DAHMER – Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer, recensione della serie Netflix

Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer è la nuova serie Netflix che svela la storia di un serial killer trasformato in supereroe.

DAHMER - Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer
Cr. Ser Baffo/Netflix © 2022

Netflix ha una collezione di serie e docu-serie su storie vere di serial killer e assassini. Questa volta, il protagonista di Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer supera qualsiasi concorrenza. In 10 episodi, lo show ripercorre la vita del ”Cannibale di Milwaukee”. Il produttore della serie è Ryan Murphy (The Prom, American Horror Story) maestro dell’orrore che, con il volto di American Horror Story Evan Peters, mostra senza alcun filtro tutti gli aspetti di una vicenda realmente terrificante, sotto ogni punto di vista.

 

La vera storia di Jeffrey Dahmer, il mostro di Milwaukee

Milwaukee, 1991: nel mese di luglio, in seguito ad una richiesta di aiuto da parte di un giovane aggredito, la polizia entra nell’appartamento di Jeffrey Dahmer (Evan Peters). Qui scopre il covo di un serial killer: odore lancinante, ossa, pezzi di carne umana conservati in frigorifero, acidi. Una volta arrestato, Jeffrey racconta alla polizia tutto ciò che ha fatto, partendo dal principio. Dahmer, appassionato di tassidermia fin da bambino, in 31 anni di vita ha ucciso 17 ragazzi. Non solo: ha fatto a pezzi i cadaveri, estratto gli organi, provando piacere sessuale e nutrendosi di alcune parti.

L’orrore generato dalle perversioni di Dahmer viene amplificato dall’indifferenza delle forze dell’ordine. Prima dell’arresto, l’uomo aveva ricevuto diverse accuse per molestie. Vane anche le segnalazioni della vicina Glenda (Niecy Nash) per i rumori molesti e l’odore nauseabondo provenienti dalla casa di Jeffrey. Ecco la storia vera e raccapricciante di un serial killer bianco americano, che è riuscito ad agire quasi indisturbato perché le sue vittime appartenevano a minoranze etniche.

Ryan Murphy e la rappresentazione dell’orrendo in DAHMER – Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer

Dahmer - Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer serie tv recensione
Cr. Ser Baffo/Netflix © 2022

Il racconto messo in piedi in Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey è crudo e crudele (la serie infatti è vietata ai minori di 18 anni). Il produttore di American Horror Story mostra tutta la sua capacità nella creazione di ambienti squallidi, perfetti scenari per storie perverse. Nulla è censurato, dalle uccisioni compiute da Jeffrey alle scene di sesso, fino ai racconti dettagliati e ai ritrovamenti della polizia. Lo show è provocatorio e gioca sul sottile confine tra disgusto e curiosità. Da un lato non si può essere indifferenti rispetto a quanto viene mostrato: cadaveri, pezzi di corpi, ambienti squallidi e del tutto anti-igienici. Tuttavia, questi aspetti macabri vengono decisamente ostentati e costituiscono un elemento cardine della serie.

È difficile collocare moralmente la serie. In parte, Dahmer adotta il punto di vista delle vittime, ne mostra le storie, gli affetti, i retroscena, ma non si può negare l’aspetto antieroico dato al protagonista. Jeffrey è strano fin da bambino, viene discriminato, ha dei genitori difficili, fatica a relazionarsi con il mondo esterno, ammette di avere dei problemi. Pur rimanendo il carnefice, la sua immagine viene circondata da una serie di ”sì, ma…” che tendono ad umanizzarlo. Evan Peters è abile nell’interpretare questo soggetto complicato e contorto, ed è inquietantemente simile all’originale.

La critica alla polizia americana

Dahmer - Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer Evan Peters
Evan Peters nei panni di Jeffrey Dahmer nell’episodio 108 di Dahmer. Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer. Cr. Ser Baffo/Netflix © 2022

Nonostante tutto, il vero colpevole di Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey è la polizia americana. Pur avendo a disposizione tutti i mezzi per agire, non è stata capace di fermare per tempo l’azione di un individuo perverso. La serie è ambientata negli anni Novanta ma non possiamo fare a meno di cogliere i riferimenti alle discriminazioni ancora oggi presenti nelle forze dell’ordine statunitensi nei confronti delle minoranze etniche. Lo show mostra come le richieste di aiuto alla polizia portate avanti dagli afroamericani – la vicina di casa Glenda, le vittime e i loro famigliari – o dai cittadini non bianchi americani, sono state considerate di poco conto, di serie b, quando in realtà avrebbero potuto salvare diverse vite.

La spettacolarizzazione dell’assassino

La critica è rivolta anche al sistema mediatico americano. Siamo negli anni Novanta, il periodo in cui esplode la reality tv, la voglia di mostrare tutto sul piccolo schermo ( il culmine è il 2001 e la diretta live sull’attacco alle Torri Gemelle). Il caso di Jeffrey Dahmer, così assurdo e impensabile, diventa il materiale perfetto per i giornali, per la televisione, per l’intrattenimento. Se le prime puntate di Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey mettono luce sulla solitudine e sull’isolamento del carnefice, le ultime si concentrano sulla ”fama” del serial killer (che addirittura diventa protagonista di un fumetto, come un supereroe).

Tutti oggi conoscono la storia di Jeffrey, ne parlano con orrore e disprezzo. Ecco allora che il nuovo show Netflix si pone in una posizione intermedia. Da un lato vuole fare chiarezza su una vicenda già ampiamente discussa e commentata (dai giornali, ma anche da film e canzoni celebri), criticando in parte la spettacolarizzazione estrema creata sulla vicenda. Dall’altro, Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey rimane parte di questa spettacolarizzazione, perché realizza un racconto fittizio, avvincente, fatto di eroi e antieroi, con un inizio e una fine.

La domanda retorica è sempre la stessa: ne avevamo bisogno? A quanto pare, secondo Netflix sì, c’è ancora spazio per raccontare la vicenda del mostro di Milwaukee. Non a caso, il 7 ottobre uscirà sulla piattaforma la docu-serie Conversazioni con un killer: il caso Dahmer (Joe Berlinger).

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