Jay Kelly, spiegazione del finale del film Netflix di Noah Baumbach: cosa significa davvero l’ultima scena

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Con Jay Kelly, Noah Baumbach firma uno dei suoi film più malinconici e introspettivi, un viaggio attraverso la crisi di mezza età di un attore leggendario che scopre — forse troppo tardi — il costo reale della propria fama. Il protagonista, star venerata e figura iconica dell’industria, si ritrova a misurare il peso di anni di scelte sbagliate, di affetti trascurati, di rapporti lasciati morire mentre il suo nome cresceva nel firmamento hollywoodiano.

Dopo la morte di un caro amico e mentore, Jay (George Clooney) intraprende un viaggio improvvisato attraverso l’Europa, inseguendo sua figlia, la sua carriera e la versione migliore di sé stesso che non è mai riuscito a realizzare. È un percorso che lo avvicina al suo passato e, soprattutto, alla consapevolezza del proprio fallimento emotivo. Ma la sequenza finale, quella che lo vede di fronte al pubblico del Tuscany Film Festival, apre una riflessione più profonda: cosa significa davvero “andare di nuovo”? E cosa resta, quando tutto ciò che si è perso non può essere recuperato?

Il significato del finale di Jay Kelly: tra rimpianto, ego e desiderio di un nuovo inizio

Jay Kelly
George Clooney – Cortesia Netflix

Il finale del film porta Jay al Tuscany Film Festival, dove riceve un tributo alla carriera. È il culmine di un viaggio fisico e interiore che lo ha privato di quasi tutto: del suo staff, della vicinanza della figlia Daisy, del rapporto già compromesso con Jessica, e persino dell’illusione di essere circondato da veri amici. A restargli accanto, in un momento tanto importante quanto fragile, è solo Ron, l’unico che ancora crede in lui nonostante tutto. Qui il film compie un ribaltamento emotivo: mentre il pubblico applaude commosso davanti alla celebrazione dei suoi momenti migliori, Jay è travolto dal peso dei suoi fallimenti, dei rapporti distrutti, delle persone sacrificate sull’altare della notorietà. Per anni ha creduto che la gloria lo avrebbe ripagato di ogni rinuncia; ora scopre che non è così.

Eppure, la sequenza del tributo illumina l’altra faccia della sua vita: il film mostra quanto il suo lavoro abbia inciso sull’immaginario collettivo, quanto pubblico e colleghi abbiano visto in lui non solo un attore, ma un artista capace di lasciare un segno. Jay, per la prima volta, comprende che ciò che ha costruito non è solo inganno o ambizione: è anche eredità, impatto, significato. Ed è qui che Baumbach inserisce il gesto chiave del finale. Quando Jay guarda verso la macchina da presa e chiede: «Posso rifarlo?», la frase diventa un ponte tra il suo mestiere e la sua vita. L’attore che chiede un nuovo ciak è lo stesso uomo che vorrebbe riscrivere le scelte fatte, essere un padre migliore, un marito migliore, un amico migliore. Ma il cinema concede infinite ripetizioni; la vita, no. Il finale lascia quindi sospesa la domanda centrale del film: Jay desidera davvero cambiare, o desidera soltanto una nuova occasione per alimentare il mito di sé stesso?

Il dilemma della carriera: Jay si ritira davvero? E cosa significa il film dei Louis Brothers?

Jay Kelly
Cortesia Netflix

Un altro nodo interpretativo riguarda la carriera di Jay. Durante il film, il protagonista considera seriamente l’idea del ritiro, soprattutto dopo la morte del regista Peter Schneider, il primo a credere in lui. Peter rappresentava non solo l’inizio della sua carriera, ma anche una promessa di autenticità artistica che Jay aveva tradito scegliendo ruoli più prestigiosi e remunerativi. Quel rimpianto diventa il motore della sua crisi: il Louis Brothers project, film da cui decide impulsivamente di ritirarsi, simboleggia proprio la sua fuga dai compromessi su cui ha costruito il proprio successo.

Tuttavia, il finale lascia aperta la possibilità opposta. Il suo commovente «posso rifarlo?» può essere letto come il desiderio di riscoprire l’amore per la recitazione, di rinnovare il rapporto con l’arte che lo ha definito. Il tributo, invece di sancire la fine di una carriera, potrebbe rappresentarne il rilancio. Jay non rimpiange la recitazione: rimpiange il prezzo pagato per inseguirla. Ed è proprio questo che lo porta a contemplare un ritorno più consapevole, meno impulsivo, forse perfino più vero. Baumbach non offre una risposta, perché Jay Kelly non è un film sulle certezze, ma sul fragile tentativo di rimettere insieme i pezzi quando si è perso troppo per tornare indietro.

