La suggestiva ed elegante cornice della Terrazza Martini in p.zza Diaz a Milano, da cui vetrate lo sguardo domina su tutta la città, è la location designata per l’incontro tra la stampa e i protagonisti del nuovo film Fandango Gli Sfiorati di Matteo Rovere. Il regista e i due giovani protagonisti Andrea Bosca e Miriam Giovanelli sono accompagnati da Domenico Procacci in persona e dall’autore del romanzo da cui la storia ha preso ispirazione, Sandro Veronesi.

 

E’ lo stesso produttore che esordisce spiegando ai giornalisti presenti come lui e Veronesi avessero in cantiere il progetto per questo film da ormai molti anni e di come si siano convinti di Matteo Rovere dopo aver visionato i suoi apprezzatissimi corti ed il suo precedente “lungo” Un gioco da ragazze del 2008, presentato al festival di Roma.

Come detto il film è tratto dall’omonimo romanzo di Sandro Veronesi che lo scrisse più di venti anni fa, la decisione di attualizzarlo è stata presa poco prima di iniziare le riprese. L’autore toscano tiene poi a spiegare il significato singolare del titolo:-a Mondadori questo titolo non piaceva, mi proposero di intitolarlo “I violinisti”- ci confida con ironia – ma io a quei tempi frequentavo una comunità di ciechi e fu proprio il loro sfiorare le cose e non il toccarle, per paura di ferirsi, che mi diede l’ispirazione per questo romanzo -.

Il giovane regista Matteo Rovere chiarisce invece il termine “schiumevolezza” che come nel libro anche nel film assume un significato determinante:- è una parola guida nel racconto del film – afferma – presente nel sub-strato della storia; come la schiuma delle onde così anche i personaggi cambiano e mutano di continuo-.

Se la giovane e graziosa Miriam Giovanelli si limita ai ringraziamenti di rito, Andrea Bosca dimostra una loquela non indifferente e considerazioni profonde:- la cosa che può accomunare il pubblico con i personaggi è l’ossessione – afferma – l’ossessione per una persona o per un qualcosa. Per Mete queste ossessioni sono Belinda e la famiglia e l’abbandonarsi ad esse lo porta a finire dove mai avrebbe immaginato all’inizio del film, ossia alla famiglia stessa -.

Il regista poi fa un’interessante analisi del ruolo che la Roma da lui presentata ha nel contesto narrativo: – palazzi d’epoca che in realtà non appartengono a nessuno – afferma – la città pulsa attorno ai personaggi anch’essa li “sfiora”; nessuno ha un’abitazione sua ma solo sistemazioni provvisorie che infondono un senso di provvisorietà -.

La chiosa è ovviamente tutta per Domenico Procacci il quale conferma di aver dovuto affrontare e convincere una Commissione esaminatrice che voleva porre il veto ai minori di 14 anni, il film presenta in fin dei conti un incesto, ma la censura è stata evitata. Quindi risponde a chi gli chiede un parere sulle turbolenze in seno all’organigramma direttivo e organizzativo del prossimo Festival di Roma: – un grande papocchio – esordisce – dove la politica ha mostrato grande arroganza e prepotenza non degne di un paese civile. Si doveva lasciare al presidente uscente il diritto di scegliere il suo direttore artistico senza imporgli scelte di comodo, non mi è sembrato serio ed elegante – . E con questa coda polemica è tutto.

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