Topolino, Bugs Bunny, Picchiarello e Spongebob hanno tutti qualcosa in comune: sono “funny animals”. Con questo termine nel mondo dell’animazione e dei comics si indicano gli animali antropomorfi, ovvero personaggi che, pur mantenendo indubbiamente caratteristiche animali evidenti e riconoscibili (la coda, le orecchie, il becco) sono allo stesso tempo un “doppio” dell’essere umano. I funny animals camminano su due zampe, parlano, spesso vivono in città e case in tutto e per tutto simili alle nostre, indossano vestiti, guidano l’automobile e utilizzano il cellulare.
Non è difficile capire come mai questa tipologia di cartoon abbia avuto così tanta fortuna. Innanzitutto, i funny animals sono, molto banalmente, più semplici da disegnare e da animare rispetto a una figura umana realistica. Non a caso, infatti, per la sua prima serie di cortometraggi, le Alice Comedies, la Disney si trovò costretta a utilizzare un’attrice in carne e ossa per la parte della bambina protagonista, Alice, mentre i suoi amici animali potevano essere tranquillamente disegnati e animati con foglio e matita. Questo tipo di personaggi si prestava inoltre moltissimo alla comicità fisica, basata sulle leggi della slapstick. In un’epoca in cui non esisteva ancora il sonoro sincronizzato era impossibile far ridere gli spettatori attraverso le battute, e dunque era particolarmente importante lavorare con forme semplici che potessero deformarsi, schiacciarsi e allungarsi all’occorrenza per creare ilarità nel pubblico. E ancora, non bisogna dimenticare che il mondo animale è protagonista di favole e leggende fin dall’antichità. Lo spettatore tende ad associare ogni animale ad alcune particolari caratteristiche, che in animazione possono essere esagerate per ottenere effetti comici oppure per evidenziare alcuni tratti della personalità. L’animazione è spesso una questione di silhouette, ovvero di “forma”: a colpo d’occhio lo spettatore deve essere in grado di decifrare il ruolo del personaggio che si trova sullo schermo. È un eroe? Un cattivo? Una spalla comica? Una principessa? È chiaro che un rinoceronte antropomorfo grande e grosso sarà probabilmente un personaggio tosto, forse un bullo, mentre non diremmo mai lo stesso guardando il canarino Titti.
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Ma i funny animals hanno anche un altro grande punto di forza: la loro doppia natura che li rende allo stesso tempo animali e umani, e tuttavia mai completamente l’uno o l’altro. Questa loro natura di “ibridi” permette molta libertà e li rende perfetti per la satira o, talvolta, per trasmettere messaggi politici che sarebbero troppo pericolosi se venissero dalla bocca di un essere umano. Negli stessi anni in cui George Orwell pubblicava il capolavoro La fattoria degli animali, anche i personaggi Disney provavano a combattere le dittature con la satira. Paperino si rivelò l’attore ideale: lo ricordiamo specialmente nel geniale cortometraggio Premio Oscar Der Fuehrer’s Face, in cui il povero papero sogna di essere un operaio in una fabbrica nella Germania nazista (chiamata Nutziland). Che effetto avrebbe fatto il corto, se al posto di Paperino ci fosse stato un personaggio umano?
Col tempo i funny animals si sono molto distaccati dai loro scopi primari: superati tutti i problemi legati alla realizzazione materiale dell’animazione, la Disney ha potuto fare della categoria una vera e propria tradizione parallela a quella delle grandi fiabe (i cosiddetti princess movies che sono forse il filone con cui il grande pubblico tende a identificare maggiormente la Casa di Topolino). Ovviamente è nei cortometraggi che si hanno i primi gioiellini con protagonisti degli animali: il più noto è probabilmente I Tre Porcellini, che all’epoca divenne un vero e proprio fenomeno grazie al brano “Who’s afraid of the big bad wolf?”. Uno dei miei preferiti in assoluto è però Woodland Cafè, una geniale parodia dell’America degli anni ’30 e del mondo dei cafè e dei pub, con le loro danze sfrenate a ritmo della musica jazz.
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Il capolavoro Disney con un cast completamente composto da animali antropomorfi è sicuramente Robin Hood. L’intuizione di portare sul grande schermo la leggenda del ladro che rubava ai ricchi per donare ai poveri utilizzando solo un cast animale fu a dir poco brillante: oggi Robin, Little John, il Principe Giovanni e tutti gli altri sono entrati nell’immaginario collettivo, grazie alla loro straordinaria caratterizzazione. Anche qui, le caratteristiche ma soprattutto gli stereotipi associati agli animali si sono rivelati indispensabili per far breccia nei cuori degli spettatori. E così, l’astuto Robin Hood non poteva che essere una volpe, il suo compare Little John è un orso amichevole e bonaccione, mentre Re Riccardo è ovviamente un maestoso leone.
Di prossima uscita, anche il nuovo Classico Disney Zootropolis riprende questa grande tradizione del mondo dei funny animals e si diverte a giocare con gli stereotipi e i pregiudizi. Ormai l’abbiamo capito: non è solo un tema sociale e culturale importante da trattare, non è solo una morale, ma è anche in qualche modo la decostruzione di un intero genere dell’animazione che si basa sul presupposto che lo spettatore sappia già con sicurezza cosa aspettarsi da un determinato tipo di personaggio. Zootropolis prende questo principio e lo rovescia grazie al personaggio di Judy Hopps, “tenera” coniglietta che in realtà vuole essere una poliziotta ed è convinta che tutti possano diventare ciò che vogliono. Il film, insomma, promette di reinventare il genere “animalesco” esattamente come ha fatto Frozen per il princess movie. Per scoprire se l’obiettivo è stato raggiunto o no non ci resta che aspettare il 18 febbraio.