Christopher Nolan, intervista al regista di Oppenheimer: “La relazione tra i film e il tempo mi ha sempre affascinato”

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Christopher Nolan sul set di OPPENHEIMER. © Universal Pictures.

Trai registi più riconoscibili della contemporaneità, Christopher Nolan si avvia da protagonista nella stagione dei premi 2024, grazie al grande successo di critica e pubblico di Oppenheimer, che al momento gli è già valso 5 Golden Globe, tra cui miglior film drammatico e soprattutto migliore regia. È la prima volta che la Hollywood Foreign Press Association riconosce infatti il lavoro di Nolan dietro alla macchina da presa.

 

Ma com’è nato il progetto di Oppenheimer, cosa lo ha spinto a addentrarsi così in profondità nel conflitto etico e morale dello scienziato che ha a tutti gli effetti inventato l’arma di distruzione di massa più temibile mai concepita dall’uomo? Abbiamo incontrato Christopher Nolan, a New York ed ecco cosa ci ha detto.

Quale è stata la scintilla che l’ha spinta a voler dirigere un film su Robert Oppenheimer?

<<Si è trattato di una confluenza di fattori in realtà. Essendo cresciuto nel regno Unito, gli anni ‘80 li ho vissuto all’insegna della minaccia di una guerra nucleare. Nella cultura di quel decennio era un problema ben presente. Gli Stati Uniti progettavano missili, c’erano proteste praticamente ovunque. La prima volta che ho sentito il nome di Oppenheimer è stato grazie a Sting e alla sua canzone Russians. Sapevo della sua associazione con la bomba atomica, ma ho sempre voluto scoprire qualcosa in più della sua storia. Anche se non sapevo esattamente cosa, c’era sempre stata una specie di cortina grigia intorno a questa figura di scienziato.

Poi a un certo punto ho scoperto che a Trinity non avevano completamente eliminato la possibilità che l’intera atmosfera si incendiasse allo scoppio della bomba, distruggendo l’intero pianeta. Ma andarono avanti e spinsero il bottone. Non c’è mai stato un momento come quello nella storia dell’umanità. Avevo già fatto riferimento a Oppenheimer nel mio film precedente Tenet. Così Robert Pattinson che era nel cast mi regalò questo libro su di lui e su quel gruppo di scienziati che cercavano di non teorizzare, di non razionalizzare questa minaccia che possedevano. Una storia che mi sembrava essere sempre più drammatica.

Emma ed io visitammo il nostro amico Charles Roven, con cui abbiamo prodotto la trilogia de Il Cavaliere Oscuro, e lui mi ha suggerito di leggere American Prometheus, un libro che lui stava tentando di tradurre in film. Appena ho iniziato a leggerlo ho visto subito la connessione tra la vita privata di questo personaggio e la storia globale di cui è parte. Per esempio Los Alamos, dove avvenne tutta la preparazione e lo scoppio della prima bomba prototipo, è dove Robert amava andare a cavalcare con suo fratello.>>

Intervista a Christopher Nolan, regista di Oppenheimer

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Cillian Murphy e Christopher Nolan sul set di OPPENHEIMER. © Universal Pictures.

Come ha lavorato alla sceneggiatura? È vero che c’è un draft scritto in prima persona?

<<Quando ho cominciato a scrivere non volevo usare la voce off, ma allo stesso tempo sentivo che mancava qualcosa, non riuscivo a penetrare nel punto di vista soggettivo che volevo aggiungere. Così a un certo punto ho cominciato a scrivere note di regia in prima persona. Non so se altri adoperano questo metodo. E questo mi ha immediatamente precipitato nel punto di vista di Oppenheimer, sia come scrittore che come spettatore, al modo di una voce off.

Nel momento in cui usi la prima persona, inizi a prestare attenzione a molte altre cose oltre il dialogo. E per questo film era fondamentale, anche per costruire degli appigli simbolici nei vari salti temporali che la storia propone.>>

È un processo che ha adoperato anche in fase di riprese?

