Macbeth: recensione del film con Michael Fassbender

Macbeth

In principio vi era la Scozia selvaggia e le sue valli sterminate, i suoi contorni rigogliosi, spigolosi, e il vento gelido fra gli arbusti e i capelli degli uomini. Uomini mossi dalla rabbia, dalla fame di conquista, con le mani sempre occupate da spade d’acciaio e sporche di sangue scuro. Fra loro il più ambizioso fra tutti, Macbeth, furioso e pieno di cieca determinazione.

 

Protagonista del più conosciuto ed essenziale lavoro di William Shakespeare, il generale dell’esercito di Duncan torna a vivere sul grande schermo cinematografico grazie allo sguardo visionario di Justin Kurzel, a quattro anni di distanza da Snowtown. Fra i mille approcci possibili per un adattamento, il regista australiano sceglie una strada curiosa: riprende alla lettera il testo classico dell’opera ma vi costruisce attorno un mondo nuovo, imponente.

Lo fa usando un linguaggio visivo assolutamente contemporaneo, colossale, aiutato dall’incredibile talento di Adam Arkapaw che firma una fotografia da premio. Una scelta che potrebbe far storcere il naso a molti, eppure pensandoci in profondità si tratta di un modus operandi perfettamente in linea con il Macbeth originale. Ambientato durante il basso medioevo, il dramma è ormai un archetipo della brama di potere e della sua pericolosità. La storia di un Re talmente avido da mettere da parte – pur di avere il controllo assoluto – i valori fondamentali della vita e perdere tutto. La moglie, il figlio, la lucidità mentale. Ogni cosa è sacrificata solo per poter indossare una pesante corona sul capo. Un contesto antico che nasconde temi e sfumature vivi ancora oggi, che serpeggiano nella società che noi stessi abbiamo costruito.

Macbeth

Esistono ancora guerre in Africa o in Medio Oriente per ideali ambigui, ma si combatte anche laddove i campi di battaglia non sono espliciti. Non si affilano le spade e non si dissemina morte nelle piazze, ma si trama segretamente sui posti di lavoro, nelle lotte di camorra, o semplicemente ci si annienta all’interno del nucleo familiare.

Dai tempi di Shakespeare sono passati oltre quattrocento anni, quasi mille dalla vera leggenda di Macbeth di Scozia, ma la storia ancora si ripete uguale, imperterrita. Il risultato è stupefacente, l’attualità delle immagini si fonde alle parole altissime del drammaturgo inglese con potenza, richiamando alla mente alcune tinte tarantiniane e i paesaggi desolati e inospitali dei western di Sergio Leone. Kurzel gioca con i colori e la saturazione, la velocità dei frames e le nebbie fitte divertendosi e “divertendo”.

Meno lineare la direzione degli attori: il testo di difficoltà estrema ha messo a dura prova Michael Fassbender e Marion Cotillard, che porta l’ulteriore handicap di essere madrelingua francese. Il primo riesce a lasciare un segno forte, epico, quando è presente sulla scena tutto acquista spessore; la seconda appare più spaesata, confusa, inoltre non regala a Lady Macbeth quella giusta perfidia malcelata che dovrebbe forse avere. Se però i due si trovano nella medesima inquadratura, il discorso cambia e insieme – straordinariamente – si completano. Oltre agli interpreti, anche il pubblico potrebbe subire la maledizione della lingua arcaica.

Macbeth appare infatti, sin dalle sue prime battute, un prodotto di nicchia destinato a spettatori dotati di una certa cultura e sensibilità. Aspettarsi un episodio d’autore di Game of Thrones lungo 113 minuti potrebbe essere un errore fatale per molti, ma almeno oggi – forse – la tomba di William Shakespeare è salva dall’avere particolari scossoni.

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