The Girl From Plainville: recensione della serie con Elle Fanning

The Girl From Plainville recensione serie tv

Per tentare di spiegare con accuratezza cosa sia The Girl From Plainville bisogna a nostro avviso partire dai fatti realmente accaduti: il 13 luglio 2014 il diciottenne Conrad Roy si suicidò nel parcheggio di un Kmart inalando i gas di dell’auto di cui era al volante. La sua fidanzata di allora Michelle Carter venne in seguito incriminata per omicidio colposo involontario in quanto nelle ore precedenti la tragedia lo istigò al suicidio tramite messaggi telefonici.

 

La storia vera dietro The Girl From Plainville

Creata da Liz Hannah e Patrick Macmanus, la serie Hulu Original racconta (prendendosi alcune libertà per fini drammaturgici) i fatti e i personaggi di questa vicenda complessa e tristemente simbolica. La storia si dipana principalmente su due piani temporali distinti, i quali si alternano nel racconto: il 2014 e i giorni successivi al suicidio di Conrad, tornando poi indietro al 2012 per mettere in scena l’inizio e lo sviluppo della relazione problematica tra il ragazzo e Michelle. La grande sfida dei creator e della regista Lisa Cholodenko  dietro la macchina da presa per molti degli episodi – è stata quella di costruire uno show che si basa quasi interamente sullo studio delle due psicologie psicologie, tentando di sviluppare il gioco al massacro mentale ed emotivo che la Carter ha più o meno volontariamente prodotto nei confronti di Roy.

Un tentativo molto interessante in quanto costretto a basarsi sull’assenza totale o quasi di azione vera: The Girl From Plainville mette infatti in scena la vita più che comune vissuta dai due giovani, in particolare da una ragazza il cui bisogno di attenzione diventa progressivamente distacco dalla realtà dei fatti. I meccanismi che regolano i pensieri deviati e le azioni in molti casi meschine di Michelle rappresentano evidentemente il punto focale dello show, disposto a rischiare di presentare al pubblico un personaggio complesso, ambiguo e respingente nello svolgimento delle sue piccole, subdole macchinazioni.

Elle Fanning non sbaglia un colpo

Ottimamente interpretata da una Elle Fanning sempre più matura e capace di aderire psicologicamente ai propri ruoli, la protagonista di The Girl From Plainville risulta fin dal pilot un personaggio molto difficile da decifrare, che almeno nei primi episodi non va incontro al pubblico tentando di portarlo dalla sua parte, tutt’altro. E questo, pur lodevole dal punto di vista della definizione dei caratteri, risulta il punto debole dello show: per larga parte la volontà di non scivolare eccessivamente nel melodramma, abbinata a quella di presentare figure in chiaroscuro, non fornisce allo spettatore molti appigli. A parte la discreta progressione drammatica bel presentare i fatti adoperando i due piani temporali, le prime quattro parti risultano piuttosto “piatte”, il che non deve comunque trarre in inganno, poiché sembra essere proprio questo lo scopo della serie, ovvero mostrare quanto la gioventù americana più comune sia in realtà psicologicamente fragilissima, oppressa da una società che valorizza l’apparenza senza più dare il giusto peso alla sostanza degli esseri umani.

Il punto di svolta di The Girl From Plainville

In questo modo il “tepore” soporifero in cui sembrano muoversi tutti i personaggi di The Girl From Plainville diventa piuttosto emblematico. Può non funzionare pienamente a livello di presa emotiva, ma ha un suo fondamento. Merita poi un discorso a parte il quinto episodio dello show, il quale fornisce finalmente una luce più specifica e emotivamente forte sul mondo interiore di Michele Carter, consentendoci finalmente di vederne i bisogni e le insicurezze nascoste. Si tratta di un vero e proprio punto di svolta nella serie, che seppur non ribaltando le prospettive – e sarebbe stato un errore farlo – permette almeno di comprendere un poco più a fondo una psicologia tanto comune quanto problematica.

Difficile dare un giudizio definitivo su The Girl From Plainville, servirebbe probabilmente una seconda visione, a debita distanza dalla prima per riflettere con calma su quanto visto ed esperito. Possiamo però senz’altro scrivere che si tratta di un progetto coraggioso, nell’ideazione e nelle scelte narrative con cui è stato sviluppato.  E per questo, se non per altro, merita il nostro consenso.

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