regia a Venezia per Jane Campion.

Ma a Nicole Kidman piace cambiare e la ritroviamo nel thriller di Mimi Leder The Peacemaker (1997), così come nella commedia fantastica Amori & Incantesimi, dove, insieme con Sandra Bullock, forma una coppia di sorelle streghe. Un altro punto nodale della sua carriera artistica è senza dubbio l’incontro con uno dei grandi maestri del cinema mondiale: Stanley Kubrick.

Il regista americano la vuole infatti per il suo ritorno alla direzione cinematografica dopo Full Metal Jacket (1987). E la vuole accanto a suo marito Tom Cruise, per affidare loro i ruoli della coppia protagonista di Eyes Wide Shut (1999), adattamento del romanzo di Arthur Schnitzler, Doppio Sogno. Il film, che sarà l’ultimo del regista, è preceduto da lunghi pettegolezzi e indiscrezioni più o meno fondate su quanto accade durante le lunghissime riprese, sulla maniacale direzione di Kubrick e sui problemi con gli attori e tra gli attori sul set. Al centro della pellicola, il rapporto logorato tra i coniugi Harford, una riflessione sul sesso all’interno della coppia e su come esso si nutra di fantasie, illusioni, tradimenti immaginari e quant’altro parta dal profondo della mente per affiorare alla superficie dei sensi. Ne risulta un film onirico, del tutto peculiare, di non facile lettura.  Nel 2001, anno della fine del suo matrimonio con Tom Cruise, assieme al quale ha adottato due bambini (Connor Anthony e Isabella Jane), Nicole è protagonista di una pellicola che riscuote un buon successo di pubblico e critica: Moulin Rouge! dell’australiano Baz Luhrmann.

Il film la vede accanto a Ewan McGregor. Qui interpreta la più bella e desiderata cortigiana del noto locale parigino, Satine, alle prese con una storia d’amore col poeta squattrinato Mc Gregor/Christian, ovviamente osteggiata dal ricco pretendente di Satine di turno. Questa favola metropolitana sul sentimento d’amore, però, è raccontata con una cifra stilistica che mescola varie suggestioni: la commedia, il musical, il dramma (Satine morirà sul palcoscenico, tra le braccia di Christian) in maniera molto originale. Oltre alla mescolanza di stili, c’è anche quella di tempi: l’ambientazione infatti è fine ‘800, ma le canzoni interpretate dai due protagonisti, cantanti per l’occasione, sono tratte dal repertorio contemporaneo (Marylin, Police, Queen, Elton John tra gli altri). Sulla scena si muovono personaggi che sono autentiche macchiette, come la figura del pittore Toulouse-Lautrec. Dominano clamore e colori forti, anche kitch, che rendono l’atmosfera chiassosa della Parigi dell’epoca. La pellicola è certamente di grande effetto scenografico e riceve diversi riconoscimenti: Oscar per scenografie e costumi, e tre Golden Globe (Miglior Film, Nicole Kidman Miglior Attrice in un film brillante, Craig Armstrong Miglior Colonna sonora). L’attrice australiana mostra qui ancora una volta la sua capacità di adattamento ai ruoli più vari. Inoltre, il lavoro che fa sulla sua voce per questo film, le consentirà anche varie incursioni nel mondo della musica, di cui forse la più nota resta il duetto con Robbie Williams per il brano Somethin’ Stupid.

Proprio in virtù della versatilità dell’attrice, lo stesso anno viene scelta per l’horror-thriller del regista spagnolo Alejandro Amenábar, The others, di cui è splendida protagonista, sospesa tra il mondo dei vivi e quello dei morti, assieme ai due figli. Ruolo ancora una volta complesso di donna da un lato austera e rigida, dall’altro estremamente fragile e instabile. Un ruolo doppio per lei arriva anche nella commedia drammatica Birthday Girl, di Jez Butterworth, dove interpreta la russa Nadja, accanto a Ben Chaplin e Vincent Cassel.

Nel 2002 finalmente, il meritato premio Oscar per la sua interpretazione di Virginia Woolf in The Hours, tratto dall’omonimo romanzo di Michael Cunningham e diretto da Stephen Daldry. Il regista tenta l’ardua impresa della trasposizione cinematografica di questa complessa opera, che vede protagoniste tre donne accomunate dal romanzo Mrs. Dalloway, capolavoro della Woolf. Una è proprio la scrittrice stessa, poco prima del suicidio, negli anni ’20; l’altra è Laura (Julianne Moore), moglie insoddisfatta, soffocata dalla famiglia, negli anni ’40; e infine la contemporanea Clarissa interpretata da Meryl Streep. Ad accomunare le tre donne, oltre al suddetto testo, anche il loro essere frustrate, insoddisfatte della propria vita e trovarsi di fronte a una scelta. Nicole Kidman veste perfettamente i panni della scrittrice, anche prestandosi a cambiamenti di fisionomia per somigliare maggiormente a Virginia. Il resto lo fa la sua recitazione, con cui abilmente si immedesima nel travaglio interiore della donna, risoltosi poi nella tragica fine. Incetta di premi per Nicole, insignita anche del Golden Globe e dell’Orso d’Oro a Berlino. Quest’ultimo riconoscimento è andato anche alle colleghe Moore e Streep. A Nicole non mancano occasioni per altre importanti esperienze cinematografiche. Il 2003 è l’anno di Minghella, che la vuole per il suo dramma sulla guerra di secessione americana Ritorno a Cold Mountain, ad interpretare Ada, la ragazza di buona famiglia di cui s’innamora Jude Law/Inman, di origini modeste, che parte subito dopo per la guerra. È la storia del travagliato ritorno di lui, disertore, da lei, che nel frattempo manda avanti quasi da sola la sua fattoria, aiutata solo dall’amica Ruby (una Zellweger di carattere, premiata con l’Oscar). E anche qui quello della Kidman è un personaggio in evoluzione: da romantica e delicata fanciulla a donna forte e volitiva, che si confronta con le asprezze della vita e prende in mano il suo destino.

