Il cinema horror raccontato attraverso i secoli, le cinematografie, i cambiamenti sociali ma anche le declinazioni capaci di arrivare alla contaminazioni ad altri generi. Horror Unmasked scritto da Brad Weisman ed edito negli Stati Uniti da Epic Ink rappresenta un viaggio ultra-aggiornato dentro il cinema dell’orrore, partendo dalle origini stesse della “Settima Arte” fino ad arrivare ad analizzare il lavoro di Jordan Peele, last but not least il suo recente successo Nope già annunciato nel titoli del testo.
L’approccio narrativo di Weismann non potrebbe essere più lontano da quello enciclopedico abusato da questo tipo di pubblicazioni: fin da subito l’autore riesce a coinvolgere il lettore in un dialogo molto spesso semiserio sull’horror e la sua evoluzione nel corso degli anni e delle tendenze. Un approccio che facilita enormemente la lettura anche perché, quasi per contrappasso, Horror Unmasked si rivela pagina dopo pagina un libro che prende estremamente sul serio il processo di scambio quasi osmotico che questo tipo di cinema ha avuto con il periodo storico e sociale in cui è stato realizzato. Partendo dal concetto sacrosanto che si tratta di un tipo di cinema che tende a mettere in discussione, se non addirittura a destabilizzare lo status quo, il cinema dell’orrore ha spesso rappresentato una cartina di tornasole delle contraddizioni sociali, civili e politiche dell’epoca e del paese di appartenenza. Weismann ha ad esempio messo in evidenza come ad esempio nel XX, in Paesi guidati da un regime dittatoriale come l’Italia fascista o la Spagna di Franco, questo fosse un genere più o meno ufficialmente bandito.
Procedendo in ordine cronologico nella prima parte del suo libro Weismann ricostruisce con minuzia e pienezza di dettagli informazioni la storia dei classici che hanno dettato le regole estetiche e contenutistiche dell’horror per molti decenni a venire. Ecco quindi che tornare a leggere di come sono nati capolavori dell’Espressionismo quali Il gabinetto del dottor Caligari (1921) o Nosferatu (1922) diventa un’immersione avvincente dentro le correnti storiche e sociali che hanno scosso l’Europa tra le due guerre. Capire poi come l’horror sia passato da produzioni apprezzate e importanti come queste a diventare un genere di “serie B” nei decenni immediatamente successivi porta il lettore a comprendere in profondità quanto il sistema industriale hollywoodiano abbia basato la propria efficacia sullo sfruttamento industriale fin praticamente dagli albori del cinema stesso inteso come arte popolare. Weismann continua però costantemente, con ragione e non senza ironia, a cercare il grande cinema in mezzo alla valanga di produzioni commerciali. L’analisi attenta dell’autore si rivolge ad esempio al grande lavoro di costruzione del personaggio e del “mito” che attori iconici come Bela Lugosi, Boris Karloff o Peter Lorre hanno portato avanti nel tempo. In particolar modo viene analizzato il lavoro di Lon Chaney Sr. (Il gobbo di Notre Dame del 1923 e Il fantasma dell’opera del 1925 i suoi capolavori), considerato da Weismann il primo interprete ad adoperare il celeberrimo “metodo” per la costruzione fisica ed emotiva dei propri personaggi.
Tra i più di venti capitoli
che il libro propone quelli maggiormente interessanti riguardano la
differenza tra i prodotti della Hammer di origine britannica degli
anni ‘60 e i “cugini” americani realizzati da Roger
Corman. Il minimo comun denominatore rimane Edgar
Allan Poe e la sua smisurata bibliografia, ma sta
nell’analisi delle strategie estetiche e produttive che separano i
due progetti cinematografici il vero piacere di una lettura
cinefila. Così come l’ultimo capitolo dedicato a quello che
Wiesmann definisce il “post-horror” contemporaneo rappresenta una
riflessione tutt’altro che scontata su quanto il genere oggi più
che mai si trovi a voler riflettere sulle zone d’ombra di una
società non soltanto americana, e qui il discorso sui film di
Jordan Peele, sulle
produzioni della
Blumhouse ma anche su una serie di culto come
The Walking Dead diventano stimolo indubbio di
riflessione.
Per momenti di lettura maggiormente frivoli consigliamo invece il godibilissimo capitolo dedicato alla contaminazione con la commedia, in cui ti titoli maggiormente analizzati sono – e non poteva a nostro avviso essere altrimenti – Frankenstein Junior di Mel Brooks, Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis e Ghostbusters di Ivan Reitman. Ultima nota “partigiana” nel raccontare Horror Unmasked la vogliamo spendere mettendo in luce il notevole capitolo dedicato ai maestri del giallo italiani: l’autore spende enormi parole di elogio per il cinema di Dario Argento, sottolineando come nei suoi capolavori degli anni ‘70 abbia saputo sempre mettere la sua idea estetica innovativa e visionaria comunque la servizio della storia, facendo propria la lezione di Alfred Hitchcock a trasportandola dentro un nuovo modo di intendere il thriller.
“I migliori film dell’orrore vogliono scoperchiare le nostre teste e farci scrutare gli impulsi soppressi che possediamo. Vogliono farci contemplare un universo in cui morte, decadenza e corruzione hanno un ruolo. Il genere, nonostante le limitazioni e i cliché, ci permette di affermare quello che pensiamo della vita ma raramente articoliamo: l’innocenza è perduta, la vendetta sicura, la morte vicina. Avremo comunque sempre bisogno di uscire dall’oscurità, e tentare di sconfiggere il mostro…”
B.Weismann, Horror Unmasked