Quante volte ci è capitato di desiderare l’ultimo prodotto di tendenza lanciato sul mercato? Per esempio, il nuovo e costoso modello di iPhone con le stesse funzionalità di quello precedente, la nuova utilissima cover porta lipgloss di Hailey Bieber, la minuscola borsa di Miu Miu tanto celebrata dalla canzone di Tony Effe, o… un nuovo esclusivo e costosissimo paio di scarpe. Ed è proprio un paio di sneakers bianche dal design futuristico, chiamate Typo 3, a essere al centro del dramma italiano Holy Shoes. Il film, che segna il debutto alla regia di Luigi Di Capua (noto componente del collettivo The Pills e già sceneggiatore per due Smetto quando voglio), sarà nelle sale italiane dal 4 luglio 2024 con Academy Two.
Di cosa parla Holy Shoes?
Presentato Fuori Concorso nella sezione La prima volta al 41° Torino Film Festival, Holy Shoes è una fiaba dark che intreccia quattro drammatiche storie ambientate nella periferia romana. I racconti sono accomunati dall’ossessionante desiderio di essere ciò che non siamo e possedere ciò che non abbiamo per sentirci parte del mondo attuale. Un mondo fatto di etichette e listini prezzi, dove c’è sempre meno spazio per l’autenticità e la diversità. Pur con vite, attitudini e modalità differenti, Filippetto, Bibbolino (Simone Liberati), Mei (Tiffany Zhou) e Luciana (Carla Signoris) vivono lo stesso dramma contemporaneo di una società che inghiotte e aliena tutto ciò che incontra, senza alcuna pietà.
I quattro protagonisti di Holy Shoes sperimentano dunque quella dolorosa solitudine e forte bisogno di accettazione che tutti hanno provato nella propria vita: mentre l’adolescente Filippetto fa di tutto per accaparrarsi un paio di Typo 3 da regalare alla sua fidanzatina benestante, sperando così di sentirsi meritevole del suo amore; l’insicuro rampollo Bibbolino, nel tentativo di dissociarsi dalla famiglia altoborghese, smercia costose sneakers tra i trapper e utilizza le Typo 3 per dimostrare a sé stesso di essere un bravo padre. Infine, Mei, una giovane donna cinese, inizia un commercio clandestino di Typo 3 contraffatte per riscattarsi socialmente e garantirsi un futuro migliore a Boston.
A queste tre storie si aggiunge una quarta, più adulta e commovente, in cui le protagoniste non sono le tanto ambite Typo 3, ma un paio di eleganti e sensualissime Marmont nere con suole rosse indossate da Luciana. Il personaggio di Carla Signoris è una donna di mezz’età, insoddisfatta della propria vita e del proprio matrimonio, che riscopre un giorno la propria femminilità grazie a dei tacchi gettati via dalla finestra dalla sua tanto affascinante quanto sfortunata vicina di casa. Nonostante tutte le storie siano accomunate dal fatto che le scarpe rappresentano il potere disfunzionale che oggi gli oggetti esercitano su di noi, la storia di Luciana si distingue nettamente dalle altre: Luciana non desidera delle scarpe per elevarsi socialmente o per essere amata e stimata dagli altri. Il suo desiderio è più profondo, intimo e sincero: Luciana è alla ricerca di sé stessa, della donna che era, e quelle scarpe diventano lo strumento per poter amarsi nuovamente e riscoprire la propria femminilità.
Dimmi che scarpe indossi
e ti dirò chi sei: la critica sociale di Di Capua
Tra scene oniriche (per esempio, quella iniziale che mostra le Typo 3 come reliquia, o la scena in cui decine di scarpe colorate piovono per strada) e dura realtà, Holy Shoes analizza profondamente gli effetti collaterali della nostra società contemporanea. Una società che ha fatto del consumismo e della globalizzazione un virus omicida. Si riflette così la realtà raccontata dal filosofo Zygmunt Bauman, quella di una “società liquida”, dove l’apparente e perenne connessione tra individui (più online che “onlife”) nasconde in realtà un crescente e preoccupante individualismo che isola le anime, elevando l’apparire a un valore supremo. Con una palette di colori freddi e pessimisti, Di Capua porta quindi questa critica sociale e universale sul grande schermo e lo fa servendosi di una Roma anonima, insolita e accelerata come sfondo principale, e che potrebbe rappresentare qualsiasi altra grande metropoli del mondo.
Nonostante una narrazione corale a tratti complessa, che potrebbe risultare confusa e faticosa per lo spettatore, Holy Shoes si distingue per essere una profonda critica sociale, arricchita dal talentuoso cast e da una rappresentazione accurata e cruda di un presente deprimente. Il film esplora come la società contemporanea abbia paradossalmente permesso agli oggetti di assumere un potere determinante nella definizione e nell’influenza della nostra identità. Con il suo debutto alla regia, Di Capua incita quindi a una riflessione sulla nostra relazione con il consumo e sull’importanza di un’autenticità personale che vada oltre le convenzioni superficiali della modernità.