<<Certamente. Con il direttore della fotografia Hoyte van Hoytema abbiamo costantemente cercato un punto di vista che fosse il più vicino possibile all’essere soggettivo, quello di Robert Oppenheimer. Sia nelle scene a colori che in quelle in bianco e nero, spesso non interessandoci delle ombre o delle luci. Ci è parso un modo per essere onesti riguardo il punto di vista a cui volevamo aderire. Abbiamo seguito questa idea in maniera molto rigorosa, quasi religiosa direi. Mentre vedevamo il girato giornaliero ci siamo accorti che stava funzionando.>>

Quale metodo ha adoperato per restituire il lato emotivo sia del protagonista che della vicenda storica?

<<Alla base c’è il libro di Kai Bird, un volume estremamente accurato con delle prospettive nuove sia sull’uomo che sul suo lavoro. Ci sono voluti quasi venticinque anni di ricerche prima che Bird decidesse di farlo pubblicare. Gli è costato molto tempo e fatica scriverlo. Dopo ho ascoltato le registrazioni e letto le trascrizioni degli interrogatori a Oppenheimer. Poi ho letto il libro di nuovo e ho iniziato a prendere note, senza il testo ma basandomi soltanto su quello che ricordavo. Quello che mi aveva impressionato e che ritenevo essenziale. Una volta capita quale era la struttura con i due diversi piani temporali che avevo in mano ho cominciato a scrivere. Devo sempre avere un’ossatura, è il mio modo di lavorare.>>

I suoi film sono spesso intricati a livello narrativo ma molto chiari quando si tratta di emozioni: come lavora su questo doppio binario?

<<Quando ho girato il mio primo film Following volevo assolutamente usare una struttura con tre piani temporali che si alternavano. Pensavo che ci sarei riuscito scrivendo la storia in ordine cronologico e poi l’avrei assemblata seguendo la mia struttura.

Così ho scoperto che ci voleva moltissima riscrittura per rendere comprensibile il mio progetto. Così mi sono ripromesso di non farlo più. In tutte le sceneggiature successive sono state scritte seguendo la logica dei personaggi, al fine di rendere comprensibile il loro viaggio emotivo. Anche Memento.

Le connessioni le lascio fare in fase di riprese, ci sono collaboratori molto validi che mi aiutano. Quando segui i tuoi personaggi in un certo senso ti metti dalla parte dello spettatore. Di solito mi organizzo secondo strutture e diagrammi piuttosto astratti, cercando di dare forma alla storia. Scrivo un sacco di note. Non inizio mai a scrivere una sceneggiatura se non mi sento pronto e ho capito di aver esplorato tutte le possibili vie che mi interessavano nel raccontare i personaggi.>>

Christopher Nolan sul set di Oppenheimer
© Immagini universali. Tutti i diritti riservati.

Cosa la spinge a frammentare il concetto di tempo in molti dei suoi progetti?

<<La relazione tra i film e il tempo mi ha sempre affascinato. Il modo in cui i film convenzionali si confrontano con la nozione di tempo è qualcosa di molto sofisticato. Io sono uno spettatore molto esigente, se guardo una commedia romantica ad esempio sono sempre fin troppo cosciente della scala temporale della storia.

Si è svolta nell’arco di due anni, due mesi o due settimane? la gente non lo sa veramente. c’è sempre questo senso di fantasia nel cinema. A me invece piace esporre questo meccanismo, smontarlo e mostrarlo all’attenzione del pubblico, in modo che possa avere accesso al modo in cui egli stesso connette le informazioni riguardanti la narrazione. I romanzieri adottano questo meccanismo praticamente da sempre. Orson Welles lo ha fatto con Quarto potere.>>

Quando scrive una sceneggiatura pensa già agli attori che potrebbero interpretare i ruoli?

<<Provo a non farlo. Qualche volta però certi volti ti si insinuano nella mente e non se ne vanno, c’è poco o nulla da fare. Quando ad esempio ho scritto Batman Begins avevo  Morgan Freeman fisso in mente per il ruolo di Lucius Fox. Lui il film non lo voleva fare, ho davvero dovuto convincerlo.

Provo comunque a non farlo, mi sembra come se in qualche modo stessi tradendo il personaggio. Invece di costruirlo mi aggrappo a qualcosa che ho già visto in un attore. Invece vorrei consegnare loro qualcosa che non hanno mai fatto in precedenza. Sono molto fiero del ruolo che ho consegnato a Cillian in Oppenheimer e del modo in cui lo ha sviluppato, lo ha fatto proprio. Allo stesso modo la performance di Robert Downey Jr. è maestosa.>>

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