Fremont: recensione del film di Babak Jalali – #RoFF18

Il film, nella sezione Progressive Cinema, è in concorso alla Festa del Cinema di Roma

Fremont recensione

La guerra combattutasi in Afghanistan fino al 2021 è una pagina di storia difficile da dimenticare. Leggendo fra le righe di un racconto tanto atroce quanto doloroso, c’è una fetta di umanità che è stata costretta ad abbandonare la propria terra con un grosso peso nel petto e non poche ferite mai davvero suturate, per cercare felicità e salvezza altrove. Ma è proprio in chi ha avuto la fortuna di poter tornare a vivere e sognare un futuro, che si nasconde il più profondo senso di colpa verso coloro che, invece, non hanno avuto la stessa possibilità e sono rimasti indietro. Ed è su questi sentimenti che si erge Fremont, film firmato Babak Jalali (qui alla sua quarta fatica), facente parte della sezione Progressive Cinema, in concorso alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma. Il regista cerca di affrontare uno stato d’animo comune a molti afghani trapiantati in territorio straniero a causa della situazione bellica del loro Paese, e lo fa affidandosi a una vera immigrata, Anaita Wali Zada, che due anni fa fu costretta a fuggire negli Stati Uniti da Kabul con sua sorella. Fremont è sceneggiato dallo stesso Babak Jalali, insieme a Carolina Cavalli, scrittrice e regista italiana.

Fremont, la trama

Donya, un’ex traduttrice di guerra che lavorava per il governo degli Stati Uniti, vive a Fremont, città della Bay Area che viene anche chiamata Little Kabul. Il giorno lavora in una fabbrica di biscotti della fortuna a San Francisco, mentre la sera cena in un ristorante locale guardando soap opera. La giovane però ha un problema: soffre di insonnia. Inoltre si sente in colpa per aver trovato la libertà negli Stati Uniti mentre tanta della sua gente invece è rimasta in Afghanistan, in chissà quali condizioni e miseria. Nonostante la sua quotidianità sia tranquilla e senza preoccupazioni, Donya vive comunque una radicata solitudine, e non è ancora riuscita a trovare una comunità a cui appartenere davvero. Cerca anche l’amore, l’unica strada che potrebbe sollevarla da questa sua fastidiosa condizione. La sua vita cambierà quando a lavoro verrà promossa per scrivere i biglietti della fortuna, e uno di questi la porterà verso un incontro inaspettato.

Fremont Anaita Wali Zada

Cercare l’amore, abbattere la solitudine

Girato in un elegante e limpido bianco e nero grazie alla fotografia di Laura Valladao, Fremont è un film puramente di regia. Babak Jalali confeziona un racconto in cui le parole, in questo specifico caso, sono superflue, decidendo di lavorare sulla potenza delle immagini, con un formato in 4:3, in particolare sfruttando primi piani e dettagli che spesso si focalizzano sugli occhi e le espressioni della protagonista, Donya. Il film si sciorina attraverso sequenze piene di inquadrature simmetriche, in cui Zada è sempre ben centrata, e la macchina da presa non si distacca mai da lei proprio per non perdersi nessuna sua sfumatura. Nella sua placida – e lucida – impassibilità (Jalali ci dimostra che per parlare di certe tematiche non c’è bisogno di spingere su performance teatrali o piene di enfasi), l’attrice riesce a raccontarci la storia di una donna che, pur sentendosi in diffetto per i suoi connazionali sfortunati, ha una gran voglia di innamorarsi e di ritrovare quel senso di comunità e serenità che sente di aver smarrito. Misurata nelle parole, nei gesti e nei comportamenti, Donya vuole solo essere una persona comune, sentirsi uguale agli altri, vivere come gli altri e proprio per questo non affondare nella sua solitudine, non lasciarsi inghiottire dall’alienazione.

E per farlo non ha bisogno di essere né eccessiva né tantomeno melodrammatica, perché in fondo la sua necessità, il suo bisogno di amore e di appartenenza, è qualcosa che tocca tutti. E che vivono tutti, indipendentemente dal proprio passato, razza o condizione. Fremont, pur non raggiungendo mai un vero e proprio climax narrativo o momenti di tensione palpabili, riesce dunque ad esprimersi grazie all’equilibrio recitativo di Anaita Wali Zada e all’uso di un umorismo intenso, che lo rendono godibile, sincero e soprattutto universale nelle tematiche e nelle situazioni. Nonostante viaggi con una lentezza quasi estenuante e nessun turning point incisivo – nota che potrebbe non piacere a tutti – il film conserva la sua parte migliore nel finale, con le ultime scene dolci e commoventi, che ci fanno sentire completamente vicini a Donya e ci regalano una carezza. Calato il sipario, sorridere per lei è inevitabile. Perché in fondo, pensiamo, dall’altra parte potremmo esserci noi. O forse ci siamo già stati.

RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Valeria Maiolino
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Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.
fremont-babak-jalaliGirato in un elegante e limpido bianco e nero grazie alla fotografia di Laura Valladao, Fremont è un film puramente di regia. Babak Jalali confeziona un racconto in cui le parole, in questo specifico caso, sono superflue, decidendo di lavorare sulla potenza delle immagini, con un formato in 4:3, in particolare sfruttando primi piani e dettagli che spesso si focalizzano sugli occhi e le espressioni della protagonista, Donya.