Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere, recensione dei primi due episodi

Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere

A quasi 20 anni da quel sorriso di congedo che Frodo rivolge ai sui amici Hobbit, prima di salpare per Valinor e adesso, con Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere, si ritorna in quelle terre immortali, per scoprire come quell’oggetto famigerato è stato creato e come è cominciata la lunga battaglia dei popoli liberi della Terra di Mezzo contro l’Oscuro Signore Sauron.

 

20 anni sono tanto tempo per una generazione che è rimasta ammaliata dal lavoro di Peter Jackson e ancora prima dalla maestosa opera di J. R. R. Tolkien, il cui mondo torna a splendere sullo schermo, che purtroppo questa volta non è quello grande del cinema, ma quello piccolo dello streaming, grazie a Prime Video, che mette a disposizione tempo, forze e una notevole quantità di denaro nella realizzazione di una serie sontuosa, per la quale sono in programma cinque stagioni.

Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere, la trama

Siamo nella prima Era, Telperion e Laurelin inondano Valinor della propria luce, quando il mondo è giovane e Galadriel, piccola principessa elica, già calpesta i prati delle Terre Immortali. Quando però l’oscurità arriva a spegnere la luce dei due alberi, la guerra divampa e la dama della luce, molto prima di diventare la sovrana di Lothlorien, scende in battaglia nella Terra di Mezzo, per annientare la minaccia di Sauron.

Guidata da J.D. Payne & Patrick McKay, showrunner ed executive producer, Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere mostra da subito la sua natura cinematografica, non solo perché mette in scena degli effetti visivi di prim’ordine, ma perché è effettivamente un ritorno a quella Terra di Mezzo che Jackson ci aveva fatto amare in sala. Siamo tornati nello stesso mondo, si sentono gli stessi sapori e odori, quasi, ma siamo anche consapevoli di essere in un tempo diverso, più selvaggio, primordiale, per alcuni aspetti ricco di vita e di possibilità, ma anche molto giovane e pericoloso. Una Terra di Mezzo nella sua alba, in cui lo scontro tra male e bene è nel suo vivo e gli Anelli del Potere non sono stati ancora forgiati. Gli uomini sono ancora ai margini delle sorti del mondo, mentre gli elfi sono in buoni rapporti con i nani e addirittura si intrattengono con loro. Un’infanzia del mondo già funestata dal male, che, come in qualsiasi Genesi, nasce insieme al bene, insieme alla vita, così come l’eroismo, la viltà, la bellezza e l’inganno.

Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere
Crediti: Ben Rothstein/Prime Video

Siamo di nuovo nella Terra di Mezzo, ma non è quella che conosciamo

L’opera di Tolkien rende omaggio a questi grandi archetipi narrativi, e la serie Prime Video li fa propri e li trasmette ai suoi ricchissimi personaggi, espandendone le motivazioni e le azioni, adattando il testo e mettendolo al servizio di una narrazione che procede seguendo diversi personaggi e situazioni, che probabilmente convergeranno tutti verso lo scontro finale (al momento della stesura di questo articolo, sono stati visti soltanto i primi due episodi della serie, è quindi impossibile capire in che modo la storia si svilupperà).

Di fronte ad una mole di materiale così ricca e dettagliata, sono state operate delle scelte che passano, soprattutto quelle di casting, attraverso una lente che rende contemporanea la popolazione della Terra di Mezzo, la quale si arricchisce di etnie, cosa che, salvo un effetto di disorientamento iniziale, non influisce affatto sulla trama, sui personaggi e sui loro percorsi. Ad esempio l’idea di un elfo di colore, che sulla carta fa effettivamente storcere il naso (dato che siamo abituati a elfi bianchi e diafani), a schermo risulta assolutamente naturale, anzi, il colore della pelle di Ismael Cruz Córdova, che interpreta l’elfo silvano Arondir, non ha assolutamente nessuna influenza o rilevanza per il personaggio. Lo stesso dicasi per i nani di colore e per le nane che, sì, nel caso i puristi se lo stiano chiedendo, sono provviste di lunghe basette di soffice pelo ricciuto. Ma parliamo di personaggi mai visti sul grande schermo e che, siano essi caratteri inventati per la serie, come lo stesso Arondir, o personaggi di primissimo piano nella mitologia tolkieniana, come l’alto Re Gil-galad, non hanno nessun termine di paragone.

