Sono passati diversi anni da quando Interstellar (qui la recensione) ha debuttato al cinema, diventando uno dei film più affascinanti ma anche più complessi di Christopher Nolan. Un regista che non si è spaventato davanti alla possibilità non solo di parlare di astrofisica o di relatività (ricordiamo, comunque, che il fisico teorico Caltech Kip Thorne è stato consulente scientifico), ma addirittura immaginare cosa si celasse dentro i buchi neri, corpi celesti ancora ignoti per la scienza. Sarà stata la sua fervida immaginazione legata a doppio giro alla sua genialità, a rendere Interstellar fra le pellicole più importanti di questi ultimi anni? Potrebbe essere. Una cosa, però, è certa: il suo finale, nelle sue più fitte teorie, lascia ancora con tanti punti interrogativi, alcuni inspiegabili, altri invece a cui siamo riusciti a dare una risposta e una spiegazione.
Le attività del Dr. Mann
In Interstellar la caratteristica più evidente di cui Nolan vuole parlarci subito, e che diventa pretesto e motore del film, è questa: le condizioni sulla Terra non sono delle migliori. Il pianeta è sofferente a causa di enormi tempeste di polvere, i raccolti stanno marcendo e l’umanità potrebbe perire a causa della mancanza di risorse. In cerca di risposte a tali eventi, la NASA guarda alla galassia. Come apprendiamo all’inizio, un gruppo di 12 scienziati ha viaggiato attraverso un misterioso wormhole apparso vicino Saturno, per vedere se i 12 pianeti dall’altra parte potessero sostenere la vita umana. Alcuni anni dopo, l’Endurance e il suo equipaggio – tra cui Joseph Cooper e Amelia Brand – visitano i tre pianeti più promettenti nella speranza di colonizzarne uno. Per spiegare bene il finale, cominciamo da quando i due arrivano sul pianeta del dottor Mann.
Una volta incontrato lo scienziato, questi assicura loro che dove si trova lui, seppur sia freddo e ghiacciato, è il luogo perfetto in cui gli esseri umani possono vivere. Andando avanti, però, quelle parole si rivelaranno solo uno stratagemma. Sebbene ciascuno dei 12 scienziati originari sapesse che il loro viaggio era di sola andata, Mann ammette di non aver mai considerato la possibilità che il suo pianeta sarebbe stato inabitabile e che avrebbe potuto morire da solo, come invece si evince. Nonostante abbia resistito all’impulso per anni, alla fine ha falsificato i dati delle sue indagini per convincere un’altra squadra a recarsi sul suo pianeta, con l’intenzione di usare l’Endurance per fuggire. Disperato, e con l’impellente bisogno di andare via, Mann è pronto a tutto, anche a commettere un omicidio. E il primo che cerca di far fuori è proprio Cooper.
L’esito del piano di Mann
Qualcosa, però, nel piano del dottor Man va storto. Intanto, per impedire che qualcuno possa scoprire che ha falsificato i dati del sondaggio fino a dopo la sua fuga, Mann mette una trappola esplosiva al robot che aveva immagazzinato i dati falsi. La manomissione provoca però un’enorme esplosione, ma il robot Endurance TARS riesce a fuggire. Non solo: questi ha anche disabilitato la procedura di aggancio automatico delle navette. Ciò si traduce in una sola cosa: anche se Mann ha rubato la navetta di Cooper, non è in grado di agganciarsi all’Endurance. Nel frattempo, quest’ultimo è fortunatamente sopravvissuto al tentativo di Mann di ucciderlo, ed è riuscito a chiedere aiuto. A salvarlo è Brand, la quale lo va a recuperare nella seconda navetta dell’Endurance.
Sebbene Brand e Cooper avvertano Mann che l’aggancio manuale all’Endurance non funzionerà, lo scienziato tenta comunque di farlo, poiché oramai accecato dal desiderio di scappare via a qualsiasi costo. Non appena però tenta di depressurizzare la camera di compensazione della navetta per poter entrare nell’Endurance, la camera di compensazione esplode, uccidendo Mann e mandando l’Endurance in rapida rotazione. Intanto Cooper con l’aiuto di TARS e dell’altro robot dell’Endurance, CASE, riesce ad agganciarsi all’Endurance e a stabilizzare la rotazione. Ma a quel punto la nave è gravemente danneggiata e non ha abbastanza carburante per viaggiare in sicurezza, lasciando Cooper e Brand bloccati nello spazio.