Ma è anche l’anno di Lars Von Trier, che la sceglie per il suo Dogville, in cui interpreta la bella Grace, che cerca rifugio nel piccolo paese che dà il titolo al film. Qui la accolgono ma allo stesso tempo la sottoporranno ad ogni tipo di vessazioni, al punto da spingerla a una feroce vendetta. Scenografia quasi inesistente e impianto teatrale, per riflettere su cinismo, crudeltà, assenza di perdono, insomma su lati poco edificanti della natura umana. L’anno dopo, cambia genere e passa alla commedia con La donna perfetta di Franck Oz e Vita da strega di Nora Ephron, in cui riprende il personaggio della strega casalinga Samantha, celebre negli anni ‘60 e ’70. Certo non interpretazioni memorabili, ma che le consentono di allontanarsi per un po’ dai ruoli drammatici di cui non vuole restare prigioniera. Nel 2005 è invece sotto la direzione di Sidney Pollack, che su di lei incentra il thriller The interpreter. Qui è Silvia Broome, interprete all’Onu, che ascoltando una conversazione scopre un “intrigo internazionale” e finisce sotto la protezione dell’agente dell’FBI Tobin Keller/Sean Penn. La trama è intricata, Silvia e Tobin hanno entrambi dei lati oscuri, qualche ferita ancora aperta di cui non vogliono parlare, e sono accomunati dal desiderio che la parola e la diplomazia trionfino sulla violenza e la guerra. I due protagonisti offrono interpretazioni misurate e se ne apprezzano fascino e bravura, nonostante il contesto assai rigido. Nella stesso anno, Nicole Kidman conosce il cantante country Keith Urban, che sposa nel 2006. I due avranno due figlie: Sunday Rose e Faith Margaret. In ambito lavorativo, Nicole veste poi i panni della fotografa americana Diane Abrus nel film Fur: un ritratto immaginario di Diane Abrus di Steven Shainberg. Non paga del suo saltare da un genere all’altro, si dà anche al fantasy, con La bussola d’oro di Chris Weitz (2007), poi ritrova Baz Luhrmann nell’epico Australia (2008).

Nel 2011 arriva invece nelle sale italiane Rabbit Hole, di John Cameron Mitchell, in cui la Kidman veste i panni di Becca Corbett, impegnata assieme al marito Howie/Aaron Eckhart nell’affrontare la perdita del figlio, morto in un incidente. La pellicola vede l’attrice anche nella veste di produttrice. Già dal 2004, infatti, è attiva anche nel campo della produzione cinematografica. Infine, si prepara per l’attrice australiana l’ennesimo ruolo complesso: dovremmo infatti vederla presto in The Danish girl interpretare il primo transessuale della storia, ossia il pittore danese Einar Wegener, diretta da Lasse Hallström.

Rutger Hauer in Dracula 3D

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rutgerhauer

Dall’European Film Market del festival di Berlino, arriva la notizia che vorrebbe Rutger Hauer partecipare al prossimo Dracula 3D diretto da Dario Argento. Lo riferisce la Film Export Group di Roberto Di Girolamo, che produrrà il film, aggiungendo che Hauer interpreterà il suo conterraneo stokeriano, il prof. Van Helsing.

Thor nuovo Trailer!

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Thor nuovo Trailer!

thor

Dopo il primo trailer ufficiale pubblicato nel mese di dicembre scorso, ecco un nuovo trailer ufficiale del nuovo cinecomic targato Marvel, quello dedicato ad un eroe amatissimo come il Dio del Tuono Thor e che arriverà sui nostri schermi il 27 aprile prossimo.

 

Lo Hobbit: il set in costruzione

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Lo Hobbit: il set in costruzione

Collider informa tutti gli scettici che armai credevano che Lo Hobbit fosse destinato a rimanere solo un progetto, che il set è in costruzione. Lo testimoniano le foto che circolano sul web da qualche ora, diffuse da TheOneRing.net, sorta di blog ufficiale della produzione.

L’adattamento del primo romanzo di Tolkien, che nella trama precede anche gli avvenimenti raccontati ne Il Signore degli Anelli, sarà diretto da Peter Jackson che griderà la prima ‘azione’ il 21 marzo. Come si può vedere dalla foto, gran parte del cast principale è già arrivato in Nuova Zelanda.

Fonte: TheOneRing.net via Collider.com

The Hobbit: il set in costruzione

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The Hobbit: il set in costruzione

Collider informa tutti gli scettici che armai credevano che Lo Hobbit fosse destinato a rimanere solo un progetto, che il set è in costruzione. Lo testimoniano le foto che circolano sul web da qualche ora, diffuse da TheOneRing.net, sorta di blog ufficiale della produzione.

