Babylon, la recensione del film di Damien Chazelle

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Il sogno e l’ambizione sono spesso due facce della stessa medaglia, Damien Chazelle lo sa benissimo, dal momento che lo ha raccontato dal primo colpo di batteria in Whiplash fino all’ultimo sguardo estatico di Babylon. Il suo quarto titolo, che arriva nei cinema italiani il 19 gennaio, è una naturale prosecuzione di quel discorso che dalla città degli angeli fino alla Luna continua a ossessionare il regista di Providence.

 

Questa recensione di Babylon, che ha faticato a trovare la sua strada sulla pagina, proverà a raccontare cosa ha messo in piedi Chazelle per questo progetto, ambizioso, sì, ma che comunque ha spalle forti. Damien è pur sempre il regista più giovane ad aver conquistato un Premio Oscar alla regia, e non deve essere difficile ottenere fiducia, con questo CV! E a confermare la fama del suo director, la regia di Babylon è un portentoso viaggio agli inizi di Hollywood, quella a cavallo degli anni Venti e Trenta, quando dismette i panni di circo e veste quelli di forma d’arte, quando si sposta dalle feste orgiastiche nel deserto ai salotti dei produttori.

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Babylon, la storia di Nellie, Manny, Jack e Sidney

E proprio a una festa, in un lungo prologo di 40 minuti, comincia la storia di Nellie, Manny e Jack. Lei è una giovane e bellissima donna che sa di essere una stella del cinema, anche se non ha ancora recitato in nessun film, lui è un immigrato messicano disposto a fare di tutto pur di far parte di qualcosa di più grande di lui, l’altro è la star, colui che con il suo volto e le sue interpretazioni ha cambiato la storia. “Quando arrivai a Los Angeles sai cosa c’era scritto su tutte le porte? Vietato l’ingresso a cani e attori. Con me è cambiato” si presenta così nel trailer di Babylon, Jack Conrad, e lo capiamo subito.

Brad Pitt plays Jack Conrad and Diego Calva plays Manny Torres in Babylon from Paramount Pictures.

Mentre, durante quella festa fuori di testa, Nellie sgambetta, tra mani che la toccano e strisce di coca che tira su con grande scioltezza e Manny si barcamena come tutto-fare risolvendo problemi e evitando disastri, Jack arriva trionfale, con il mondo, quel mondo, ai suoi piedi, bello e sicuro, già storia consolidata di quel baraccone affascinante e magnetico. Le loro traiettorie si prolungheranno, insieme a quella di Sidney, un talentoso trombettista jazz che a quella festa suona nell’orchestra, e attraverseranno quel periodo storico che segna il passaggio tra il cinema muto e il sonoro. Un momento selvaggio e feroce, senza legge né morale, terribile eppure irresistibile perché aperto a qualsiasi possibilità, a qualsiasi sogno, a qualsiasi ambizione.

Una moltitudine di generi, un solo stile

Composto da macro-sequenze che, prese singolarmente, possono costituire dei blocchi narrativi autonomi, quasi dei cortometraggi, Babylon viaggia tra la commedia e il dramma, strizzando l’occhio al musical, all’horror, al western, perdendosi continuamente e ritrovandosi principalmente nello stile registico di Chazelle, nel suo montaggio, nel suo utilizzo incalzante della colonna sonora, sempre firmata da Justin Hurwitz e che naturalmente ricorda tantissimo quella di La la Land. Probabilmente con una scelta più focalizzata su cosa raccontare, il film sarebbe stato più ordinato, più compatto, più fruibile, ma sarebbe stato un’altra cosa, e non sarebbe certo stato un monumento all’ambizione del suo regista e a quella dei suoi personaggi. Brad Pitt, Margot Robbie e Diego Calva sono dei protagonisti travolgenti, anche loro eccessivi e divertiti, abbandonati completamente al character, capaci di tutto, a volte di troppo.

Una straordinaria forza motrice

Babylon ha una straordinaria forza motrice che trascina lo spettatore attraverso generi, toni, situazioni completamente diverse tra loro, ma risente anche di questa sconfinata ambizione e questo desiderio di essere eccessivi, per mostrare “ciò che Hollywood è sempre stata brava a nascondere”, ha dichiarato Chazelle stesso. Ebbene, se da una parte la frenesia orgiastica ed estrema, corredata di quasi ogni fluido corporeo umano e animale che si possa immaginare, è una cifra importante del film, dall’altra quella stessa frenesia è chirurgica, precisissima, messa in scena con grande controllo.

Jovan Adepo plays Sidney Palmer in Babylon from Paramount Pictures.

Babylon e la volgarità glamour di Chazelle

Damien Chazelle gioca con la volgarità, ma spesso questa è gratuita, fine a se stessa, tesa a ribadire un concetto che si somma a se stesso senza arricchirsi: il messaggio è sempre lo stesso, urlato forte e chiaro dalla prima all’ultima scena, attraverso i generi, i momenti storici, le varie individualità che la storia accompagna al naturale compimento del loro arco narrativo. Lo spettatore è sopraffatto ed esausto, ma non pieno di domande, di contraddizioni, di emozione. Chazelle manca di eleganza nel mettere in scena lo “schifo” proprio perché vuole mostralo in maniera glamour, senza avere l’onestà che avrebbe uno sguardo diretto e realistico; tutto è reso bello, accettabile, quasi morale da quella lente del cinema che tanto ama (e amiamo, si intende), da quell’impasto di immagini già viste e riproposte, masticate e poi rigurgitate per dare vita a un immaginario che ricorda qualcosa che è stato ma che allo stesso tempo è altro.

Cinema, amore mio

Come aveva proposto già in La la LandDamien Chazelle costruisce un puzzle con i suoi riferimenti visivi lungo oltre tre ore, che sfocia, nel finale, in vera e propria videoarte, allontanandosi dalla forma narrativa adottata fino a quel momento e riassumendo il significato più alto e vibrante di Babylon: il cinema è immortale, ci plasma a dei livelli dei quali non siamo coscienti e ci restituisce al mondo diversi, imbevuti di bellezza, di prospettive, di immagini, da quelle ormai romantiche in bianco e nero del cinema muto, a quelle poderose di James Cameron su Pandora. I film sopravviveranno a chiunque, a chi li fa, a chi li guarda, a chi li sogna, a chi ne trae guadagno e a chi ne ricava solo struggimento. Babylon racconta l’imperitura fascinazione dell’uomo verso la Settima Arte.

Sommario

Damien Chazelle gioca con la volgarità, ma spesso questa è gratuita, fine a se stessa, tesa a ribadire un concetto che si somma a se stesso senza arricchirsi.
Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.

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