Perché Jay desidera così tanto il tributo e cosa rivela sui suoi rapporti con gli altri

In principio, Jay rifiuta categoricamente l’idea del tributo. Non vuole essere celebrato, o forse teme di essere celebrato per una versione di sé che non riconosce più. Ma l’incontro con Timothy — l’amico che tradì all’audizione che lanciò la sua carriera, oltre che nella vita privata — innesca un terremoto emotivo. Timothy demolisce la narrazione eroica che Jay ha raccontato a sé stesso per decenni, ricordandogli quanto la sua fortuna sia stata costruita anche sull’appropriazione del talento e delle occasioni altrui. Da quel momento, Jay non chiede più un tributo: lo pretende.

Questo cambiamento non è vanità, o almeno non solo. Jay ha bisogno di provare a sé stesso che il suo successo non è stato un incidente, che non è soltanto il risultato di un momento fortunato e moralmente discutibile. Il tributo diventa una forma di legittimazione, una risposta al senso di colpa che lo perseguita. Ma il film sottolinea anche il rovescio della medaglia: mentre Jay cerca conferme, scopre quanto sia solo. Tutti gli assistenti lo abbandonano, Daisy rifiuta di vederlo, Jessica non vuole più avere un rapporto con lui, e perfino suo padre preferisce tornare a casa piuttosto che accompagnarlo. Il confronto con l’attore Ben Alcock — che arriva al festival con cinque macchine piene di parenti festanti — rende la solitudine di Jay ancora più evidente. L’unico a restargli accanto è Ron, non per dovere professionale, ma per affetto sincero. È una delle poche relazioni autentiche rimaste nella vita del protagonista.

Il rapporto con Ron: separarsi per salvarsi

Jay Kelly
Adam Sandler – Cortesia Netflix

Il tema dell’amicizia e del potere è centrale nell’ultima parte del film. Ron è il solo che, nonostante tutto, vede ancora l’uomo dietro la star. Ma la loro relazione è avvelenata da un equilibrio impossibile: Ron è al tempo stesso amico, dipendente, consigliere, badante emotivo. L’eccesso di ruoli, e la dipendenza economica, hanno sempre impedito un rapporto realmente alla pari. Il rifiuto di Jay di partecipare al film dei Louis Brothers è il punto di rottura: Ron capisce che la loro amicizia non sopravviverebbe a un’ulteriore collaborazione professionale.

Per questo lascia il suo incarico, ma non lascia Jay. La decisione di accompagnarlo al tributo, pur non essendo più il suo manager, è il gesto più puro del film: la prova che, oltre il cinismo dell’industria, oltre le umiliazioni e gli sbalzi d’umore del protagonista, rimane un legame umano che vale la pena preservare. La loro amicizia, liberata dal peso del lavoro, può finalmente respirare.

Jessica, Daisy e le ferite che non guariscono: perché Jay non ottiene il perdono

Il rapporto di Jay con le sue figlie è la ferita aperta che il film non chiude e che il finale non cerca di ricucire artificialmente. Daisy è distante, ma non arrabbiata: ha semplicemente imparato a non aspettarsi nulla da lui. Jessica, invece, rappresenta la rabbia e il senso di abbandono che Jay ha seminato durante la sua scalata verso la gloria. Anni di assenze, promesse infrante, egoismi. La loro telefonata finale è uno dei momenti più dolorosi del film: Jay cerca di convincere Jessica a raggiungerlo al festival, non per lei, ma per validare la propria storia. Jessica lo capisce e rifiuta. Non gli deve perdono; non gli deve nulla. Ed è proprio questa assenza di riconciliazione che rende autentico il film: Jay Kelly non è una parabola sulla redenzione, ma sull’accettazione tardiva delle persone che abbiamo perso per strada.

Conclusione: il finale di Jay Kelly tra nostalgia, rimpianto e un ultimo desiderio di verità

Jay Kelly si chiude sospeso tra due sentimenti opposti: la celebrazione e il dolore, la gloria e la solitudine. Quando il protagonista chiede se può “rifarlo”, non è solo l’attore che vuole girare una scena migliore: è l’uomo che vorrebbe rifare la propria vita, mosso dal desiderio di correggere ciò che non può più cambiare. Baumbach, però, non cede alla tentazione di un riscatto facile: il film mostra come talento e successo possano coesistere con la fragilità, con la colpa, con l’irrecuperabile. Jay non ottiene perdono, non ottiene famiglia, non ottiene redenzione. Ottiene qualcosa di diverso: la consapevolezza.

Il finale di Jay Kelly è uno specchio che riflette una domanda universale: cosa faremmo se potessimo “rifare” la scena della nostra vita? E avremmo davvero il coraggio di farlo?

Redazione
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