L’adattamento del primo romanzo di Tolkien, che nella trama precede anche gli avvenimenti raccontati ne Il Signore degli Anelli, sarà diretto da Peter Jackson che griderà la prima ‘azione’ il 21 marzo. Come si può vedere dalla foto, gran parte del cast principale è già arrivato in Nuova Zelanda:

http://collider.com/wp-content/uploads/the-hobbit-cast-image-600x349.jpg

Ecco invece le foto del set in costruzione:

Fonte: TheOneRing.net via Collider.com

X-Files – Voglio crederci: recensione del film

X-Files – Voglio crederci: recensione del film

X-Files – Voglio crederci è il film del 2008 di Chris Carter con protagonisti David Duchovny, Gillian Anderson, Mitch Pileggi, Billy Connolly, Amanda Peet, Alvin Joiner, Callum Keith Rennie. La pellicola è basata sull’omonima serie tv, vero e proprio cult del piccolo schermo.

X-Files – Voglio crederci, la trama: Sono passati sei anni da quando gli agenti Mulder e Scully sono spariti: lui vive isolato anche perché è ancora ricercato, lei lavora in un ospedale cattolico in zona e sono legati da un rapporto che ormai va oltre l’amicizia. L’FBI sta indagando su una serie di sparizioni e di omicidi di donne: l’ultima, ancora non ritrovata, è un’agente federale, e un sacerdote cattolico, padre Joe Crissman, condannato per pedofilia, ha delle visioni sugli omicidi.

Due agenti federali contattano Scully e poi Mulder, per convincerli a collaborare: cadranno tutte le accuse su Mulder, lui recalcitrante accetta. L’indagine li porterà a scoprire un traffico d’organi, ma anche il delirio di un uomo, uno dei bambini vittime di padre Joe oggi in contatto misterioso con lui, che vuole ridare nuova vita al suo compagno con i pezzi dei cadaveri delle donne sparite.

X-Files – Voglio crederci, l’analisi

Dieci anni dopo il primo film e sei dopo la fine della serie, la nostalgia dei fan c’era comunque tutta, e Chris Carter con i suoi soci, dopo vari rinvii, realizza il secondo film di X-Files, titolo originale I want to believe, la famosa frase del poster di Mulder nel suo studio. Per scelta, stavolta il film non è inserito nella tutt’altro che conclusa mitologia, ma è una storia a sé, per conquistare nuovi appassionati.

In realtà gli appassionati restano quelli della serie, anche perché la vicenda è comunque legata ai fatti raccontati nelle nove stagioni: impossibile capire tutti i riferimenti se non si conosce la serie, così come il rapporto tra Mulder e Scully, adesso compagni di vita ma non come avevano immaginato gli spettatori nelle fanfiction.

Se le premesse non sono niente male, le prime due scene sono notevoli, e ottimo è il personaggio di padre Joe, antieroe odiato da Scully tornata scettica più per disgusto per il suo crimine, se piace rivedere Mulder e Scully, e magari sapere che stavolta c’è qualcosa di tenero tra di loro, se si parla di cose scomode e coraggiose come la pedofilia e l’omosessualità (ma poco approfonditamente!), se fa piacere sapere che Skinner si è salvato, ci sono alcune cose che non convincono.

Tra i due nuovi agenti federali, poco carismatici (perché non richiamare in servizio i buoni Doggett e Reyes, che hanno retto ottava e nona stagione?), Scully trasformata in Dottor House della situazione con un’abbastanza straziante storyline legata ad un bambino malato e la confusa storia di trapianti di arti come neanche faceva il dottor Frankenstein (un serial killer sarebbe stato più efficace!), X-Files – Voglio crederci sembra di più a tratti un’occasione mancata che un ritorno in grande stile, una storia rimasta troppo a lungo nel cassetto e che convince a metà gli stessi fan più accaniti, ai quali sono dedicate diverse strizzate d’occhio ma che non bastano a riscattare una storia che è solo la pallida copia di quella che avrebbe potuto essere con soluzioni narrative diverse.

Vien da dire peccato, perché da chi aveva inventato la serie cult per eccellenza degli anni Novanta era lecito aspettarsi e pretendere molto di più, ricordando episodi sia delle prime che anche delle ultime stagioni. Comunque pare che Chris Carter, riallacciandosi alla storia della fine del mondo nel 2012 prevista dal calendario Maya citata anche nel series finale della nona stagione, abbia in progetto un terzo film, di cui è pronta la sceneggiatura e che potrebbe diventare realtà presto. I fan sperano che stavolta sia fatta giustizia ad una serie che ha fatto epoca, e la cui parte mitologica merita una conclusione come si deve, sperando che sia così.

X-Files – Il film: recensione del film con David Duchovny

X-Files – Il film: recensione del film con David Duchovny

X-Files – Il film è il film del 1998 di Rob S. Bowman e primo film tratto dall’omonima serie cult. Nel cast protagonisti David Duchovny, Gillian Anderson, Mitch Pileggi, Martin Landau, William B. Davis, Blythe Danner, Terry O’Quinn e Armin Mueller Stahl.

X-Files – Il film, la trama: Durante la preistoria, nel luogo che noi conosciamo oggi come Texas, un uomo primitivo viene aggredito in una caverna da un virus nero liquido che lo trasforma in un alieno. Al giorno d’oggi un bambino cade nella stessa caverna e rimane lui stesso vittima dello stesso virus. Mulder e Scully, non più agli X-Files, vengono coinvolti in uno spaventoso attentato nel palazzo dell’FBI a Dallas, riuscendo a salvare i visitatori e i dipendenti, ma non tre vigili del fuoco e un bambino, che non avrebbero dovuto essere presenti nell’edificio.

