Quentin Tarantino: 60 anni dentro al cinema

Quentin Tarantino The Movie Critic

Nel 1970, a Los Angeles, un bambino di 7 anni andava al cinema a gustarsi un doppio spettacolo con i genitori al Tiffany Theatre per poi disquisirne con loro nell’auto sulla via del ritorno a casa. Questo bambino andava a vedere La guerra del cittadino Joe e Senza un filo di classe, un drama e una comedy. A sette anni, ribadiamo. Quanti si sarebbero annoiati? Probabilmente molti, ma non lui. Non Quentin Tarantino, proprio quello che andava a fruire pellicole anche violente a nove anni ridendo di gusto o rimanendo estasiato davanti al grande schermo, e che non è cambiato molto da quando era fanciullo, oggi compie sessant’anni. Ed è, oltre che un cinefilo fiero e grato alla settima arte, uno dei registi più influenti della sua generazione.

 

Cominciamo dicendo che il cinema di Quentin Tarantino è stratificato oltre che citazionista, dentro i suoi film ci sono omaggi a Sergio Leone, Sergio Corbucci, John Woo e perfino Dario Argento. Ecco perché i suoi film possono essere letti e apprezzati a diversi livelli di profondità, come accade solo alle opere d’arte più riuscite. Più riferimenti si colgono e più la lettura del film sarà dettagliata e completa. A volte ci vogliono anche più visioni nel tempo per comprendere, ad esempio, il finale epico di Django Unchained, in cui risuona Trinity, canzone nota per essere parte iconica della colonna sonora di Lo chiamavano Trinità con Terence Hill. E questo è solo un gioco in più che Tarantino fa con il suo pubblico, perché proprio per la componente pop insita nei suoi film, lo spettatore è sempre in grado di avere un’esperienza di grande intrattenimento.

I film di Tarantino – chi più chi meno – sono anche politici. Uno dei più politici è proprio il penultimo, The Eightful Eight, in cui è evidente, più dell’altro sopracitato, la componente razzista e di odio fra sudisti e nordisti americani, fra bianchi e neri, fra uomini e donne. Ed è una visione che richiede grande attenzione per poter essere decodificata al meglio. Perché magari ci si lascia prendere dal suo essere diretto, crudo ed eccessivo. Ma in questo modo di fare un cinema tanto pop, che parla a tutti, si nasconde il suo pensiero. Un po’ come accadeva in Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! di Don Siegel, in cui dietro scene apparentemente brutali e  insignificanti si celava il racconto della situazione politico-sociale statunitense degli anni Settanta. Con sequenze che, iconograficamente parlando, risultavano potentissime. Oltre alle citazioni e ai riferimenti specifici, il cinema di Tarantino è accessibile a tutti. E come tanti altri cineasti ha dei “marchi di fabbrica” volti a distinguere il suo linguaggio e la sua regia, elementi riconducibili a lui e al suo modo di costruire le storie.

Quentin Tarantino sul set di C'era una volta a Hollywood
Quentin Tarantino sul set di C’era una volta a Hollywood – Gentile concessione © Sony Pictures Motion Picture Group

L’auto, il topos più emblematico di Tarantino

Come spesso accade ai narratori, Tarantino sfrutta i topoi per edificarci attorno l’intero impianto narrativo della storia. Questi motivi ricorrenti sono visibili a occhio nudo e per chi ama il suo cinema sarà bastato aver visto almeno tre quarti delle sue opere per individuarli. Il buon Quentin ne ha tanti, ma quello più simbolico è l’automobile. Come dice Vito Zagarrio, “la macchina e la strada sono il “Vanishing Point” tarantiniano, le icone del Mito americano.” La ritroviamo in molte pellicole e spesso sono l’ambiente in cui si svolgono avvenimenti o vengono “consumati” i tipici dialoghi crudi e sopra le righe che il regista tanto ama scrivere. Emblematico è l’uso che se ne fa in Le iene, esordio alla regia di Quentin Tarantino, dove la macchina diventa luogo in cui tutto succede: si narrano storie, si fugge nella speranza di salvarsi (una delle scene d’apertura con Mr. White e Mr. Orange), si muore e si uccide. Uno “spazio metaforico”, come dice Zagarrio, ma anche uno “status symbol” (in Pulp Fiction, secondo film) in cui diventa membro del duo formato da Vincent Vega e Jules Winnifield. Per Tarantino diventa talmente essenziale da dedicarle un’intera sequenza con protagonista Mr. Wolf, quando Vincent e Jules si ritrovano a ripulire con meticolosità l’abitacolo dell’auto completamente imbrattato di sangue.

