Nel corposo ventaglio delle offerte Rai, le fiction in costume – che posano lo sguardo su alcune delle figure più importanti e influenti che hanno edificato la Storia italiana e la sua cultura – hanno da sempre un ruolo di rilievo nel palinsesto. Lo dimostra il programma stilato dall’emittente per la nuova stagione 2024, nel quale spiccano produzioni in cui figurano identità del calibro di Mameli e Margherita Hack, a cui ora si va aggiungendo un’altra rappresentate essenziale: Alda Merini.
La poetessa più amata sul suolo italico, che ha fatto appassionare intere generazioni a quell’arte fatta di parole intrise di scalpitanti emozioni, diventa epicentro del film di Roberto Faenza, Folle d’amore – Alda Merini, il cui titolo rimanda all’istante a uno specifico libro dell’autrice, Folle, folle, folle di amore per te, seppur sia liberamente ispirato a un altro, Perché ti ho perduto, di Vincenza Alfano. Scritto a quattro mani dallo stesso regista, insieme a Lea Tafuri, e con la consulenza di Arnoldo Mosca Mondadori, Ambrogio Borsani e Paolo Miloni, il film si fissa saldamente sul volto e lo sguardo di tre attrici, Sofia D’Elia, Rosa Diletta Rossi e Laura Morante, ognuna delle quali con l’arduo compito di interpretare (senza cadere nella mera imitazione) una gigante quanto complessa Merini nelle diverse fasi della sua vita.
Folle d’amore – Alda Merini, la trama
Sigaretta tenuta sempre fra delle labbra, ricordando un po’ Oriana Fallaci, capelli bianchi, sorriso accennato. Un manto di fumo ne avvolge il viso oramai rugoso, testimonianza di un tempo passato forse un po’ troppo duramente. Alda Merini si presenta al pubblico già anziana, che legge le sue poesie davanti ad alcuni interessati spettatori, ma solo uno è davvero rapito dal flusso dei suoi versi: Aldo Mosca Mondadori. La osserva, incantato, poi compra al prezzo di 3.500 lire tre dei libri. Inizia così un’amicizia che rimarrà storica, essenziale per gli ultimi anni di vita della poetessa: Mondadori, molto giovane, diventa il suo più stretto confidente. Lo porta a casa, gli offre il caffè, comincia a raccontare la sua storia, riavvolgendo come un nastro che un po’ stride e s’inceppa una vita oramai andata, della quale porterà i segni per sempre. Diverse immagini compongono la sua adolescenza, con l’iniziazione alle poesie, poi passano all’età adulta, arrivando al matrimonio con Ettore Carniti e il successivo internamento, grazie al quale i suoi scritti diventeranno sublimi. Per poi tornare di nuovo al suo presente, dove è oramai una penna consolidata e apprezzata. Tuffi indietro e salti nel presente sono la composizione di Folle d’amore – Alda Merini, il dipinto, ma anche la cronaca, di una donna che è riuscita a fare del suo dolore una potente arte.
Un biopic che non osa
Portare sullo schermo Alda Merini non doveva essere un’impresa semplice. Era una donna ingombrante, che riempiva tutti gli spazi in cui andava, anche solo tramite il potere delle sue opere, e far conoscere la sua storia – di un’artista, in fondo, dannata – richiedeva tempi maggiori e un’attenzione in più alle sue sfaccettature, sia umane che artistiche. Ma per essere decodificabile per il vasto pubblico Rai di riferimento, la scelta ricade sempre sulla commemorazione della persona, in un’operazione puramente celebrativa, per non rischiare, in un certo senso, di mancarle di rispetto. E allora il risultato è quello di esporre, in modo didascalico e compatto, le parentesi più salienti della sua esistenza, rimanendone però distanti.
L’approccio del regista è amorevole ma al tempo stesso timido, non incisivo e coinvolgente, eppure più sezioni della sceneggiatura avevano il potenziale per trasformare Folle d’amore – Alda Merini in un affresco della poetessa ribelle intimo e accurato, che avrebbe potuto scavare nella profondità del suo animo tormentato e della sua arte per darne una rappresentazione inedita e intrigante. Con un montaggio discontinuo, su cui primeggiano flashback che si focalizzano su tre specifici periodi, Faenza mostra solo la superficie di una donna stratificata, che farà dell’amore la sua ragione per vivere e comporre, e invece di osare e sviscerare meglio gli anni dolorosi ma fondamentali del manicomio – luogo che le si rivelò fertile per la sua creatività tanto da essere determinante per la stesura di La Terra Santa, definito poi uno dei suoi capolavori – sceglie di virare verso un resoconto stretto della sua vita, offrendone un compendio sbrigativo.
Un peccato, poiché da quando viene internata la storia è piena di spunti su cui sarebbe stato bello riflettere e indagare. E che avrebbero fatto comprendere meglio il suo innato dono, andando alla radice del suo talento, a quegli impulsi provenienti dalla sua folle e vitale mente che lei usò per lenire le ferite e non sprofondare nell’oscurità. Nonostante una struttura narrativa poco incalzante, la bravura e la generosità di Laura Morante e Rosa Diletta Rossi nel darsi totalmente per il ruolo sollevano quanto basta le sorti di Folle d’amore – Alda Merini, del quale quantomeno se ne ricorderanno le affettuose e impegnate performance. Per di più Morante sembra voler omaggiare Alda Merini, e come dice lei stessa, evocare, attraverso piccoli gesti che siano continui sospiri, il modo di tenere la sigaretta e nascondersi dietro la nuvola di fumo, o piegare le labbra.