L’erede: la spiegazione del finale del film

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Xavier Legrand, attore diventato regista con il sorprendente L’affido – Una storia di violenza (2017), torna nel 2023 al cinema con L’erede (il cui titolo originale è Le Successeur): un thriller psicologico, liberamente ispirato al romanzo L’Ascendant (2015) dello scrittore Alexandre Postel, al confine tra dramma familiare e genere noir. Questa seconda regia segna una svolta rispetto al suo debutto: Legrand abbandona il legal drama per abbracciare un approccio più genrebuster, contaminando la sua analisi della violenza maschile con le atmosfere di Hitchcock, Polanski e persino del noir tragico classico. L’opera conferma il suo talento nell’introspezione psicologica, ma al contempo ne amplia l’ambizione estetica e narrativa.

Al centro di L’erede c’è il tema dell’eredità – nel senso più ampio e inquietante del termine. Ellias Barnès è un giovane stilista affermato che, alla morte del padre, torna in Québec per sbrigare pratiche di successione. Quello che scoprirà non è solo un retaggio patrimoniale, ma un segreto che ritrae la violenza maschile come imprinting tra generazioni. Legrand si interroga in modo esplicito: il male può essere ereditato? Esiste una cicatrice invisibile che lega un padre al figlio, rendendo la fuga impossibile? Questi interrogativi plasmano la narrazione in una spirale simbolica, visivamente evocata già nella scena iniziale di sfilata.

Confrontando L’erede con altri film sul rapporto padre‑figlio e sulla trasmissione del trauma, emerge una certa affinità con … E ora parliamo di Kevin di Lynne Ramsay e In the City of No Limit per l’analisi del male genetico o sociale. Allo stesso tempo, il modo in cui Legrand utilizza la tensione psicologica e l’estetica del thriller lo avvicina all’opera di Yann Gozlan (L’uomo ideale) o alla cupa eleganza di Prisoners di Denis Villeneuve. L’erede si pone così come ibrido sofisticato: dramma esistenziale, thriller familiare e favola nera tragica. Nel resto dell’articolo verrà fornita una spiegazione dettagliata del complesso e ambiguo finale, che chiude il film con un colpo di scena destabilizzante.

Marc-André Grondin nel film L'erede
Marc-André Grondin nel film L’erede

La trama di L’erede

Il film segue la storia di Ellias Barnès (Marc-André Grondin), trentenne e acclamato stilista canadese che ha appena raggiunto il culmine della sua carriera come direttore artistico di una celebre casa di moda a Parigi, tra riconoscimenti, sfilate e pressioni costanti. Proprio mentre il suo successo sembra consolidarsi, un’improvvisa chiamata dal Quebec lo costringe a tornare a Montréal per i funerali del padre, con cui non aveva più rapporti da tempo e dal quale si era allontanato per motivi mai chiariti. Tornato nella sua città natale, si trova così ad affrontare il dolore per il lutto.

Ma non solo. Ad attenderlo troverà anche una rivelazione sconvolgente, che metterà in discussione la sua identità. Ellias, che inizia a soffrire di dolori al petto e stanchezza improvvisa, sospetta che il suo cuore debole possa essere la causa. Ma il ritorno a casa svelerà che il giovane stilista ha ereditato ben più di una semplice predisposizione a malattie cardiache da suo padre. Un segreto agghiacciante, rimasto nascosto per anni e legato a eventi oscuri della loro famiglia, cambierà per sempre la sua vita, segnando il suo destino in un modo che non avrebbe mai immaginato.

La spiegazione del finale del film

Nel finale de L’erede (Le Successeur), Xavier Legrand propone una conclusione volutamente ambigua ma profondamente tragica, costruita attraverso elementi visivi e sonori carichi di significato. Nell’ultima scena, vediamo un iPad acceso su cui compare la copertina approvata di Harper’s Bazaar, scelta dal team di comunicazione della maison di moda. La fotografia mostra solo il cognome “Barnes”, senza nome né volto riconoscibile. È un’immagine simbolica: Ellias Barnes, ormai scomparso come individuo, viene ridotto a una firma familiare. Il nome che resta è quello del padre, e con esso l’eredità da cui il protagonista aveva cercato invano di fuggire.

Marc-André Grondin e Yves Jacques in L'erede
Marc-André Grondin e Yves Jacques in L’erede

Il personaggio che conoscevamo come Ellias era in realtà Sébastien, ma quel nome — la sua vera identità — viene cancellato. Questo gesto evidenzia il tema centrale del film: il legame di sangue come vincolo irrinunciabile, da cui non ci si può emancipare, nemmeno rinnegandolo o tentando di costruirsi un’identità alternativa. Legrand sottolinea che questa “sparizione” non è una scelta: il protagonista è obbligato a scomparire. È una scomparsa su più livelli — fisica, mediatica, simbolica — e diventa una tragedia nel senso più classico del termine. Come in ogni tragedia, il destino si compie inevitabilmente, e il personaggio è schiacciato da una forza che non può controllare.

Mentre l’iPad si spegne e la foto scompare dallo schermo, sentiamo fuori campo un rumore secco, un suono che indica con forza che “qualcosa è successo”. Legrand non mostra esplicitamente ciò che accade, ma conferma che nel suono non c’è ambiguità: è una fine. Il protagonista esce di scena, letteralmente, andando su una terrazza che abbiamo già visto nel film. Che si tratti di un suicidio o di una sparizione definitiva è lasciato all’interpretazione dello spettatore, ma la tragicità del gesto è chiara. Non si tratta solo della fine di una persona, ma della fine di un’identità.

Legrand aveva inizialmente pensato a un finale più esplicito, ma ha poi optato per questa conclusione più sospesa e aperta. Il film, tratto dal romanzo L’Ascendant di Alexandre Postel, prende le distanze dalla sua fonte letteraria proprio in questo epilogo: sceglie l’ambiguità per sottolineare quanto sia irrisolvibile il conflitto tra l’identità che ereditiamo e quella che proviamo a costruirci. L’ultima immagine — il cognome “Barnes” che resta — chiude la storia con una crudele ironia: l’erede non ha potuto che diventare il successore del padre che detestava.

Il trailer di L’erede

Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.
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