Il dottor Arvin Kurtzweil, amico di gioventù del padre di Mulder e noto complottista, contatta l’agente Mulder e gli rivela che le quattro vittime erano già morte. Mulder con Scully comincia a investigare in maniera non ufficiale, scoprendo una pista che li porterà fino al Polo Sud, in un’antica nave aliena…

X-Files – Il film, l’analisi

1998, X-Files – Il film è al massimo del successo e, come già successo con Star Trek, si decide di farne un film, sfruttando il filone della mitologia sugli alieni e sulla colonizzazione, ponendosi come trait d’union tra la quinta stagione (che secondo il produttore Chris Carter avrebbe dovuto essere in un primo momento la conclusione) e la sesta, quando Mulder e Scully hanno visto distrutto il loro lavoro di cinque anni da un incendio doloso e hanno dovuto trovarsi un altro incarico all’FBI. Ovviamente torneranno agli X-Files, ma questa è un’altra storia.

Effetti speciali decisamente notevoli, rispetto alla serie che vive, soprattutto nelle prime stagioni, in modo più dimesso ma non meno intrigante, la trama è interessante, ma sconta un grosso limite: quello di essere only for fans, solo per gli appassionati di Mulder e Scully e delle loro indagini, infatti risulta difficile seguire le sfumature delle vicende se non si sono visti almeno gli episodi della mitologia, dei quali mancano però alcune situazioni e personaggi, come l’affascinante ed ambiguo Alex Krycek.

I fan comunque hanno apprezzato X-Files – Il film, e non solo perché sul grande schermo è tutto più spettacolare, ma perché ci sono alcuni importanti nodi di sviluppo della vicenda dei loro beniamini, buon ultima finalmente una dichiarazione d’amore di Mulder a Scully insolita e molto partecipata. Certo, rispetto a certi episodi della serie televisiva fino a quel momento, e ad altri successivi, la trama soffre un po’ per le inevitabili concessioni alla commercialità del cinema, buon ultimo Mulder che come un cavaliere senza macchia e senza paura salva la sua Scully come in ogni buon film d’azione che si rispetti.

Si sarebbe potuto fare di meglio, ma quello che è venuto fuori non è male, tra colpi di scena, rivelazioni esclusive che influenzeranno le quattro stagioni successive, David Duchovny e Gillian Anderson reggono bene il grande schermo in X-Files – Il film (anche se nella loro carriera successiva preferiranno l’uno di nuovo la televisione, l’altra teatro e televisione britannici), i due veterani Martin Landau e Armin Mueller Stahl si mangiano tutti come recitazione, e peccato che non siano diventati ricorrenti, il finale poteva essere eloquente.

Imperdibile per i nostalgici di una serie così recente ma ormai anche così storica, interessante e intrigante per far scoprire un mondo cult a nuovi spettatori, sempre che si abbia voglia di vedere poi tutte le nove stagioni.

Rapunzel – l’intreccio della Torre: recensione del film

Rapunzel – l’intreccio della Torre: recensione del film

La recensione del film d’animazione Rapunzel, la pellicola diretta da Nathan Greno e Byron Howard.

In un lontano regno delle fiabe tutti i sudditi sono preoccupati per la sorte della regina, incinta del sospirato erede ma malata e in fin di vita: grazie a un fiore magico giunto sulla terra con una goccia di Sole, la regina riesce a guarire e a far nascere la principessa Rapunzel che eredita i magici poteri curativi della pianta nei suoi biondi capelli; una vecchia ossessionata dal desiderio di rimanere giovane che aveva già scoperto i poteri del fiore magico rapisce la piccola e la rinchiude in una torre dove lei resterà con i suoi lunghi capelli magici crescendo con la speranza di poter un giorno uscire a vedere il mondo. Un giorno l’affascinante ladro Flynn Rider si rifugia nella torre per sfuggire ai suoi inseguitori…

Regia: Nathan Greno e Byron Howard

Anno: 2010

Con le voci di: Mandy Moore/Laura Chiatti: Rapunzel; Zachary Levi /Giampaolo Morelli –Massimiliano Alto: Flynn Rider; Donna Murphy /Giò Giò Rapattoni: Madre Gothel; Ron Perlman /Pino Insegno: Fratelli Stabbington.

