City Hall, recensione del film di Frederick Wiseman #Venezia77

Dopo la Library di New York il documentarista approda tra i Fuori Concorso con un'opera importante sulla sua città natale, la "Culla della Libertà" statunitense.

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Dopo la National Gallery londinese e la Public Library di New York, il Queens di In Jackson Heights, Berkeley, l’Indiana e oltre 50 anni di documentari, Frederick Wiseman torna a casa. È la sua Boston la protagonista dell’ultimo City Hall, Fuori Concorso alla 77. Mostra Internazionale di Cinema di Venezia, una città divenuta esemplare e come tale presentata dal regista Leone d’Oro alla Carriera nel 2014. Che, non senza orgoglio, mostra l’impegno dell’amministrazione locale nei confronti dei cittadini, sia a livello di servizi offerti, sia nella comunicazione con gli stessi.

 

Polizia, vigili del fuoco, sanità e tutte le attività pensate a tutela di residenti e visitatori sono esaminate in sequenza. Mentre seguiamo l’onnipresente e instancabile sindaco Walsh offrirsi a platee di veterani, associazioni per anziani, senzatetto, di tutela ambientale, associazioni professionali e i vari uffici preposti alla registrazione delle nascite, registrazione matrimoni e dichiarazione di morte e via dicendo.

City Hall, un’utopia realizzata?

Tutto funziona, e bene. Persino meglio di come lo avremmo potuto sognare. Dall’Italia le scene che scorrono sullo schermo sembrano quelle di un film di fantascienza, eppure mai come questa volta gli alieni sono tra noi. Come noi. Nessun eroe, solo coscienziosi funzionari e componenti consapevoli del consesso civile: sono loro a comporre un tessuto cittadino che davvero non sembra avere falle o smagliature. E quando pure appaiano, ecco allo studio un modo per rimediare e rilanciare.

Quale che sia il campo di intervento, infatti, alcune costanti emergono dall’oceanica analisi di Wiseman, pilastri su cui si basa tutta la gestione virtuosa organizzata dall’amministrazione comunale: rispetto, valorizzazione delle minoranze, coinvolgimento, condivisione, appartenenza. Dalla divertente sequenza dedicata alla storica vittoria dei Red Sox nelle World Series di baseball (le riprese sono del 2018) in poi è un continuo ribadire come Boston sia una “city of immigrants” e sia fiera di esserlo. In primis per la possibilità di volgere a proprio favore quello che spesso viene visto come un pericolo, e poi perché non potrebbe essere altrimenti, considerato il mondo in cui viviamo.

Dai Latini agli Irlandesi (comunità della quale fa parte lo stesso Sindaco), fino alle vongole che vivono nell’Argilla Blu su cui posa la città – e che scopriamo essere le prime abitanti dell’area – tutti sono chiamati a fare la propria parte. Con orgoglio, per fare di tanti patrimoni diversi una ricchezza unica da aggiungere al bagaglio comune della città, che non smette di investire su indagini approfondite sui singoli gruppi etnici, anche per decidere come orientare le proprie risorse economiche.

Un’altra Boston, un sindaco onnipresente

È un merito che un documentario come questo possa aver trovato posto nella selezione ufficiale di una edizione tanto importante della Mostra veneziana, una perla, come tutte le opere del regista novantenne. Forse però una organizzazione così capillare non richiedeva una rappresentazione ossessivamente dettagliata, esaustiva quasi, che per quanto fornisca una fotografia più che completa dell’oggetto scelto diventa facilmente ripetitiva. E sicuramente troppo sbilanciata sulla figura di Marty Walsh, protagonista assoluto, nonostante sia – e operi come tale – un impiegato pubblico come tanti. O almeno come tanti dovrebbero essere, al servizio dei cittadini.

Nel suo operare quotidiano c’è quasi un tutorial del giusto governo di una città tanto importante, e nel succedersi degli appuntamenti molta dell’umanità nascosta e spesso ignorata a favore delle testimonianze di cittadini illustri o rappresentati di questa o quella élite. Un elemento umano che gradualmente si definisce, diventa visibile, ma che Wiseman cancella dalle suggestive riprese dell’edificio di stile brutalista, cardine e fulcro silenzioso delle tante storie raccontate, rappresentato nel suo stagliarsi immobile e monolitico.

Una similitudine evidente, considerato quanto risulti complesso a tratti ritrovare il gusto della composizione, un quadro generale, anche proprio per l’insistito seguire il tuttofare della City Hall del titolo. È richiesta dedizione, da entrambi i lati dello sportello, e dello schermo. Almeno in attesa di allontanarsi dagli uffici e dalle sedi istituzionali. Il panorama cambia con la comparsa di case familiari, strade e negozi, di altri esempi, tentativi, persino pregiudizi e tensioni. Ma emoziona questo cambio di sguardo, e scuote dal torpore, come l’imprevista ed encomiabile sferzata alla politica nazionale di Washington sul controllo delle armi, troppo condizionata dalla lobby della National Rifle Association e incapace di porre un freno al drammatico fenomeno dei mass shooting, tristemente frequenti oltreoceano.

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RASSEGNA PANORAMICA
Mattia Pasquini
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