Nel momento esatto in cui, qui al New York Film Festival, è terminata la proiezione per la stampa di All of Us Stranger (Estranei), nuovo, avvolgente film di Andrew Haigh, il primo pensiero è stato quello di trovare il romanzo di Taichi Yamada a cui si è ispirato. Un pensiero spinto dal desiderio gioioso di comparare, analizzare, capire come sia stata concepita una sceneggiatura talmente potente e precisa nell’analizzare l’animo umano. Haigh ha già ampiamente dimostrato di essere un cineasta capace di dedicare la giusta attenzione alla vita interiore dei suoi personaggi, al loro non detto o al rimosso. Nel caso di Estranei però ci troviamo di fronte a un enorme, potente passo avanti.
Estranei, la trama
Nel raccontare la storia di Adam (Andrew Scott), del suo percorso di elaborazione della perdita e dell’apertura verso l’amore, Haigh compone un gioco di specchi di valore emotivo sostanzioso e stratificato. E proprio nel momento in cui rischiava di “perdere” la presa emotiva con il pubblico, ecco invece che il suo film al contrario sale vertiginosamente di tono: il passaggio dalla rappresentazione reale a quella mentale del protagonista si rivela infatti il momento dolcissimo, accurato in cui questo dramma umano di discosta dagli altri film e diventa un discorso di intimità che diventa quasi imbarazzante da esperire. Tanto è intimo il tocco di Haigh, precisa e silenziosa la sua penna, che ci si sente di troppo ad assistere all’incontro tra Adam e i suoi genitori, alle chiacchierate tranquille ma profonde che portano a un confronto tanto negato quanto necessario. La bellezza e la bontà della storia d’amore che Adam inizia con Harry (Paul Mescal) diventa allora lo specchio appassionante di questa apertura alla vita, della volontà di mettersi in gioco non tanto con se stesso, quanto nel profondo con quella parte del proprio io tenuta nascosta perché troppo oscura e dolorosa.
Il centro emozionale di Estranei è senza dubbio questo rapporto ideale che Adam ricuce con i suoi genitori, in una serie di quadri familiari di genuina sincerità. Attraverso i dialoghi e le situazioni maggiormente comuni regista e attori arrivano al cuore dei personaggi, alla radice del loro rapporto e della loro umanità. Non era affatto facile arrivarci attraverso una scelta narrativa tanto audace, il risultato merita dunque di essere doppiamente applaudito.
Le prove maiuscole di Andrew Scott e Paul Mescal
Lavorando su due ruoli così ben delineati e profondi, era praticamente impossibile che Andrew Scott e Paul Mescal non arrivassero a regalare al pubblico prove maiuscole. In particolar modo il primo dei due dimostra una maturità artistica che gli permette di liberarsi di qualche piccolo artificio di istrione che in passato aveva accennato. In questo caso al contrario il suo volto pensieroso, il suo lavorare con i tempi densi del silenzio, sono frutto di una comprensione e di un’elaborazione del personaggio personale e profonda. Se nell’applauso che accomuna l’intero cast va menzionata anche Claire Foy, dobbiamo però confessare che il nostro cuore è stato rubato e poi spezzato dal padre Jamie Bell, figura in chiaroscuro che ha il vantaggio di essere presentata nella scena più evocativa del film, mentre all’attore deve essere va attribuito il merito di risplendere di bravura nella sequenza del confronto col suo figlio mai capito fino in fondo.
Estranei rappresenta un ammirevole esempio in cui si può comprendere quanto la riuscita totale di un lungometraggio parta dalla sua sceneggiatura. La scelta audace di presentare una storia da un’angolazione diversa, rischiosa, paga un dividendo artistico di livello innegabile. Su questo adattamento Andrew Haigh poi costruisce uno sguardo cinematografico che fonde con dolcezza intimismo e stilizzazione, creando un mosaico difficile da dimenticare, impossibile da non amare.
Sommario
All of Us Strangers rappresenta un ammirevole esempio in cui si può comprendere quanto la riuscita totale di un lungometraggio parta dalla sua sceneggiatura.