Breeders recensione serie tv Martin Freeman

Pochi attori sanno veramente regalare sostanza, spessore al ruolo dell’uomo comune: a colui che potresti incontrare in fila al supermercato, oppure avere come anonimo vicino di casa. Martin Freeman è a nostro avviso uno di questi attori. Forse il migliore insieme a Paul Giamatti. Come aveva già confermato con Sherlock e Fargo, può inoltre esplicitare i lati più oscuri e controversi di tali personaggi. Era quindi con malcelata trepidazione che attendevamo di vederlo interpretare un normale padre di famiglia in Breeders, serie arrivata negli Stati Uniti grazie a FX e di cui sono già state trasmesse due stagioni da dieci episodi. 

 

L’idea alla base di Breeders

L’idea di partenza non potrebbe essere più semplice in quanto racconta la vita quotidiana di una coppia con due figli ancora piccoli, ovvero le difficoltà che due genitori possono incontrare dovendo gestire una famiglia nella Londra di oggi. Accanto a Freeman nel ruolo di Paul troviamo Daisy Haggard, la quale col personaggio di Ally affronta al meglio il primo vero ruolo da protagonista.

Nato da un’idea dello stesso Freeman, Breeders riesce con ammirevole adesione al reale nell’intento di mescolare commedia e dramma: basta vedere il pilot della prima stagione intitolato No Sleep, interamente incentrato sulla difficoltà di riuscire a dormire quando i tuoi pargoli proprio non vogliono saperne. Sviluppato attraverso trovate di sceneggiatura che conducono a un finale tanto parossistico quanto esilarante, l’episodio riesce a far sorridere lo spettatore a proposito di momenti e situazioni che in un altro contesto potrebbero risultare tutt’altro che divertenti. Ed è proprio questa la forza che lo show sviluppa nel corso delle due stagioni: pur mantenendo molto spesso toni lievi Breeders abbraccia con pienezza la scelta di mostrare psicologie e personalità problematiche, contraddittorie, umanissime coi loro difetti anche notevoli. Il Paul interpretato da Freeman è ad esempio un padre amorevole e pieno di buone intenzioni che però non sempre riesce a comprendere quello che attraversano i propri figli, in particolar modo il primogenito Luke.

Un perfetto equilibrio tra commedia e dramma

Cresciuto da genitori depositari di valori passati, difficilmente adattabili al presente, l’uomo nel corso delle puntate diventa sempre più consapevole del divario creatosi tra lui e il figlio maggiore, e ciò si trasforma in una fonte di frustrazione che pian piano mina le sue certezze. In particolare nella seconda stagione – che inizia dopo un ellisse temporale di qualche anno – Paul dovrà fare definitivamente i conti con l’incapacità di gestire emozioni anche contrastanti. Ed ecco che allora Breeders si mostra per quello che veramente è: un dramma familiare travestito da commedia, il quale episodio dopo episodio rivela la sua vera natura spingendo lo spettatore a confrontarsi con personaggi che sono specchi fedeli e non conciliatori del nostro modo di comportarci, di risolvere oppure ignorare i problemi che ci si presentano.

Breeders è quanto di più sincero e attuale sia stato prodotto in questi anni sul tema della famiglia e delle sue dinamiche interne: oltre a Freeman gli altri due creator Chris Addison e Simon Blackwell – coinvolti anni fa in un’altra serie di culto come The Thick of It – hanno ideato una serie che sa intrattenere mettendo in scena il quotidiano e con la stessa elevata dose di efficacia stimola il pubblico a riflettere su quanto la nostra vita di tutti i giorni sia composta da scelte, errori, rimpianti, dubbi, piccoli successi e grandi ipocrisie. L’uso sapiente di flashback sparsi nei vari episodi mostra anche come Paul e Ally all’inizio della loro relazione avessero sogni, piani e idee che poi si sono confrontati/scontrati con la realtà della vita, con i compromessi e le scelte che si deve fare per il bene comune, in particolar modo quello dei propri figli. E questo rende lo show ancor più malinconico, se non addirittura struggente. Perché ciò che conta in fondo è arrivare a fine giornata sapendo di aver fatto il possibile. Anche quando potrebbe non bastare. 

Breeders affronta problemi e situazioni fortemente legati al nostro presente: religione, sessualità, isolamento, educazione ed altri temi principali diventano occasione di confronto tra i personaggi protagonisti, attraverso una narrazione che sviluppa conflitti il cui terreno di scontro rimane sempre e comunque il nucleo familiare. Impossibile non affezionarsi e parteggiare per Paul e Ally, genitori imperfetti e adulti probabilmente ancora incompiuti. Le interpretazioni perfette di Haggard e di Freeman dotano i rispettivi personaggi di innumerevoli sfumature, lasciando trasparire dietro il gesto più piccolo e comune l’enorme peso psicologico ed emotivo del ruolo di genitori.

Due figure tratteggiate con una precisione difficilmente riscontrabile nella fiction odierna. Se non soprattutto, è senza dubbio anche grazie ai due attori protagonisti che Breeders è uno show da non perdere. Che siate genitori o anche soltanto figli, capirete qualcosa in più su come funziona una famiglia. E, possiamo garantirvelo, lo farete con un sorriso a denti stretti…

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