Per un lavoro che aveva l’ingrato onere di rappresentare il cinquantesimo lungometraggio della canonica tradizione, la fiaba di Raperonzolo viene epurata di tutti i suoi elementi più inquietanti e incongruenti (raperonzoli compresi) per inserirsi perfettamente in più familiari contesti: dopo l’esperienza de La principessa e il ranocchio, affascinante ritorno alle vecchie tecniche di disegno purtroppo carente di ritmo ed emozione, il passaggio alla CGI era quasi inevitabile e molti potrebbero giudicarlo come la sconfitta definitiva, ma quando il risultato è così strabiliante e incantevole si può solo gioire e festeggiare per un ritorno di grazia tanto sperato e atteso: con la regia di Nathan Greno e Byron Howard (Bolt, Mulan, Koda fratello orso) grazie anche ai consigli e alle direttive di John Lasseter, storico nome della Pixar, la Disney impara la lezione senza però smarrire sé stessa: supportandosi di una sceneggiatura classica che riacquista fiducia nelle capacità di quelle principesse che da tanto tempo erano state dimenticate, Rapunzel condisce la ricetta con un po’ di sana ironia, prendendo in giro i suoi stessi meccanismi senza però ridicolizzarli (l’esperienza di Come D’Incanto, misto animazione e live action assolutamente riuscito, ha certamente insegnato a casa Disney a imparare a ridere di sé stessa  e delle sue divinità), regalandoci protagonisti svecchiati dal ruolo impostogli dai fratelli Grimm e nei quali diventa facile identificare sorrisi e paure di ieri e di oggi, citando allo stesso tempo le pellicole più indimenticabili del suo repertorio. Fra i tanti riferimenti velati alcuni si fanno più evidenti: la scena assolutamente spassosa nella locanda non può non ricordare quella de La Bella e La Bestia, nel regno del Sole hanno certamente usato il castello di Cenerentola per disegnare le proprie architetture, la curiosità di Rapunzel durante la visita al villaggio e la meravigliosa scena delle lanterne  nel cielo che i protagonisti ammirano in barca sul lago sono chiaramente ispirate alla Sirenetta e il protagonista maschile Flynn Rider, oltre a scherzare sulla galanteria e il fascino di Erroll Flynn (storico interprete di Robin Hood), prende da Aladdin alcuni atteggiamenti e sorrisi (oltre che per le parti cantate il doppiaggio di Massimiliano Alto), la spettacolare sequenza della diga pur non di Disneyana memoria non può non ricordare Indiana Jones.

Rapunzel – l’intreccio della Torre: recensione del film

In ogni caso, fra tutti i lavori omaggiati forse il più eclatante per ovvie ragioni di plot è Il Gobbo di Notre Dame, col quale sembra quasi correre su un binario parallelo: con lui la dolce Rapunzel condivide grande creatività e passione per vita che si esprimono attraverso arti pittoriche e non solo, cercando di sopravvivere alla prigionia in un gabbia dorata e dimenticata, col desiderio di andare fuori a vedere il mondo; non per realizzare chissà quali eroiche imprese ma semplicemente per essere parte di un evento straordinario che hanno osservato da lontano per tutta la vita e che nel loro cuore di adolescenti è diventato più importante di qualsiasi altra cosa (la festa dei folli per Quasimodo, la scia luminosa delle lanterne per la nostra protagonista)  per infrangersi contro le minacce di una figura loro vicina che li terrorizza con racconti di un’umanità malvagia e senza pietà. Distrutti da una cocente delusione, sia Quasimodo che Rapunzel ritornano di nuovo nel loro rifugio-prigione , riflettendo su quanto fossero stati in torto (“avevi ragione su tutto” è una battuta che viene ripetuta praticamente con le stesse parole da entrambi al cattivo di turno), per poi rendersi conto della verità e affrontare il male che tenterà di combatterli con un pugnale prima che il lieto fine possa finalmente trionfare.

Nonostante gli ovvi punti di contatto, la nuova pellicola della Disney prende comunque un’altra direzione che è di per sé ancora più inquietante: se per Quasimodo l’ostacolo da vincere non è soltanto la paura generata da Frollo ma quella della repulsione che gli altri possano provare per la sua diversità, nel caso di Rapunzel a impedirle di uscire è soprattutto il terrore di disobbedire a quella che lei crede essere sua madre. Madre Gothel, che ha cresciuto la bambina come una figlia solo per potersi mantenere eternamente giovane, è forse uno dei cattivi più perfidi mai concepiti dalla Disney; priva di qualsiasi potere magico, simile a Cher nella magnetica fisionomia e nella voluminosa permanente dei suoi ricci neri, si serve di un sortilegio molto più terribile di qualsiasi altro mai visto: una spudorata ipocrisia.

Nonostante sia ovvio per lo spettatore che sia lei il personaggio negativo della storia dato che come tale viene introdotto nel prologo, ella si presenta alla nostra eroina come una madre devota, fingendo il suo amore con una naturalezza e una spontaneità davvero spaventose; eppure, dietro dichiarazioni di affetto smisurato e baci e carezze materne si nasconde sempre, lì dietro l’angolo, una frase o un commento cattivo e denigratorio, una stoccata sottile come uno stiletto per sottolineare l’inadeguatezza, l’inconsistenza e l’inutilità della povera ragazza, mascherata da battuta scherzosa di pessimo gusto ma pur sempre detta dall’unica madre che lei abbia mai conosciuto. Ci può essere paura più grande che quella di non essere amati dai propri genitori?

Ciononostante, Rapunzel sembra nutrire per lei sincero affetto e dedizione, che consentono di far emergere quegli aspetti del suo carattere che la rendono un personaggio vivo e realistico per ogni spettatore: vivace, allegra e spensierata e ben lontana dall’essere la solita fanciulla in pericolo che attende un salvatore, la giovane è totalmente terrorizzata al pensiero di disubbidire, come ogni ragazzo che vorrebbe trovare il coraggio di buttarsi dal nido ma è intrappolato (o intrecciato secondo il titolo originale Tangled) da una famiglia iperprotettiva; la lotta interiore fra il rimorso per la fuga e la felicità per la grande avventura dà vita a uno dei momenti più divertenti dell’intera pellicola proprio per la freschezza e la spontaneità di quella continua volubilità di cui molte altre eroine, prese dai loro doveri e dai loro obiettivi, erano completamente prive.