Il piano di Cooper per raggiungere il pianeta di Edmunds
Il terzo pianeta dove vogliono sbarcare Cooper e Brand è stato colonizzato da uno scienziato di nome Edmunds. C’è però un problema: la nave è rimasta senza carburante. A quel punto Cooper propone di utilizzare la gravità del buco nero – che si chiama Gargantua – per eseguire una manovra di fionda, la quale garantirebbe una partenza all’Endurance poiché facendolo si innescherebbe un’inerzia sufficiente a raggiungerlo. Sappiamo però, grazie a ciò che è accaduto in precedenza, che ogni qual volta l’equipaggio dell’Endurance si avvicina al buco nero, il suo campo gravitazionale distorce la loro percezione del tempo a causa della relatività, il che significa che il tempo vissuto da loro – che può essere di pochi minuti – per chiunque sia al di fuori della gravità di Gargantua si trasforma in anni.
Eseguendo comunque la manovra della fionda pensata da Cooper, lui e Brand si ritroveranno a sperimentare un “balzo temporale” di 51 anni. Entrambi capiscono in quel momento che Cooper, al netto di questa conseguenza, non potrà rivedere i suoi figli sulla Terra, poiché con molta probabilità quando lui farà ritorno saranno passati troppi anni e loro saranno morti di vecchiaia. Nonostante questo, Cooper deve necessariamente proseguire, poiché consapevole che il suo piano è l’ultima possibilità di sopravvivenza per l’umanità.
TARS e Cooper finiscono dentro Gargantua
L’unica soluzione per liberare l’Endurance dalla gravità di Gargantua è, dopo aver completato la manovra della fionda di Cooper, diminuirne il peso. A quel punto, prima di eseguire la manovra prestabilita, l’ex pilota della NASA decide che la navetta contenente il TARS si deve staccare e cadere nel buco nero. Oltre a liberare l’Endurance dal peso della navetta, Cooper spera che TARS possa raccogliere i dati quantistici dall’interno del corpo celeste, importante per gli scienziati della NASA sulla Terra per completare l’equazione gravitazionale che permetterà all’umanità di andarsene e dunque salvarsi. Nonostante le probabilità che questo accada siano molto scarse, Cooper vuole comunque provarci, ma non dice a Brand che la perdita della navetta di TARS non sarà sufficiente a ridurre il peso. Purtroppo, per far sì che il piano vada in porto, deve staccarsi un’altra navetta. In quel momento, Cooper decide che sarà lui a morire, lasciando che Brand prosegua verso il pianeta di Edmunds.
La sopravvivenza all’interno del buco nero
Una volta precipitato nel buco nero, Cooper (Matthew McConaughey) continua a registrare ciò che vede e lo trasmette a TARS, sperando che i dati aggiuntivi possano aiutare gli scienziati sulla Terra. Qui Nolan, grazie alla sua superba regia, restituisce agli spettatori una visione davvero singolare di come potrebbe essere questo corpo celeste. Dopo essere sceso in picchiata dentro il buco nero, vediamo Cooper che invece di essere schiacciato dalla gravità di Gargantua viene invece risparmiato, mentre la sua navetta si distrugge. Da qui, le cose diventano tutto fuorché semplici. Dopo essere sopravvissuto, Cooper si ritrova in una sorto di biblioteca infinita e interdimensionale, la quale gli permette di ripercorrere diversi momenti della camera da letto dell’infanzia di sua figlia Murph, compreso il giorno in cui è partito per la sua missione sull’Endurance.
TARS stabilisce che hanno attraversato Gargantua vivi perché sono stati protetti da “loro”, i misteriosi esseri che hanno costruito il tunnel spaziale che ha permesso all’Endurance di viaggiare in questa nuova galassia. Nonostante la NASA avesse capito che il wormhole – apparso vicino Saturno all’inizio di Interstellar – fosse stato costruito artificialmente da una specie di esseri intelligenti avanzati, le informazioni su di loro erano pressocché pari a zero. TARS, così, deduce che “loro” devono aver costruito questa biblioteca per aiutare Cooper a comprendere la loro realtà a cinque dimensioni.
Cooper vede Murph in Gargantua
Agli occhi dello spettatore, la biblioteca di Interstellar in cui è Cooper sembra infinita, ma ad un certo punto ci accorgiamo che ogni parte della stanza serve come finestra sullo stesso identico posto: la camera da letto di Murph (Jessica Chastain), lo stesso che vediamo all’inizio del film. In un primo momento Cooper crede di essere stato portato da lei per il suo desiderio di rivederla, ma TARS lo aiuta a capire che “loro” hanno costruito questa realtà tridimensionale per lui, permettendogli di accedere a tutte e cinque le dimensioni in un modo che non può comprendere.
