Frank Miller – American Genius, recensione del documentario sull’icona moderna #RFF16

L'esordio alla regia di Silenn Thomas colma una grave lacuna nell'universo del fumetto del cinema di oggi

Frank Miller

Uno dei più grandi, sceneggiatori o disegnatori che dir si voglia, Frank Miller è sicuramente nella top 5 di tutti i tempi. Questo il succo del documentario su di lui presentato nella Selezione Ufficiale della Festa del Cinema di Roma e diretto da Silenn Thomas, da tempo Amministratrice Delegata della Frank Miller Inc. e tra i produttori delle incursioni cinematografiche dello storyteller statunitense.

 

La scelta di darsi alla regia nasce dall’urgenza di colmare una lacuna incomprensibile, quella della mancanza di un documentario sul soggetto in questione, seguito e raccontato dai suoi inizi – e anche prima – fino al giorno d’oggi.

Frank Miller – American Genius, un’agiografia

Un’agiografia a tutti gli effetti – soprattutto considerando l’assenza di alcuni protagonisti della sua vita e di parentesi più controverse (come la causa intentata dall’ex produttore di Sin City) – che però assolve perfettamente al suo compito e ci restituisce un’immagine ad almeno 350° di Miller attraverso un montaggio tematico di suoi interventi e apparizioni pubbliche, oltre che una serie di interessanti interventi dei suoi più preziosi collaboratori e maestri, da Stan Lee, Neal Adams, Bill Sienkiewicz, Klaus Janson, a Robert Rodriguez, Jessica Alba, Rosario Dawson, Milo Manara e Tanino Liberatore, solo per fare i nomi più importanti.

Nelle loro testimonianze del giovane Frank, anarchico e insofferente di ogni limite, più che nei ricordi dello stesso o nella raccolta documentale la vera forza dell’operazione. Che si stacca dalla cronaca celebrativa soprattutto nella prima parte, offrendo una versione del mito alla quale siamo meno abituati e che ce lo rende più umano e interessante. I destinatari di un documentario del genere, d’altronde, sono sicuramente in buona parte già degli entusiasti follower del nostro eroe, di lunga data o di recente acquisizione è facile che siano a conoscenza delle incredibili tappe di una carriera che dai primi fallimenti lo ha portato agli emozionanti exploit di Daredevil e Elektra facendone esplodere il genio.

Un samurai senza padrone

Chi più, chi meno, tutti sappiamo del suo Dark Knight e di 300, dei difficili esordi cinematografici con Robocop 2 e della rivincita che costituì Sin City o del flop dell’amato The Spirit, ma sono snodi fondamentali e imprescindibili di un autore che per sua stessa ammissione ha sempre pensato a se stesso come a uno dei Ronin della serie pubblicata dalla DC tra il 1983 e il 1984. Un samurai senza padrone, come dicevamo, che sembra divertirsi a presentarsi ora come disegnatore, ora come sceneggiatore, e a far finta di risentirsi della confusione altrui.

Si mescolano anime diverse nelle quasi due ore di biografia, molto probabilmente per il fatto di averci lavorato in un momento nel quale Miller stava riprendendosi da uno dei suoi momenti più duri, da un ‘down’ che gli aveva fatto rischiare di morire. Un bene, valutandolo a posteriori: narrativamente e umanamente, visto che traspare in tutta la seconda parte del film l’attuale desiderio di rifarsi del tempo perduto, di viaggiare, incontrare fan e amici, di lavorare a nuovi progetti o espandere ulteriormente la sua aura.

I miti di Frank Miller

La passione per Calvin & Hobbes e l’omaggio all’immenso Quino, l’esempio dei SUOI miti Johnny Cash e Bob Dylan, l’amicizia con il nostro Milo Manara, la speranza legata a Xerxes e la delusione Holy Terror, il ripensamento sul suo essere più politico, l’incontro con Alan Moore e i suoi Watchmen sono i picchi di un Iceberg che svela un personaggio capace di leggere i tempi e il mestiere altrettanto bene del suo pubblico e dei suoi desideri più inconfessati. Ma resta difficile riassumere le tante informazioni raccolte – e faticosamente fin troppo ordinate – dalla Thomas, meglio forse sintetizzare ulteriormente l’insegnamento definitivo che Frank Miller affida allo schermo, attraverso le parole dell’amico e mentore Neal Adams: “Let Him Go“. Un invito alla libertà che potremmo leggere in ogni sua tavola, in ogni suo disegno, anche in quelli rimasti nascosti nell’incredibile archivio della DC… al quale speriamo che qualcuno dedichi presto un altro documentario.

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