Armageddon Time: la recensione del film di James Gray

James Gray realizza un'opera autobiografica dove l'adolescenza è ritratta con grande sincerità e compostezza, lasciando che l'emozione emerga dai dettagli.

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Reduce dai territori selvaggi della foresta amazzonica di Civiltà perduta e dallo spazio aperto di Ad Astra, il regista James Gray sceglie per il suo nuovo film di tornare a casa. Casa è il quartiere Queens di New York, nei primi anni Ottanta, dove egli è cresciuto e si è formato come persona e artista. Proprio di quel delicato, feroce e meraviglioso periodo della sua vita parla Armageddon Time, il suo nuovo film presentato in Concorso al Festival di Cannes e poi ad Alice nella Città, sezione parallela e autonoma della Festa del Cinema di Roma.

 

Gray realizza dunque un coming of age con cui ripercorrere la propria adolescenza, legandola in modo particolarmente stretto al contesto sociale di un Paese sull’orlo di un ennesimo profondo cambiamento. A fungere da alter ego del regista è Paul (Michael Banks Repeta), un ragazzino di dodici anni che desidera ardentemente diventare un artista e che nel film stringe una profonda amicizia con un ragazzo afroamericano di nome Johnny (Jaylin Webb). Tra genitori conformisti, nonni illuminati, il razzismo e altre discriminazioni, i due impareranno amaramente a confrontarsi con le contraddizioni della società.

Il tempo dell’apocalisse

Il tempo dell’apocalisse è il sottotitolo italiano dato al film di Gray, con cui si va a sottolineare ulteriormente il momento cruciale che il regista intende raccontare, dopo il quale nulla sarà mai più come prima. L’apocalisse di cui si parla è naturalmente di tipo esistenziale, una metafora per descrivere quel delicato momento di passaggio dalla spensieratezza dell’adolescenza alla durezza della vita da adulti. L’approccio di Gray nei confronti della propria adolescenza, dunque, non è idilliaco né nostalgico, ma anzi mira a rintracciare l’esatto momento in cui tanto sé stesso quanto gli Stati Uniti sono cambiati per sempre.

L’apocalisse del titolo non è infatti riferita solo a quanto il giovane protagonista si trova a vivere, ma anche ai cambiamenti sociali che gli Stati Uniti vivevano in quel periodo. Mentre osserviamo il susseguirsi delle avventure e delle disavventure di Paul, sullo sfondo si costruisce un nuovo volto per il Paese, caratterizzato dalla corsa alla Casa Bianca di Ronald Reagan e da tutto ciò che la sua politica avrebbe significato. Il Sogno Americano viene in quegli anni rivisto e corretto, portando ad una serie di inasprimenti e divisioni sociali che caratterizzano ancora il Paese. Macro e Micro si intrecciano dunque nel film di Gray, che similmente a quanto fatto da altri celebri registi negli ultimi anni dà vita ad un’opera fortemente autobiografica.

A differenza di titoli come Roma di Alfonso Cuarón, È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino o Belfast di Kenneth Branagh, con Armageddon Time Gray non va però alla ricerca di un singolo evento scatenante, che sembra non poterci essere, dimostrando piuttosto come ogni episodio di quella sua adolescenza sia stato per lui significativo. Egli si preoccupa dunque di ripercorrere quel periodo così come è stato, ovviamente con le dovute necessità cinematografiche. Un’operazione che potrebbe farlo somigliare di più al Boyhood di Richard Linklater, che non ai titoli poc’anzi citati. L’apocalisse da superare, dunque, è l’adolescenza stessa.

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L’emozione nei dettagli

Altro elemento di differenza tra Armageddon Time e gli altri film autobiografici di questi ultimi anni lo si può ritrovare nella grande compostezza con cui Gray concepisce e realizza il film. Egli abbandona le sperimentazioni visive dei precedenti lungometraggi per concentrarsi invece sul raccontare questa storia nel modo più classico possibile. Rimane vicino ai suoi personaggi e li circonda con un calore intriso di vita che lascia però poi il posto ad un progressivo crepuscolarismo dei colori. Il direttore della fotografia Darius Khondji fornisce a tal riguardo uno dei contributi estetici più ammalianti e significativi del film.

Dal canto suo, Gray lascia che le emozioni emergano dai piccoli dettagli, ricercando una semplicità che rifugge dal colpo di scena facile o dal picco emotivo forzato. A tale tonalità del racconto si allineano un gruppo di attori eccezionali, a partire dai due giovani protagonisti e fino agli adulti Jeremy Strong, Anne Hathaway e Anthony Hopkins, interpreti rispettivamente del padre, della madre e del nonno di Paul. Tale pacatezza dei toni ha inevitabilmente portato a parlare di Armageddon Time come un’opera minore nella filmografia di Gray. Se anche ciò fosse vero, nulla toglierebbe al valore di un film e di un racconto che nel riflettere su un periodo della vita e della storia, offre emozioni e immagini sincere e di grande impatto.

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Gianmaria Cataldo
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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
armageddon-time-recensione-james-grayArmageddon Time è l'occasione per James Gray di raccontare la propria adolescenza, evitando quanto già compiuto e proposto da film simili di recente realizzazione per concentrarsi invece su una pacatezza dei toni funzionale a far emergere la ferocia di un preciso periodo della vita e della storia. Delicato, emotivamente forte e tematicamente importante, questo film conferma la grandezza di Gray come regista attento anche ai più piccoli elementi del racconto.