Insieme a TARS, Cooper scopre che attraverso la biblioteca può influenzare fisicamente diversi punti dello spazio-tempo usando la gravità per spostare le cose (ricordiamoci che il tempo e la gravità sono la quarta e la quinta dimensione che esistono nella “loro” realtà). A quel punto, Cooper ha un’intuizione: comprende di essere stato portato in quel luogo per inviare un messaggio attraverso il tempo, usando la gravità, e che Murph deve essere l’unica a riceverlo. Da lì si rende conto che per “loro” è Murph la persona più importante, capace di salvare l’umanità. La biblioteca, dunque, esiste per far sì che Cooper sia in grado di fornire a sua figlia le informazioni di cui necessita nel preciso momento in cui le necessita.
La missione di Cooper nella stanza di Murph
Di primo acchito, quando Cooper vede la figlia, cerca in tutti i modi di inviarle un messaggio con il tentativo di bloccare la sua stessa partenza con l’Endurance. Lo fa attraverso i libri disposti sullo scaffale, per scrivere la parola “Stay” ossia resta, con il codice Morse. E lo fa per una ragione ben precisa: se riesce a farle recepire il messaggio, Murph fara sì che lui non parta, potendo di conseguenza riunirsi alla sua famiglia e cancellare gli anni persi. All’inizio di Interstellar, però, sappiamo che questo non avverrà mai, poiché pur avendo Murph ricevuto il messaggio, non è riuscita a convincere il padre.
La biblioteca, infatti, permette a Cooper di percepire tutte e cinque le dimensioni, ma non gli consente di cambiarne nessuna, ciò significa che non ha l’abilità di riscrivere il tempo così come non può smettere di essere tridimensionale. TARS, rendendosene conto, dice a Cooper che “loro” non lo hanno portato lì per cambiare il passato, quanto piuttosto per plasmare e influenzare il futuro. Così, con l’aiuto di TARS, fornisce a Murph le coordinate della struttura della NASA e condivide alcune informazioni che potrebbero salvare l’umanità.
Chi sono “loro”?
La trasmissione dei dati quantistici raccolti da TARS all’interno di Gargantua, perciò, aiuterà Murph a salvare l’umanità. Cooper è, sostanzialmente, il messaggero interdimensionale, scelto dalle stesse forze misteriose che hanno costruito la biblioteca e creato il wormhole vicino a Saturno. Una volta compreso il suo nuovo scopo, l’uomo capisce anche che le creature che hanno assistito l’umanità non sono affatto alieni, ma esseri umani. Capiamo così a nostra volta che, a un certo punto – nel futuro – l’umanità sarà progredita talmente tanto da usare la gravità per creare il wormhole che ha permesso alla NASA di inviare gli scienziati a esplorare i 12 pianeti.
Tale umanità del futuro in Interstellar è la stessa che ha protetto Cooper dagli effetti di Gargantua. Proprio come Cooper è in grado di usare la biblioteca per influenzare eventi che, per lui, sono già accaduti, gli umani del futuro hanno usato la loro comprensione del tempo e della gravità per garantire la propria sopravvivenza assistendo Cooper, Murph e la NASA, facenti parte del passato.
Cosa succede dopo l’invio del messaggio?
Cooper invia i dati a Murph attraverso l’orologio che le aveva dato prima di partire, dicendo a TARS che lei lo troverà grazie all’amore, l’unica chiave che può guidare la figlia, poiché questo è l’unico sentimento che trascende tutte le dimensioni compreso spazio e tempo. Murph, alla fine, l’orologio lo trova e da qui Interstellar prende una piega differente. Murph sa che per risolvere l’equazione gravitazionale che salverà l’umanità, sono necessari dati quantistici raccolti dall’interno di un buco nero. Sa però anche che raccoglierli dall’interno di un buco nero sia pressoché impossibile, il che le fa pensare che l’umanità sia condannata. Ad un certo punto, però, si rende conto che è Cooper ad essere il suo “fantasma” nascosto nella camera da letto quando era piccola (questa parte è presente all’inizio di Interstellar) e che è stato dunque il padre a darle i dati di cui aveva bisogno, per l’appunto con l’orologio. Murph, in tal modo, riesce a risolvere l’equazione, garantendo la sopravvivenza della specie umana.
