Nel 2014 Denis Villeneuve decide di mettersi alla prova con un altro thriller, dal titolo Enemy, dopo l’ottimo Prisoners come punto di partenza utilizza un romanzo di J. Saramago intitolato Il Doppio ma rileggendolo con uno sguardo sospeso tra Hitchcock, Lynch e le visioni terrificanti di David Cronenberg; come protagonista della vicenda sceglie Jake Gyllenhaal, attore col quale aveva già collaborato nel film precedente. Nel cast anche Mélanie Laurent, Sarah Gadon e Isabella Rossellini.
La storia di Enemy vede protagonista il docente di storia Adam Bell, un individuo comune dalla vita lineare, la cui routine è scandita dalle lezioni e dalla fidanzata Mary. Ma questo equilibrio è destinato ad essere sconvolto da una rivelazione: mentre vede un film a noleggio su consiglio di un collega, scopre un suo doppio: un attore, tale Anthony Clair, identico a lui. La curiosità si trasforma presto in ossessione.
Enemy, il film
Enemy è un vero e proprio labirinto della mente che sfugge a qualunque classificazione di genere: intricato, paranoico, angoscioso, contiene echi e suggestioni che rimandano all’immaginario di registi che hanno- da sempre- “giocato” con la materia onirica: maestri come Lynch e Cronenberg, cantori dell’unheimlich freudiano in tutte le sue inquietanti declinazioni, professionisti che con le loro storie hanno sempre raccontato gli incubi annidati nel quotidiano- argomento questo caro anche ad Hitchcock e alle sue sinistre visioni americane- mostrando come la realtà fenomenica non sia poi così rassicurante come la percepiamo noi.
Villeneuve si ispira a
Saramago e alle sue visioni apocalittiche per poi prenderne le
distanze; inserisce degli elementi- come i ragni- non presenti nel
romanzo ma che potrebbero costituire un elemento necessario per
decifrare il film: l’aracnoide tesse delle intricate tele, talmente
fitte da sembrare dei labirinti, i labirinti della mente nel quale
si perdono reciprocamente i “gemelli” Adam e Anthony, l’uno il
doppelganger dell’altro, in una dicotomia spettrale dalla
morale ambigua dove i confini razionali della verità si sfumano
fino a confondersi.
Il regista sceglie di raccontare la storia attraverso inquadrature claustrofobiche e strette, confondendo i dettagli e i confini delle persone, degli oggetti, degli spazi- i quali diventano inquietanti città vuote e metafisiche come un quadro di De Chirico- e riuscendo ad orchestrare, in un crescendo di ansia e fastidio, una storia tenuta insieme solo dall’angoscia che qualcosa di inafferrabile stia per colpirci all’improvviso, rendendoci testimoni impotenti di qualche sinistro spettacolo che ci ritroviamo ad ammirare come malati voyeur. “Il caos è un ordine da decifrare”, recita una frase tratta dal romanzo di Saramago in apertura del film: e forse l’unico modo sensato per decifrare la caotica tela della mente è riordinando la realtà a partire da un altro punto di vista, unica chiave di lettura plausibile alle tenebre dell’indecifrabile.