RapunzelAssolutamente spassosi i personaggi che, armata di padella e lunghi capelli, incontra sul suo cammino, con animali non parlanti come da tradizione ma che nelle loro espressioni sono assolutamente irresistibili: il camaleonte Pascal, con le sue smorfie e le sue occhiate di ammonimento, Maximus, cavallo reale col fiuto di un segugio votato a combattere il crimine anche meglio di tutti soldati del regno che pendono dalle sue capacità investigative con un debole per le mele buone e saporite (a patto che siano state comprate e pagate secondo la legge), il brigante della taverna che invece di terrorizzare voleva soltanto realizzare il proprio sogno di essere un grande pianista, e i corpulenti Fratelli Stabbington che già nel nome nascono tutta la loro determinazione e caparbietà nell’inseguire il bottino perduto (richiama facile assonanza con l’inglese “stubborn” che significa testardo). Senza dimenticate naturalmente il bel Flynn Rider (all’anagrafe Eugene Fitzerbert) che con il suo omonimo di cinematografica memoria condivide una certa propensione ai furti anche se per donare unicamente a sé stesso, e che si innamora della protagonista dopo averne approfondito la conoscenza e conosciuto lo spirito; il “sorriso che conquista” che tanto era stato utile ai suoi predecessori, tutti quei principi di rango in calzamaglia che così avevano fatto scattare istantanei colpi di fulmine di pochi secondi senza nemmeno scambiare una parola con la loro pulzella, qui è sufficiente soltanto a fargli guadagnare una padellata sulla testa: era tempo di provare altre strade.

Come in ogni Cartoon Disney che voglia definirsi tale, i momenti musicali sono fondamentali e chiamare al timone lo storico Alan Menken (detentore del record di ben 8 premi Oscar) non poteva che rivelarsi una scommessa vinta: certo non siamo ai briosi livelli raggiunti in passato (ma quelli si erano già iniziati a smarrire nel 91′ dopo la morte dello storico collaboratore e paroliere Howard Ashman), ma le canzoni sono comunque orecchiabili e alcune sono davvero elettrizzanti (provate a stare fermi sulla poltrona durante la scena della danza del regno…); resta sempre l’ eterno problema della traduzione dei testi in italiano, che continua a essere piuttosto discutibile ma considerando che target di pubblico è costituito da bambini è effettivamente eccessivo nonché impossibile chiedere qualcosa di diverso a uno spettatore che non solo si stancherebbe subito di leggere i sottotitoli ma probabilmente nemmeno sarebbe capace di farlo data la sua giovanissima età. Unica solita pecca che condivide ormai con buona parte delle uscite di questi ultimi due anni è l’uso del 3D, che se non altro ha qui il merito di conferire profondità , ma sacrificando come al solito la luminosità dei colori che meritavano davvero di essere contemplati in tutta la loro brillantezza.

RapunzelNulla da dire dunque sulla qualità dell’animazione digitale se non per fare una lunga, lunghissima standing ovation: sfumature pastello di rosa verde e azzurro governano un mondo incantato dove ogni dettaglio, dal più piccolo fiore al più sottile riflesso dei biondi capelli, è curato alla perfezione, fino alla fantastica scena della diga dove vengono gettati sullo spettatore ben 87 milioni di litri di acqua virtuale. Il character design morbido e non troppo spigoloso facilmente potrebbe essere adattato all’animazione vecchio stile; non burattini freddi e inanimati in una realtà virtuale, ma personaggi palpabili dotati di sentimenti e profondità che si leggono facilmente nella luce dei loro occhi lucidi: ogni  sguardo di amore, odio e lacrime è assolutamente reale, quando proprio in una lacrima si nasconde il vero cuore di Rapunzel: quella che il re, dopo quasi 18 anni di separazione dalla figlia perduta, non riesce a trattenere per la disperazione davanti alla fiduciosa regina prima di accendere le lanterne della speranza: una sola, per consacrare Tangled come il meraviglioso e trionfale ritorno della Walt Disney Pictures.

Anne Hathaway, la Principessa agli Oscar: il ritratto

Anne Hathaway, la Principessa agli Oscar: il ritratto

Anne Hathaway, newyorkese classe ’82, l’Oscar non l’ha mai vinto. E’ stata in nomination come miglior attrice nel 2009 con Rachel sta per sposarsi (di Jonathan Demme) e ha recitato in un film come I segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee che nel 2005 di statuette ne ha vinte tre (regia, sceneggiatura, colonna sonora).

Proprio in questo film, dalle complesse tematiche, l’allora ventitreenne Hathaway si è cimentata in un ruolo non facile come quello di Lureen, donna di famiglia conservatrice sposata con un uomo che deve nascondere la sua omosessualità nell’arretra America rurale tra gli anni ’60 e ’70.

Anne Hathaway, filmografia

L’attore che interpretava il marito era Jake Gyllenhaal  (il Donnie Darko nel film cult del 2001 e l’ormai affermata celebrità di Hollywood). Se si aggiunge che a rendere Anne famosa e amata anche in Italia è stata la commedia brillante, Il Diavolo veste Prada (David Frankel, 2006) dove si presentava con volto pulito, sorriso smagliante e aria impacciata (stile Audrey Hepburn in Cenerentola a Parigi) a fianco di un’arcigna e ironica Maryl Streep, si sono toccati molti degli aspetti utili per parlare della più stringente attualità relativa ai rapporti tra Anne Hathaway e il cinema.

Infatti, la sua filmografia, dove prevalgono le commedie, e il suo precedente ruolo in coppia con Jake Gyllenhaal sono fili che vanno a ricollegarsi nel suo ultimo film (in Italia dal 18 Febbraio), Amore e Altri Rimedi di Edward Zwick (L’ultimo samurai;  Blood Diamond).