È anche il mezzo che conduce Beatrix (La Sposa) verso la vendetta, in un bellissimo primo piano in bianco e nero, in cui lei rompe la quarta parete per dialogare proprio con il suo spettatore. O ancora in C’era una volta a…Hollywood, in questo caso la macchina diventa costante luogo in movimento che porta i suoi protagonisti principali, Rick Dalton e e Cliff Booth, a muoversi nei meandri di una florida e soleggiata Los Angeles di fine anni Sessanta. Insomma, è chiaro che Tarantino fa diventare l’automobile una delle sue protagoniste, un po’ come McDonagh fa con i suoi bellissimi paesaggi, che sia Bruges, Ebbing o Inisherin.

Un’inquadratura e un piano

I marchi di fabbrica di Quentin Tarantino sono parecchi. E lui, cineasta che inghiotte non solo generi ma anche stili, non poteva che trasformare le sue pellicole in esposizione di incredibili inquadrature e di peculiari escamotage narrativi. Partiamo dalle inquadrature: una di quelle più ricorrenti è la contre plongeé, un’inquadratura dal basso verso l’alto, anomala e qualche volta straniante. Se pure usata da molti cineasti, Tarantino l’ha personalizzata, affibbiandola spesso al punto di vista di personaggi rinchiusi nei bagagliai delle automobili (di nuovo loro!), tanto che in alcuni casi si parla proprio di truck shot, in cui noi spettatori entriamo nella soggettiva del personaggio morto (diventando cadaveri) o incosciente. Ed è questa la sua potenza a livello visivo. È così che noi pubblico in quel momento dobbiamo sentirci. Tale inquadratura è presente in molte pellicole, ad esempio in Kill Bill, nella scena del massacro dei due pini, quando la Sposa è colpita e giace a terra. La macchina da presa inquadra O-Ren, Vernita, Elle e Budd, mentre guardano una indifesa Beatrix. In quel momento il nostro sguardo si sovrappone a quello della Sposa, e siamo noi, come lei, a guardare i quattro personaggi. La stessa inquadratura la troviamo in Bastardi senza gloria, quando il tenente Aldo Raine e il sergente Donnie Donowitz mutilano i nazisti. Ad un certo punto uno di loro è inchiodato a terra, impossibilitato a muoversi, mentre i due lo guardano con soddisfazione. E  noi, come la vittima, siamo costretti a subire. Stessa cosa accade in Pulp Fiction, quando Jules e Vincent chiudono nel bagagliaio un cadavere e noi diventiamo quel corpo morto che guarda i suoi aguzzini.

Quentin Tarantino Pulp FictionDal punto di vista della scelta dei piani, figlio affezionato del western, Quentin Tarantino ama molto il primo piano e l’utilizzo dello sguardo in macchina, che viene utilizzato dal regista per rendere ancor più suggestiva e coinvolgente la scena. In questo modo i personaggi dei suoi film cercano da una parte di tirare dentro il pubblico, dall’altra di  allontanarlo facendogli sentire la presenza della finzione. Emblematica è la scena di Kill Bill Vol. 2, quando La Sposa rompe la quarta parete per comunicare allo spettatore dove sta andando, ossia ad uccidere Bill. Nei lavori tarantiniani questo espediente continua a ritornare in maniera assidua. Pensiamo anche a Pulp Fiction, quando nella scena del bar Butch guarda in macchina come se dall’altra parte ci fosse una qualche sorta di complice, per poi rivolgersi a Vincent e Marcellus. Come dice sempre Zagarrio “è come se Tarantino ponesse degli accenti sulle frasi, creando degli echi interni ai suoi film, dal punto di vista della sintassi e della costruzione del simbolico oltre che dal punto di vista, più ovvio, delle tematiche.”

Quentin Tarantino è uno di quelli che il cinema lo sa fare. Lo sa maneggiare, sa dialogare con il suo pubblico., facendolo divertire e al contempo stimolandone il pensiero critico. Sa distinguersi, è un regista iconico che negli anni ha occupato un posto di spicco nel discorso cinefilo. Uno di quelli che riesce a coniugare sempre l’industria e l’arte. La sua narrazione è pop, ricca di riferimenti, a cavallo trai generi, e forse proprio per questo ha un fascino irresistibile. Perciò, non ci resta che dirgli: grazie Quentin, e buon compleanno!

- Pubblicità -
Articolo precedenteFear the Walking Dead 8: trailer conferma l’enorme salto temporale
Articolo successivoNicolas Cage ha accidentalmente “bevuto il suo sangue” durante le riprese di Renfield
Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.