La vita è bella: l’immaginazione è più importante della Storia

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“Questa è una storia semplice. Ma non è facile da raccontare. Come una favola, c’è dolore, c’è meraviglia e felicità”. Così inizia La vita è bella di Roberto Benigni, una meditazione sulla tragedia dell’Olocausto. Ambientato nell’Italia fascista, il film racconta la storia dell’ebreo italiano Guido Orefice, che viene deportato in un campo di concentramento nazista insieme al figlio Joshua e alla moglie cristiana Dora. Guido è un buffone teneramente sfortunato il cui mondo è plasmato da una combinazione di casualità, sia felici che sfortunate, e dalla sua fede nelle capacità dell’amore di sostenere e trasformare.

Entrambe queste cose segnano la sua vita nel campo, dove si dedica a proteggere suo figlio da ogni conoscenza della raccapricciante realtà circostante dicendogli che loro e gli altri prigionieri sono in realtà concorrenti in un elaborato gioco. Sebbene Guido venga infine ucciso nel Lager, salva lo spirito e la vita del figlio, che, seguendo la finzione creata dal padre, esulta per aver vinto la partita quando si riunisce alla madre alla fine del film.

Roberto Benigni e la fama internazionale prima de La vita è bella

All’epoca della produzione, Roberto Benigni era già una star internazionale, grazie alla sua collaborazione con Jim Jarmusch, e con questo film ha scommesso nel fare del suo caratteristico approccio caotico e clownesco il veicolo di una narrazione dell’Olocausto. L’uso del registro comico da parte di Benigni ha scatenato all’epoca un nuovo ciclo di dibattiti sui parametri e le possibilità della rappresentazione dell’Olocausto. Benigni ha anche rischiato una censura più specifica in Italia. La commedia si è dimostrata un modo accettabile di affrontare pubblicamente il delicato argomento della partecipazione e della sconfitta dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, ma gli antieroi non marziali delle parodie militari italiane del dopoguerra evitano abilmente la questione dell’aggressione fascista.

Il film di Benigni perpetua solo in parte questo disconoscimento della violenza casalinga. Incarna l’Olocausto come un fenomeno interamente tedesco, ma ricorda agli italiani la loro complicità nel creare un clima persecutorio attraverso l’applicazione delle leggi razziali del fascismo.

Una risposta positiva di pubblico e critica

roberto benigniBenigni e il suo co-sceneggiatore Vincenzo Cerami hanno quindi coperto le loro scommesse svolgendo ricerche approfondite, assumendo consulenti storici dal Centro di documentazione ebraica di Milano e proiettando il film per gruppi ebraici italiani prima della sua uscita. Tale cura ha dato i suoi frutti: mentre il film ha attirato alcune critiche all’estero per il suo tono ottimista e sentimentale, in Italia la risposta della critica e del pubblico è stata per lo più positiva. Il seguente successo internazionale di Benigni, che ha compreso premi a Cannes, Gerusalemme, Varsavia e Hollywood, ha consolidato la sua popolarità tra gli italiani come ambasciatore delle qualità nazionali “essenziali” di fantasia e umanesimo. In effetti, la pubblicità all’estero per La vita è bella ne ha enfatizzato l’inventiva piuttosto che la precisione storica. In America, il film è stato pubblicizzato come una favola italiana “che dimostra che amore, famiglia e immaginazione conquistano tutto”, e Benigni disse alla rivista Indie di aver realizzato il film come “regista… il cui dovere è inventare storie, quindi ho inventato completamente questo. È una favola, ma inventata dalla verità”.

Il tema dello slittamento tra realtà e finzione è al centro di La vita è bella e trova articolazione sia nel contenuto del film che nella sua struttura narrativa. “Sono ciò che voglio essere” è il motto di Guido, ma i sogni di trasformazione ossessionarono anche i nazisti e i fascisti; in definitiva, il film di Benigni richiama l’attenzione sul potenziale della fantasia di operare sia nel male che nel bene.

Le conseguenze distruttive del pensiero utopico totalitario sono onnipresenti. I sogni di impero e superiorità razziale guidano i fascisti italiani, che organizzano feste con temi coloniali e si rassicurano a vicenda di essere ariani e “la migliore di tutte le razze”.

Redazione
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