Il contestato titolo italiano smorza i toni dell’originale Love and others drugs e le tematiche sembrerebbero andare oltre la banale commedia romantica, strutturata su facili dicotomie, dove il Sesso deve confrontarsi con la complessità e la bellezza dell’Amore (almeno è ciò che ci si augura). Anne Hathaway deve ricoprire un ruolo in cui l’aspetto leggero, rappresentato dalla dinamica euforia di Maggie (il suo personaggio), si scontra con una realtà concreta e dolorosa come il Parkinson. Conciliare due momenti tanto diversi in un unico film non è una prova facile. Anche le scene di sesso tra lei e Jack Gyllenhaal, di cui inevitabilmente si parla, vengono presentate non come semplice spunto di gossip ma legate alla volontà di non scadere nei toni “pastellosi” di troppe commedie romantiche e dare concretezza e spessore tanto alla malattia quanto ai tanto sminuiti “sesso” ed “amore”.  Anne Hathaway sembrerebbe essere stata apprezzata da pubblico e critica americani. Ha conquistato la nomination come miglior attrice ai Golden Globe, premio che poi è stato vinto da Annette Bening con I ragazzi stanno bene (di Lisa Cholodenko).

Anne Hathaway tra nomination e Oscar

Mentre Annette Bening concorrerà anche per l’Oscar come miglior attrice, Anne Hathaway, che non è tra le nominate, prenderà parte al grande evento del 27 Febbraio in qualità di presentatrice e chissà che non debba premiare proprio la Bening.

In ogni caso, per Anne Hathaway, presentare la premiazione degli Oscar sarà un onore non da poco che la consolida tra le stelle dell’Academy. Sarà affiancata da James Franco, che a differenza di lei nutre anche qualche speranza di vincere il premio come miglior attore per 127 Ore, di  Danny Boyle (ma è più probabile che anche lui debba restare deluso e consegnare la statuetta al favorito Colin Firth, protagonista in  Il discorso del Re di Tom Hooper).

La serata degli Oscar vedrà concorrere un altro film in cui Anne Hathaway ha lavorato nel 2010: il discutibile adattamento di Tim Burton di Alice in Wonderland (effetti-costumi- scenografia). L’Alice in cui ha lavorato Anne Hathaway non è stata molto apprezzata anche perché non di certo aiutata dalle scelte di regia e sceneggiatura. Suo era il ruolo della White Queen nell’arbitrario adattamento dei due racconti di Carrol: una favola visionaria ben lontana dalla creatività del miglior Burton e ancor più lontana dall’essenza dei racconti di Lewis Carroll.

La scelta di Anne Hathaway come presentatrice sembra però, oltre che un riconoscimento, anche una scommessa per il prossimo futuro. Lei di premi in carriera non ne ha vinti molti e del resto, al di là dei film più noti di cui già si è parlato, non vanta  titoli di grande rilievo; la sua carriera inizia con Pretty Princess, film della Disney del 2001 con regia di Garry Marshall: il regista della favola contemporanea per antonomasia, Pretty Woman che nel 1990 lanciava quella Julia Roberts di cui la stessa Hathaway sembrerebbe seguire le orme. Nel 2004 recita nel seguito, Principe azzurro cercasi (ancora Garry Marshall).   Sempre nel 2004 interpreta il ruolo di protagonista in un’altra favola, Il magico mondo di Ella ( Ella Enchanted, regia di  Tommy O’Haver). Il suo legame con le favole continua perché nel 2005 presta la voce a “Rosso”, protagonista del pregevole film di animazione, Cappuccetto Rosso e gli insoliti sospetti  (di Cory Edwards).  Se Havoc (Fuori controllo)  per la regia di Barbara Kopple (2005) è un tentativo non troppo riuscito di uscire dai soliti personaggi , Agente Smart – Casino totale (Get Smart) diretto nel 2008 da Peter Segal rappresenta un altro titolo senza troppe pretese . Nel 2010 torna ad essere diretta dal Garry Marshall nell’ennesima commedia:  Appuntamento con l’amore (Valentine’s Day).

Anne HathawayMa Anne Hathaway intanto, il 27 Febbraio, potrà vivere la sua notte degli Oscar lontana dai patemi e con i riflettori puntati addosso, forte, se non altro, della motivazione con cui l’Academy le ha assegnato, insieme a James Franco, il significativo ruolo:  “rappresentano la nuova generazione di icone hollywoodiane: giovani, belli e pieni di talento” e della stima di una grande regista come Cristopher Nolan (in Inception ha sfoderato tutto il suo immenso talento) che l’ha voluta per il ruolo di Selina Kyle (reale identità di Catwoman) nel suo secondo film su Batman, The Dark Knight Rises, dichiarando:  “Sono emozionatissimo di avere l’opportunità di lavorare con Anne Hathaway che sarà una fantastica new entry nel nostro cast mentre completeremo la storia”.

Primi Concept del Pinocchio 3D prodotto da Del Toro

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Del_Toro

Mentre Guillermo del Toro è sempre più impegnato nel suo prossimo film tratto da Le montagne della Follia di Lovecraft, uno dei suoi innumerevli progetti da produttore inizia ad entrare in una fase più concitata: stiamo parlando del (nostro)Pinocchio 3D. Quelle che vi presentiamo sono le prime immagini del concept della pellicola in stop-motion che vedrà dietro la macchina da presa Gris Grimly e Mark Gustafson. 

