The Watcher: recensione della serie Netflix

Basata su una storia realmente accaduta, la serie true crime segue la vita della famiglia Brannock alle prese con L'Osservatore, entità sconosciuta che spedisce loro insolite lettere

The Watcher recensione serie tv

Ryan Murphy continua a galoppare verso il successo della serialità e lo fa con The Watcher, mini-serie true crime basata sulla reale storia della famiglia Broaddus, che nel 2014 acquistò una casa nel New Jersey iniziando a ricevere strane lettere da una persona che si firmava “L’Osservatore”.

 

Dopo il successo di Dahmer, che aveva conquistato il podio di Netflix, anche The Watcher riesce ad ottenere un punteggio da capogiro e si piazza immediatamente, come il suo “predecessore”, fra le serie più viste sulla piattaforma streaming. Indice che la firma di Murphy, insieme a Ian Brennan, lascia sempre il segno.

The Watcher, la trama

Dean (Bobby Cannavale) e Nora (Naomi Watts) Brannock si trasferiscono insieme ai figli nel New Jersey a seguito di un investimento dell’uomo per l’acquisto di una suggestiva e antica casa: la 657 Boulevard. Sin dal loro arrivo nella cittadina, i coniugi sono oggetto di giudizio e osservazione da parte dei loro singolari vicini, i quali non apprezzano molto la loro presenza in quell’abitazione.

Non appena la famiglia Brannock inizia a prendere confidenza con la casa, alcune lettere sinistre iniziano ad arrivare nella cassetta della posta, infrangendo come un vaso di vetro la loro placida quotidianità. Il mittente è sconosciuto, si fa chiamare l’Osservatore. La disperata ricerca della sua identità inonderà di disperazione e paranoie la vita dei Brannock, rompendo anche il precario equilibrio che hanno con gli abitanti del loro vicinato.

The Watcher mia farrow

Ossessione e avidità, il vero baricentro del true crime

The Watcher a primo impatto può sembrare una serie tv ibrida: un thriller che si modella con l’aggiunta di componenti horror. Seppur la trama abbia dettagli simili al genere, l’orrore non si riscontra nei jump scare o nella presenza di elementi sovrannaturali, bensì nell’avidità e nell’ossessione insita nei personaggi. Sono queste caratteristiche a costituire la cifra dominante della trama, e a muovere i protagonisti all’interno della scacchiera nell’incessante tentativo di farli cadere. Di fargli compiere quella mossa sbagliata che decreterà la conclusione di ogni cosa. Quello che l’Osservatore sottolinea spesso, sin dalla prima lettera, è proprio l’avidità, una costante di tutti i proprietari della 657 Boulevard. E questa avidità è madre dell’ossessione di tenere a tutti i costi una casa problematica, ma talmente bella e costosa da non potervi rinunciare.

Partendo dall’Osservatore, ci si addentra in una profondità molto più oscura, il vero abisso, che è quello della finzione. Colui che guarda la famiglia Brannock è un occhio che diventa Lo sguardo di una società improntata sull’apparenza della ricchezza, nonostante questa non sia supportata da un’economia familiare stabile. Dean Brannock è la rappresentazione massima di un uomo che vuole essere ciò che non può, e che sprofonda nella dissennatezza non appena cerca di farlo. Eccole lì, quindi, avidità e ossessione. Due facce della stessa medaglia che portano su un piatto il fulcro di The Watcher: la doppiezza del genere umano.

Una struttura narrativa fragile

Murphy ha impiegato ben poco a sistemare l’incidente scatenante nello sceneggiato, tanto da fondersi con l’incipit. L‘arrivo delle lettere, infatti, aggancia immediatamente lo spettatore, sia in termini di emotività che di razionalità. Subito si chiede: cosa farà ora la famiglia Brannock? Un espediente narrativo costruito in maniera semplice ma efficace, che provoca una scissione in chi osserva: vuole sapere, ma ha l’ansia di saperlo. La spina dorsale impiantata nella storia – ossia il desiderio profondo e lo sforzo del protagonista per ripristinare l’equilibrio nella propria vita – è affidata quasi in toto a Dean. È lui il primo a venire inghiottito dai misteri della casa e dalle inquietanti lettere che ogni giorno trova nella cassetta della posta. Beat dopo beat il protagonista si consuma nel vano tentativo di rincorrere una verità che viene continuamente nutrita di indizi volti a depistarlo.

In un découpage molto classico, la macchina da presa inizia progressivamente ad essere quell’osservatore non desiderato che si infila non solo nella vita del personaggio, ma anche nella sua mente. Ne capta i pensieri, le ossessioni, le follie. Quasi quanto Dean, anche Nora comincia a brancolare nel buio e nella disperata ricerca di stanare il colpevole. I figli rimangono presenze marginali nell’evolversi della trama, privi di personalità ma anche di parti cruciali nella sceneggiatura. Un elemento di troppo, ma di cui alla fine non ci si accorge neppure se non per quelle poche volte che il padre mostra una morbosa gelosia nei confronti della figlia. Il problema però arriva dopo.

I primi episodi sono, in termini narrativi, strutturalmente furbi, e riescono a far progredire la storia con un ritmo incalzante e veloce. La tensione è palpabile. Murphy la scatena facendo credere allo spettatore di aver risolto lui stesso il caso, deve solo aspettare di vederlo. E seppur vengano inserite sequenze e sotto-trame fatue che annichiliscono i personaggi, l’attenzione rimane alta fino alla fine poiché la tecnica del mostrare è ipnotizzante. Ma quando i titoli di coda compaiono, e si riavvolge il nastro per ripercorrere tutta la trama, quello che resta è il vuoto totale. La “chiusura” di The Watcher è indecifrabile. Ciò che disturba è aver dato troppi elementi inutili e pochi indispensabili per poter davvero apprenderne l’intreccio. I protagonisti sono stati trascinati con forza all’episodio conclusivo, e sono stati sgonfiati di qualsiasi loro caratteristica e motivazione. Quando la carne si lascia per troppo tempo sulla brace, rischia di carbonizzarsi.

Lo “sbriciolamento di trama” di The Watcher si nasconde fino all’ultimo. Murphy è stato maestro nel non permettere di abbandonare la storia, perché stregati dal suo stile, facendo credere che il “bello dovesse ancora arrivare”. E non arriva mai. Ma è proprio questa la bravura dei registi di un certo spessore: continuare a tenere incollato lo spettatore seppur il prodotto non stia più eccellendo. È pur vero però che sarebbe stato meglio fermarsi qualche puntata prima.

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Valeria Maiolino
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Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.
the-watcher-netflixRyan Murphy porta lo spettatore dentro l'angosciante quotidianità della famiglia Brannock, i cui equilibri vengono sconvolti dall'arrivo dell'Osservatore. La cifra stilistica e tecnica pulita e trasparente permette la fruizione degli episodi fino alla fine, seppur la trama ad un certo punto cominci pesantemente a vacillare.