Un Viaggio in Paradiso per Mel Gibson

Negli ultimi tempi, la faccia di Mel Gibson ha trionfato sulle copertine dei rotocalchi più per gli scandali legati alla sua travagliata vita personale, che per i suoi successi professionali. Sembrano archiviate e- volutamente- cadute nell’oblio la fama e la gloria legate a pellicole di successo come Arma Letale, Braveheart o The Passion; oggi lo ricordiamo per il suo divorzio faraonico dalla storica moglie, per le accuse di violenza domestica e per le pesanti accuse di antisemitismo che hanno influito sulla lavorazione del suo ultimo film, incentrato sulla figura di Giuda Maccabeo e intitolato The Maccabees.

 

Eppure, proprio nel momento in cui Hollywood sembra avergli voltato definitivamente le spalle, la sua carriera comincia una lenta risalita, tortuosa e travagliata (durata circa dieci anni), grazie anche alla riconquista di un suo “spazio creativo” autonomo contraddistinto dalle presenze di amici e fidati collaboratori come Jodie Foster (che lo ha diretto nel sorprendente Mr. Beaver) o Adrian Grunberg, già suo collaboratore fin dai tempi di Apocalypto e adesso regista esordiente dell’action atipico Un Viaggio In Paradiso.

Forte di una sceneggiatura firmata a quattro mani da Grunberg e da Gibson stesso, che lo ha anche prodotto con la sua casa di produzione Icon, la pellicola ruota intorno alla figura di uno schivo e abile sicario della malavita, chiamato Driver (echi del “Drive” Refniano?) che decide di godersi la meritata “pensione” anticipata scappando con il bottino di un ultimo colpo. Ma qualcosa va storto, la sua auto si ribalta e finisce al confine con il Messico, il che implica una serie infinita di guai legali che lo conducono in una spirale sempre più torbida e pericolosa fin nella prigione infernale denominata “El Pueblito”, nella quale cercherà di adattarsi- e sopravvivere- solo grazie all’aiuto di un anonimo e ignoto bambino di nove anni, che forse potrebbe aiutarlo perfino ad evadere…

Il titolo originale della pellicola doveva essere “How I Spent My Summer Vacation”, proprio in riferimento all’iniziale fuga di Driver; ma alla fine è stato distribuito nel mondo con il titolo di “Get The Gringo”, dove il Gringo del film è evidentemente Gibson stesso. il film è una perla (sporca) ma rara nel panorama del cinema odierno: porta alto il vessillo del suo divieto ai minori; non si fa scrupolo delle cruente scene di violenza e niente viene risparmiato alla visione dello spettatore. Il buon vecchio Mel torna alle atmosfere di pellicole che lo hanno reso celebre, tipo “Payback- la rivincita di Porter” dove veste i panni di un malvivente, rafforzando (e forse deridendo con una buona dose di autocompiacimento) la sua fama di “bad guy”.

Il film sembra un azzardo ben riuscito, merito di diversi elementi miscelati insieme: il “basso profilo” del cast, dove non figurano nomi stra-noti oltre a quello di Gibson, ma che può contare sulle innate capacità di attori caratteristi già volti noti della tv statunitense; un regista giovane ma che vanta una proficua collaborazione “storica” con Gibson; infine la suggestione dei luoghi, ricreati in meno di due mesi con un effetto sorprendente. Uno degli elementi di forza della pellicola è, infatti, la prigione che fa da sfondo alla narrazione: El Pueblito, ovvero “piccola città”, detta pure “La Universidad del Crimen” (l’università del crimine), nomi con i quali era meglio conosciuto il “Centro de Readaptacion Social de la Mesa”, la prigione più famosa del Messico. Fu fondata nel 1956 a Tijuana e ospitava in origine 2000 prigionieri, numero poi cresciuto esponenzialmente con l’ingresso di nuovi detenuti e delle loro intere famiglie, che finirono per diventare i proprietari stessi del carcere trasformandolo in una baraccopoli con un proprio sistema di leggi, dotato di un proprio mercato, un campionato di calcio, ristoranti, cinema, spaccio privato di droga ed esclusive lotte tra gang rivali. Lo scenografo Bernardo Trujillo e la troupe hanno ricostruito l’intero ambiente all’interno di un altro carcere messicano disabitato dal 2010, l’Ignacio Allende; sono stati costretti a questo notevole sforzo produttivo perché il vero El Pueblito nel 2002 è stato assediato da ben 2000 militari messicani che trasferirono i detenuti sopravvissuti in un altro carcere, prima di distruggere quasi del tutto l’edificio.

Insomma, nonostante l’ambientazione esotica e il titolo del film che evoca l’idea del paradiso, in realtà il ritorno in grande stile di Mel Gibson è un crudo “Prison Movie” atipico, un viaggio fin dentro l’inferno… senza esclusione di colpi.

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Ludovica Ottaviani
Ex bambina prodigio come Shirley Temple, col tempo si è guastata con la crescita e ha perso i boccoli biondi, sostituiti dall'immancabile pixie/ bob alternativo castano rossiccio. Ventiquattro anni, di cui una decina abbondanti passati a scrivere e ad imbrattare sudate carte. Collabora felicemente con Cinefilos.it dal 2011, facendo ciò che ama di più: parlare di cinema e assistere ai buffet delle anteprime. Passa senza sosta dal cinema, al teatro, alla narrativa. Logorroica, cinica ed ironica, continuerà a fare danni, almeno finché non si ritirerà su uno sperduto atollo della Florida a pescare aragoste, bere rum e fumare sigari come Hemingway, magari in compagnia di Michael Fassbender e Jake Gyllenhaal.