Baz Luhrmann dirige Il grande Gatsby con Leonardo DiCaprio

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Baz Luhrmann dirige Il grande Gatsby con Leonardo DiCaprio

L’Hollywood Reporter annuncia che Baz Luhrmann dirigerà il nuovo adattamento del romanzo di F. Scott Fitzgerald Il Grande Gatsby, le cui riprese  verranno effettuate in 3D nativo ad Agosto. Il film vede un cast stellare con Leonardo DiCaprio, che interpreterà Jay Gatsby.

Carey Mulligan è stato offerto il  ruolo di Daisy Buchanan per il quale si attende ancora l’ufficialità anche se l’attrice ha già posato per una foto, mentre obey Maguire dovrebbe interpretare Nick Carraway. La produzione si svolgerà in Australia, a Sidney, nei Fox Studios, approfittando degli sgravi fiscali stanziati dal governo locale.

A produrre il film per un budget di circa 130 milioni ci saranno Luhrmann, Catherine Martin e Catherine Knapman della Luhrmann/Bazmark Films, anche Doug Wick e Lucy Fisher della Red Wagon e G Mac Brown.

Il Grande Gatsby, il film

Il Grande Gatsby è diretto da Baz Luhrmann e vede nel cast Leonardo DiCaprio, Tobey Maguire e Carey Mulligan e che vedremo in apertura al Festival di Cannes 2013.

Il Grande Gatsby uscirà il prossimo 16 maggio al cinema. Tutte le info sul film le trovate nella nostra scheda: Il Grande Gatsby. Il sito ufficiale del film qui.

Il film racconta la storia di un aspirante scrittore, Nick Carraway che lasciato il Midwest Americano, arriva a New York nella primavera del 1922, un’epoca in cui regna la dubbia moralità, la musica jazz e la delinquenza. In cerca del suo personale Sogno Americano, Nick si ritrova vicino di casa di un misterioso milionario a cui piace organizzare feste, Jay Gatsby, ed a sua cugina Daisy che vive sulla sponda opposta della baia con il suo amorevole nonché nobile marito, Tom Buchanan. E’ allora che Nick viene catapultato nell’accattivante mondo dei super-ricchi, le loro illusioni, amori ed inganni. Nick è quindi testimone, dentro e fuori del suo mondo, di racconti di amori impossibili, sogni incorruttibili e tragedie ad alto tasso di drammaticità.

Kenneth Branagh svela i tre cattivi di Thor!

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Kenneth Branagh svela i tre cattivi di Thor!

thor

Il regista Kenneth Branagh intervistato da Entertainment Weekly a parlato a lungo del suo prossimo film in uscita Thor,  svelandoci i tre villain principali. Inoltre, arriva un’altra foto che questa volta coinvolge Hogun il Fosco, uno dei tre guerrieri, interpretato da Tadanobu Asano…

Robert Downey Jr. per Paul Thomas Anderson

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robert

Robert Downey Jr. sembra essere vicino ad ottenere parte di protagonista in Inherent Vice, il nuovo film di Paul Thomas Anderson tratto da un romanzo di Thomas Pynchon. Il regista di Magnolia, ormai abbandonato il progetto su Scentology, si dedicherà anima e corpo su questo nuovo film ed è intenziona ad ottenere l’attore più in voga del momento.

Una notte da leoni 2: altre foto in attesa del Teaser!

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Una notte da leoni 2: altre foto in attesa del Teaser!

hangoover

In attesa dell’uscita di un teaser in questa settiaman, allegato alle copie delle commedia in uscita intitolata Hall Pass targata warner bros, vi proponiamo alcune nuove foto di Una notte da leoni 2 comparse online questa mattina:

Batman 3: epico e iconico per Zimmer

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Batman 3: epico e iconico per Zimmer

Anche se nulla di ufficiale trapela, lo staff di Christopher Nolan sta centellinando impressioni e supposizioni relative al prossimo The Dark Knight Rises. Il direttore della fotografia di Nolan, Wally Pfister, ha definito la sceneggiatura del film “fenomenale” e ora, il compositore Hans Zimmer ha parlato a MTV News sbottonandosi un po’ su ciò che sta progettando per la soundtrack del film.

Zimmer ha scritto la partitura per il prossimo Rango ed è quello che stava promuovendo quando MTV lo ha praticamente assalito per avere ogni tipo di informazioni su The Dark Knight Rises. “L’unica cosa che posso dirvi – ha detto il compositore – è che sarà un film molto più epico. Straordinariamente epico… Penso che ci sia qualcosa nel cuore della storia che consente di ottenere una musica molto più grande, iconica.” Naturalmente, Zimmer non ha detto nulla di più specifico, aggiungendo che non poteva parlarne oltre, ma le sue dichiarazioni sono molto interessanti soprattutto alla luce di quello che è già stato fatto ne Il Cavaliere Oscuro.

Zimmer ha già iniziato ha pensare al progetto 18 mesi prima. Lui sicuramente sa che cosa è in gioco.

Fonte: slashfilm

Batman 3: epico e iconico per Zimmer

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Zimmer

Anche se nulla di ufficiale trapela, lo staff di Christopher Nolan sta centellinando impressioni e supposizioni relative al prossimo The Dark Knight Rises. Il direttore della fotografia di Nolan, Wally Pfister, ha definito la sceneggiatura del film “fenomenale” e ora, il compositore Hans Zimmer ha parlato a MTV News sbottonandosi un po’ su ciò che sta progettando per la soundtrack del film.

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