L’avvocato del diavolo: la spiegazione del finale del film

-

Nel 1997 Taylor Hackford, (regista noto Ufficiale e gentiluomo e Rapimento e riscatto) ha diretto il thriller soprannaturale L’avvocato del diavolo. In questo film, Hackford dà vita ad un racconto che mescola elementi legali, psicologici e fantastici, avvalendosi di un cast d’eccezione guidato da Keanu Reeves, Al Pacino e Charlize Theron. Il film si basa sull’omonimo romanzo di Andrew Neiderman e si presenta dunque come un’opera di forte impatto visivo e tematico, in cui si esplorano le profondità dell’ambizione, della morale e della corruzione dell’anima, proponendo una visione disturbante ma affascinante del libero arbitrio e della tentazione.

Tra i punti di forza del film spicca senza dubbio l’interpretazione magnetica Pacino nei panni di John Milton, un carismatico e sinistro avvocato che si rivela incarnazione stessa del Diavolo. Il personaggio di Kevin Lomax, interpretato da Reeves, è invece un giovane e ambizioso avvocato che si ritrova invischiato in un mondo scintillante ma moralmente ambiguo, dove il successo ha un prezzo sempre più alto. Il film si muove così tra aule di tribunale e visioni inquietanti, affrontando temi universali come la vanità, il libero arbitrio, l’identità e la lotta tra bene e male. L’avvocato del diavolo si rivela così un perfetto esempio di cinema mainstream capace di veicolare riflessioni profonde sotto la superficie spettacolare del racconto.

Da subito il film ha goduto di un buon successo commerciale e ha colpito il pubblico per la sua originalità e audacia tematica. L’opera è poi ancora oggi oggetto di analisi e interpretazioni, soprattutto per quanto riguarda il suo finale , che chiude la storia lasciando però aperti interrogativi cruciali su realtà, manipolazione e coscienza. In questo articolo ci concentreremo proprio sul significato di quel finale, cercando di coglierne le implicazioni filosofiche, religiose e simboliche, e inquadrandolo all’interno della struttura tematica del film e del messaggio che si è voluto trasmettere.

Keanu Reeves in L'avvocato del diavolo
Keanu Reeves in L’avvocato del diavolo

La trama di L’avvocato del diavolo

Protagonista del film è dunque il giovane e promettente avvocato Kevin Lomax, il quale non ha mai perso un caso. Durante il suo ultimo incarico, egli è perfino riuscito a far scagionare un insegnante accusato di molestie su minori, pur consapevole della sua reale colpevolezza. Proprio questa vicenda porta Kevin ad essere contattato da un importante studio legale di New York, il quale gli offre una grande somma di denaro per unirsi a loro. A capo dello studio vi è il controverso John Milton, personalità misteriosa e incline alla malvagità. Alle prese con il primo caso affidatogli, Lomax inizia però a vivere una serie di strani episodi, che lo porteranno a comprendere che l’uomo per cui lavora non è chi sembra essere.

La spiegazione del finale del film

Il finale de L’avvocato del diavolo si snoda attraverso una rivelazione sconvolgente che rilegge in chiave metafisica tutta la vicenda. Dopo aver scoperto l’identità demoniaca di John Milton, che si rivela essere il vero padre di Kevin, e dopo aver assistito alla distruzione psicologica e fisica della moglie Mary Ann, Kevin si ritrova di fronte a una proposta di potere assoluto. Milton vuole che il figlio generi con la sorellastra Christabella un bambino destinato a governare il mondo, in una sorta di distorto piano messianico. Di fronte a questa prospettiva apocalittica, Kevin compie però un atto estremo di rifiuto: si spara, togliendosi la vita per impedire che il piano venga portato a termine.

È un momento di rottura che sembrerebbe segnare la fine della tentazione e la vittoria del libero arbitrio sulla manipolazione satanica. Ma il film non finisce lì. In un colpo di scena che scompagina ogni certezza, Kevin si risveglia nel bagno del tribunale in Florida, al termine del primo processo visto nel film. Tutto sembra non essere mai accaduto: la proposta del grande studio legale di New York deve ancora essere fatta. Kevin, armato di una nuova consapevolezza, rifiuta l’offerta per restare fedele alla sua etica. Sembra la conclusione catartica di un viaggio morale, ma ecco che il giornalista che ha seguito il caso lo convince a concedergli un’intervista.

Keanu Reeves e Charlize Theron in L'avvocato del diavolo
Keanu Reeves e Charlize Theron in L’avvocato del diavolo

Subito dopo, il giornalista si trasforma di nuovo in John Milton, rompendo la quarta parete e chiudendo il film con un beffardo “Vanità… decisamente il mio peccato preferito”. È chiaro a questo punto che la tentazione non ha fine, e che Milton è ovunque e sempre pronto a sfruttare nuovamente le debolezze umane di suo figlio. Questo finale pone evidentemente delle domande inquietanti. È tutto un sogno? Un’allucinazione? O siamo dentro un ciclo di prova e fallimento dove il libero arbitrio viene testato continuamente? La struttura narrativa suggerisce una dimensione allegorica più che realistica. L’intero film potrebbe essere letto come una prova morale, una sorta di “tentazione nel deserto” per un uomo moderno.

La posta in gioco non è solo l’anima del protagonista, ma la possibilità stessa di resistere alla corruzione sistemica. Kevin rifiuta il potere, ma la vanità lo afferra da un altro lato. È un’espressione moderna del male come presenza sottile, insinuante, capace di travestirsi da successo, fama, riconoscimento. Tematicamente, dunque, il finale completa un discorso sull’identità e sull’etica personale che attraversa tutto il film. Il male, nella visione di Hackford e di Neiderman, non è un’entità esterna con corna e zoccoli, ma una componente intrinseca all’ambizione umana. John Milton è proprio la personificazione di questa verità: affascinante, colto, irresistibile.

Il suo monologo finale è inoltre una dichiarazione d’intenti che espone la vulnerabilità dell’essere umano nella società capitalista e competitiva. La vera battaglia non si combatte dunque tra bene e male in senso assoluto, ma tra l’integrità e la vanità, tra il fare la cosa giusta e il desiderio di essere ammirati. Così, il film chiude il cerchio in modo ambiguo e perturbante, lasciando lo spettatore con l’impressione che la tentazione sia ovunque — e che, molto probabilmente, nessuno è davvero al sicuro. Consapevoli di ciò, risulta quindi importante compiere le giuste scelte, seguendo sempre il cuore anziché essere influenzati da agenti esterni.

Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.
- Pubblicità -

ALTRE STORIE

- Pubblicità -