Essere il nipote di Ingmar Bergman e Liv Ullmann e cercare di farsi strada nel mondo del cinema deve essere complicato. Lo sa bene il norvegese Halfdan Ullmann Tøndel, che ha presentato il suo primo lungometraggio, Armand, al Festival di Cannes 2024, dove si è aggiudicato la Camera d’Or come miglior opera prima. Il film, che ha come protagonista la connazionale Renate Reinsve (La persona peggiore del mondo) e arriva oggi nelle sale italiane, ci invita a riflettere su questioni come l’iperprotezione dei bambini e la facilità con cui l’essere umano tende a giudicare le persone pur con pochissime informazioni alla mano.
Un incidente scolastico da decifrare
L’atmosfera rarefatta che Armand presenta nella prima parte del film crea disagio e stranezza, ma in una certa misura questi sentimenti sono benvenuti: cosa c’è di sbagliato in Elisabeth, che improvvisamente ha lunghi attacchi di risate che sembrano non finire mai? Perché il naso di Ajsa continua a sanguinare? Cosa si nasconde nel passato del trio che fa sì che tutto ciò che è accaduto, o che si suppone sia accaduto, tra i loro figli, provochi così tanti sguardi e parole pieni di risentimento e nervosismo? Questo rischio nella messa in scena rientra nei limiti di un certo realismo, con un regista che osa spingersi ai margini della commedia nera e persino dell’assurdo per parlare di un argomento serio come un’aggressione, apparentemente di natura sessuale, da parte di un ragazzo all’altro.
Ma Ullmann pone sempre più l’accento sul turbamento personale di tutti i presenti per trasformare il film in qualcosa di simile a un balletto, utilizzando i corridoi e le aule di questa enorme scuola come se fossero i passaggi nella mente di un gruppo che porta con sé una pesante eredità familiare e continua a complicarla sempre di più a ogni nuova generazione.
Un dramma che punta sull’approccio minimalista
La grande forza di Armand sta nella sua capacità di mostrare come il comportamento dei bambini possa essere un riflesso distorto di ciò che questi vedono negli adulti che li circondano: ogni sguardo, ogni silenzio tra i genitori intreccia un dramma teso e complesso, dove accuse e pregiudizi vengono a galla in modo esplosivo.
Da parte sua, Renate Reinsve offre una performance travolgente nel ruolo di una madre in bilico tra la difesa del figlio e l’incertezza di ciò che è realmente accaduto. La sua interpretazione è ricca di sfumature e riflette l’ansia e lo smarrimento di una situazione in cui non ci sono risposte chiare, mentre la regia di Ullmann Tøndel mostra una sorprendente maturità nel cogliere la tensione emotiva alla base delle interazioni più quotidiane.
Armand è due film in uno
Il film si distingue per la sottigliezza dei toni e la capacità di approfondire gli aspetti più oscuri della condizione umana senza bisogno di scene esplicite o di confronti diretti. L’approccio minimalista e la scelta di concentrare gran parte dell’azione sulle conversazioni tra i genitori e i membri della scuola rafforzano il senso di claustrofobia morale che percorre tutto il film. Da questo punto di vista, Armand lascia lo spettatore con tante domande piuttosto che con delle risposte, invitando a una riflessione profonda sui limiti del senso di colpa, sulla responsabilità genitoriale e sul modo in cui gli adulti proiettano i propri conflitti sui bambini.
Tuttavia, il film di Ullmann Tøndel appare in ultima istanza più come una prova di abilità in divenire che un film con un’idea e un percorso chiari. Pone un concept di partenza molto forte e lo struttura con un tono decisamente atipico e personale, ma quella stranezza che gli conferisce un’atmosfera particolare durante la prima metà rischia di risultare particolarmente esagerata nella seconda. Vi è, alla base, un dramma umano inquietante e psicologico che poi si trasforma in una sorta di gioco coreografico, sperimentale e onirico che appartiene a un altro film, che ha poco a che fare con il primo. Legami che sono più nella testa del regista e negli sforzi dell’attrice protagonista che nella stessa costruzione cinematografica.
Armand
Sommario
Il debutto alla regia di Halfdan Ullmann Tøndel esplora i confini labili tra la violenza e il gioco dei bambini. Purtroppo, nel cercare di essere più originale e personale di molte altre proposte del genere, Armand finisce per diventare stranamente scontato e, nel suo stile d’essai, convenzionale.