L’heist movie è un genere molto ricco e gustoso per tutti coloro che, fra registi, cinefili o spettatori semplici, vogliono farsi una gran scorpacciata di adrenalina e, perché no, a volte anche divertimento. Sono i film che hanno aiutato Quentin Tarantino a imparare meglio il linguaggio cinematografico, venendo perfino omaggiati nel suo saggio Cinema Speculation, uscito nelle librerie la scorsa primavera. Sono pellicole che, nel bene o nel male, rimangono fedeli all’intrattenimento “puro e duro” e ci tengono ad adempiere a questo primo – e più importante – compito. Se poi sono costruite seguendo una traccia biografica ancora meglio. Ed è così che arriviamo a Bandit, nuovo prodotto comparso nell’offerta di Prime Video sotto la regia di Allan Ungar, che sistema i suoi mattoncini narrativi attorno al famigerato rapinatore di banche americano Gilbert Galavan Jr., anche conosciuto come Robert Whiteman o The Flying Bandit, così etichettato dalla stampa. Per la stesura dello script di Bandit, lo sceneggiatore Kraig Wenman si è basato su alcune interviste e resoconti presenti nel libro The Flying Bandit dell’autore Robert Knuckle. Gilbert Galvan, ad oggi, non è più detenuto ma detiene il record per il maggior numero di rapine consecutive (59) eseguite in Canada, Paese in cui scappò e assunse il nome di Whiteman negli anni Ottanta dopo essere fuggito dal carcere del Michigan.
Bandit, la trama
Gilbert Galvan Jr (Josh Duhamel) è un criminale di professione. Dopo essere stato arrestato e incarcerato, evade dalla prigione del Michigan in cui è detenuto e riesce ad arrivare al confine con il Canada. Senza soldi e senza una vita, Galvan comincia a trovare un lavoro, e alla fine diventa un gelataio. In quell’occasione, evento accaduto realmente come dice lo stesso film, l’uomo assume l’identità di Robert Whiteman, acquistata da un senzatetto a soli venti dollari. Deciso a ricominciare da zero e lasciarsi alle spalle il passato, inizia a frequentarsi con una donna, Andrea (Elisha Cuthbert), ma la realtà gli piomba subito sulle spalle: licenziato per dei tagli, non riesce a trovare altro che sia in grado di mantenere né lui né la compagna e poterci costruire una famiglia. Ricomincia così a rapinare banche, capendo di avere un talento innato, soprattutto perché è capace di farlo nel giro di soli tre minuti, un vero e proprio record. Questo schema, alla fine, diventerà il suo modus operandi. Ad ogni rapina, poi, Robert/Gilbert si traveste, riuscendo ad evitare che la polizia risalga alla sua vera identità. Così facendo, il criminale inizia a viaggiare per il Paese, rapinando decine e decine di banche, mentre i media lo soprannominano The Flying Bandit, ossia bandito volante, per la sua estrema velocità nelle operazioni. Tutto sembra volgere per il meglio per Galvan, fino a quando un detective furioso si impunterà per catturarlo, in una incredibile corsa contro il tempo.
Empatizzare con il nemico
Al suo terzo lungometraggio, Ungar propone un biopic d’effetto, che nel suo calderone adrenalinico miscela commedia, thriller e un pizzico di dramma. I film a stampo biografico, sin da quando hanno fatto la loro comparsa, sono stati capaci di fidelizzare sempre più il loro pubblico, tendenzialmente spinto dalla curiosità di vedere trasposta su schermo la ricostruzione di un fatto di cronaca (o l’interpretazione altrui di una storia) che ha assimilato nel tempo filtrata da stampa, televisione o enti governativi. Poter avere invece una visione dall’interno, un behind the scenes, costituisce così elemento d’interesse e fascinazione, soprattutto se il motore della narrazione è un criminale, che sia un serial killer come Ted Bundy o Jeffrey Dahmer, un intelligente ma furbo broker come Jordan Belford o un rapinatore provetto come, per all’appunto, Gilbert Galavan Jr.
Se poi a dar sostegno ad un racconto di per sé accattivante vi è una regia equilibrata ma, al tempo stesso, pronta ad osare, il risultato è un film come Bandit, che si fa guardare con entusiasmo. Possiamo subito dire che la chiave del suo successo è stata il saper giocare fra i generi di Ungar che, pur mantenendo come punto di riferimento l’heist movie, spezza il tono del film di frequente. Una scelta audace, in cui si può incorrere nel rischio di incrinare tutto l’operato, ma che il regista riesce a calibrare edificando il primo atto sulle basi della commedia divertente, in cui entriamo nel mondo rocambolesco del protagonista; il secondo atto su quello del thriller, in cui Galvan viene inseguito dai federali; e il terzo atto, nel quale si ha il climax finale drammatico e la presa di coscienza del grande ladro.
Un’evoluzione degli eventi coerente a cui segue un crescendo di tensione, eccitazione e adrenalina, che poi sfumano fino alle battute ultime per dare spazio alla linea drammatica, momento in cui lo spettatore si trova ad empatizzare con il protagonista. Sentendosi quasi in dovere di comprendere la sua inclinazione. Ungar perciò, pur sposando una regia classica, si lascia andare a qualche guizzo registico e narrativo degno di nota – come la scelta di rompere la quarta parete e optare per dei fermoimmagine con le scritte in sovrimpressione, entrambe soluzioni che seguono molto il pattern de La grande scommessa – per creare un ponte molto più diretto ed emotivo fra Galvan e il suo pubblico, conferendo anche una buona dose di dinamicità che dà alla pellicola il ritmo di cui ha bisogno per funzionare bene.
E se fosse la società ad incattivirci?
Eppure dietro rapine, valige piene di soldi, banche canadesi, costumi e corse contro il tempo, Bandit distende anche una riflessione cruciale sulla nostra società, sul nostro sistema sballato, diventando questo il cuore pulsante (ma forse anche sanguinante) dell’intero racconto. Lo fa attraverso un uomo, il Galvan del bravo Josh Duhamel mai così aderente al ruolo, che dal sistema è stato inghiottito, masticato, trasformato e sputato senza pietà. Portandoci l’esempio di come sia la civiltà in cui viviamo a renderci diversi, a volte aggressivi, a volte cattivi, a volte depressi. Perché per quanto uno si sforzi, come il protagonista che in fondo era un uomo buono, alcuni obiettivi non riusciamo a raggiungerli lo stesso. Ma nel frattempo abbiamo buttato sangue, anima e corpo.
Ed è proprio sullo sfondo della politica di Reagan, con una crisi finanziaria alle porte (c’è un motivo se Galvan rapina solo banche, perché questo diventa atteggiamento di ribellione al sistema) e un America che illude (e continua a farlo) sull’american dream, che Bandit ci scuote per dirci che è colpa “del nostro sistema iniquo”, come dirà lo stesso protagonista all’inizio, se i popoli smettono di funzionare correttamente. Quello stesso che ci vuole bravi cittadini e impeccabili lavoratori senza darci però gli strumenti adatti per esserlo davvero. Lasciandoci allo sbando ad alimentare il gap fra le classi sociali. E allora eccola la falla, è lì davanti ai nostri occhi, ci circonda quotidianamente: si chiama incoerenza. L’incoerenza di un mondo che pretende, ogni giorno, tutti i giorni, ma non dà mai niente. E non aiuta quasi mai.