Tornando a Cooper, quando l’uomo le trasmette i dati quantistici, il tesseract – ossia la biblioteca – inizia a disintegrarsi, poiché ha adempiuto al suo compito. Intanto Cooper perde conoscenza e quando si risveglia si ritrova in un habitat spaziale in orbita attorno a Saturno. Così come l’umanità del futuro ha portato Cooper in una biblioteca permettendogli di comunicare con sua figlia e salvare l’umanità del suo presente, lo ha anche riportato al sicuro terminata la sua missione. Invece però di essere sulla Terra, si trova in un’enorme colonia che fluttua nello spazio. Infatti, grazie ai calcoli di Murph e ai dati acquisiti dal buco nero, gli esseri umani hanno potuto lasciare la Terra e ora sono sparsi in diversi habitat spaziali.
Alla fine di Interstellar, dove va Cooper?
Quando in Interstellar Cooper arriva sull’habitat spaziale noto come Cooper Station è ancora giovane, perché per lui è passata solo qualche ora, mentre sua figlia Murph, che ha visto per l’ultima volta da bambina, per il discorso del balzo temporale è una donna anziana in punto di morte. Se l’uomo è quindi felice di aver rivisto la figlia, quest’ultima invece è consapevole che non vivrà ancora molto, suggerendo quindi al padre di andarsene per non vederla morire e di ritrovare invece Amelia Brand. Seguendo il suo consiglio, ruba una nave con l’obiettivo di tornare indietro attraverso il tunnel spaziale e raggiungere Brand sul pianeta di Edmunds. La scienziata sta provando a costruire lì una nuova colonia umana e quando si toglie il casco e respira l’aria della sua nuova casa, capisce che è quello il pianeta che a lungo gli astronauti hanno cercato e dove l’umanità potrà di nuovo prosperare.
Qual era l’equazione che Murph cercava di risolvere?
Uno dei fulcri di Interstellar rimane l’equazione gravitanzionale; un’equazione che la scienziata Amelia Brand prima, e Murph poi, cercano di risolvere. All’inizio Brand dice a Cooper che per il successo del Piano A – che prevede il trasferimento dell’umanità su un nuovo pianeta in un altro sistema solare – è indispensabile risolvere l’equazione mentre l’Endurance è in orbita per scoprire potenziali nuovi mondi. Solo dopo Brand confesserà a Murph di essere sempre stata al corrente del fatto che l’equazione è irrisolvibile senza i dati quantistici provenienti dall’interno del buco nero e che il Piano A era solo una messinscena.
Per quanto invece riguarda i risultati che l’equazione stessa avrebbe dovuto raggiungere, – e che raggiunge Murph – tutto si riconduce alla gravità. Affinché il Piano A funzionasse, Brand doveva portare l’intera razza umana via dalla Terra a bordo di ampie stazioni spaziali. Se gli esseri umani avevano la tecnologia utile per lanciare le singole navette, le stazioni spaziali delle dimensioni di una città erano invece un problema ben più grande, poiché per mandarle nello spazio era necessario che l’umanità imparasse a manipolare la gravità secondo la sua volontà. Senza risolvere l’equazione gravitazionale, essa sarebbe stata troppo grande per sollevarsi dalla Terra.
Il finale di Interstellar è un paradosso?
Interstellar, alla fine, solleva una domanda ben precisa, che sicuramente tutti si saranno posti quando il film arriva alle sue battute conclusive. Riguarda l’umanità del futuro, la quale come abbiamo spiegato poc’anzi ha generato sia il tesseract che il wormhole, permettendo di conseguenza che l’umanità del passato possa sopravvivere. Ma come è possibile tutto questo, considerato che l’umanità del futuro non può esistere senza che quella del passato sopravviva? La spiegazione ce la fornisce una teoria, nota come “paradosso della predestinazione“.
Questo è un ipotetico ciclo casuale nel viaggio nel tempo in cui un evento causa un secondo evento, che in realtà era la causa del primo. Pur essendo impossibile, la teoria può essere traslata all’interno dell’universo della pellicola di Nolan, dove potrebbe invece funzionare. Potrebbe essere che nella linea temporale “originale” l’umanità si sia effettivamente estinta sulla Terra, ma che la colonia “Piano B” di Amelia Brand sul pianeta di Edmunds sia sopravvissuta, si sia evoluta e abbia infine sviluppato la capacità di viaggiare nel tempo e cambiare il passato, creando dunque una nuova linea temporale da cui poi si è sviluppata tutta la vicenda di Cooper e Murph all’interno di Interstellar.