Le scelte di casting

Diverso è il discorso per quei personaggi che il pubblico conosce e ama, perché sono stati visti in azione ne Il Signore degli Anelli, e forse proprio qui risiede una delle poche macchie di questo adattamento seriale: Robert Aramayo, il giovane Elrond, è forse l’unico caso di cast poco felice in una lunga sequela di scelte che risultano invece illuminate. E non è solo perché il carisma di Hugo Weaving (l’Elrond cinematografico) è inarrivabile, ma anche perché il personaggio, per come viene scritto e interpretato, non sembra rispecchiare quelle caratteristiche che ci si aspetta da un’icona immortale.

Discorso completamente opposto si fa per Morfydd Clark, una fierissima Galadriel, che, come Cate Blanchett per Jackson, mette in scena un personaggio che racchiude grazia, bellezza, forza e carisma, il tutto con un’eleganza innata e un volto che sembra davvero provenire da terre lontane. Il personaggio di Galadriel è il principale veicolo narrativo dell’avventura, nonostante ci siano chiaramente altre storie e altri personaggi a condurre la loro piccola impresa; è lei che dà la caccia a Sauron e che ne promuove la distruzione totale, nonostante sembra che lui si sia ritirato per sempre.

Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere
Crediti: Ben Rothstein/Prime Video

Un racconto attraverso gli occhi di Galadriel

La scelta di rendere lei la protagonista, il volto rappresentativo della storia, è comprensibile da una parte perché un’eroina femminile in un mondo che era sempre stato quasi completamente maschile come quello di Tolkien, oggi, è capace di parlare ad un pubblico contemporaneo con un linguaggio comune e condiviso; è, in parola povere, molto più attuale. Ma c’è anche un altro motivo, più intimo e di maggiore senso. All’inizio de Il Signore degli Anelli è la voce di Galadriel che ci racconta cosa era accaduto all’inizio del Tempo, con la forgiatura dei Grandi Anelli; Jackson ha dichiarato che ha scelto la sua voce perché lei c’era già, quando avvenivano i fatti che raccontava, e questo avrebbe dato profondità a quel momento che introduceva alla storia. Così è anche in Gli Anelli del Potere, in cui è stato scelto un personaggio con cui il pubblico è già in sintonia per raccontare storie e avventure che lei ha vissuto. Il risultato, grazie anche alle decantate doti di Morfydd Clark, è assolutamente vincente.

Il ritmo della Terra di Mezzo

All’inizio della recensione di Il Signore degli Anelli: gli Anelli del Potere si parlava di un ritorno a casa, perché la messa in scena, il linguaggio, gli scenari sono proprio quelli della trilogia di Jackson, ma siamo anche in un posto differente. In particolare, il lavoro della regia di J.A. Bayona e della colonna sonora di Bear McCreary percorrono un articolato percorso di continui omaggi, rimandi, scorciatoie, immagini ed evocazioni di emozioni e sensazioni per cui si fa fortissima l’impressione di essere in un posto noto ma contemporaneamente tutto da scoprire.

Dopo i primi due episodi, si può affermare con decisione che Il Signore degli Anelli: gli Anelli del Potere è un vibrante ritorno a casa che apre tantissime domande, genera una fortissima curiosità e molti dubbi su come si possa sviluppare la storia, dal momento che in diversi punti diverge dagli scritti di Tolkien, ma che ha sempre identità e coerenza interna. È un viaggio che non vediamo l’ora di continuare, l’avventura di una vita che si fa racconto, gioia per gli occhi e per lo spirito di menti curiose.

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