I Peccatori è il nuovo film diretto da Ryan Coogler (Black Panther, Creed – Nato per combattere) che arriva nelle sale cinematografiche il 17 aprile 2025. Il film, prodotto dalla Warner Bros. Pictures, è un affascinante mix di dramma, fantasy, thriller e horror, ambientato negli anni Trenta nel profondo Sud degli Stati Uniti, durante il periodo delle leggi segregazioniste.
La trama di I Peccatori
Elijah e Elias Smoke (Michael B. Jordan), due fratelli gemelli, sono cresciuti nel segno delle difficoltà e delle esperienze traumatiche, vivendo vite segnate da errori e scelte sbagliate. Dopo anni di allontanamento, i due decidono di tornare nella loro città natale per cercare un nuovo inizio e abbandonare i demoni che li perseguitano. Tuttavia, il ritorno non sarà facile: una forza oscura, ben più potente e pericolosa di qualsiasi male che abbiano già conosciuto, li attende.
I Peccatori: l’arte del dialogare tra i generi
Che Ryan Coogler sia ormai un
habitué del vagabondaggio tra i generi è cosa nota. Quasi quanto la
scelta, da parte del regista, del feticcio Michael B.
Jordan in qualità di corpo preposto ad attraversare (e
lasciarsi attraversare) il/dal mare magnum cinematografico.
A stupire – e forse neanche troppo vista e considerata la coerenza
espressiva finora dimostrata dal cineasta statunitense – è semmai
la capacità dell’autore di far dialogare testi-film
superficialmente così distanti. Di tessere cioè una fitta trama di
(auto)riferimenti che del fervore politico-militante degli esordi
non ha perduto alcunché – risultando anzi nel tempo, e nelle
diverse declinazioni sperimentate, amplificata in intensità.
L’avventura folk-horror-musical de
I Peccatori, in questo senso, non è insomma che la
prosecuzione di un ragionamento per immagini iniziato nel 2013 con
Prossima Fermata Fruitvale Station; in riferimento
al quale – non sarà sfuggito ai più attenti – il breve accenno di
Delta Slim alla storia di un vecchio amico ucciso in una stazione è
qualcosa in più di un semplice omaggio.
Del resto, in maniera neanche così velata, fioccano nel corso del
minutaggio numerosi altri richiami a tutta la pur ristretta
filmografia di Coogler. A partire dall’impianto
magico/leggendario su cui poggia lo spunto dell’intera vicenda, dal
chiaro respiro wakandiano, fino allo sdoppiamento fisico della star
Jordan nei protagonisti gemelli Smoke e Stack – le
cui prime avvisaglie, seppur metaforiche, erano già visibili in una
delle scene più significative di Creed – Nato per
combattere. Quando cioè Stallone,
posizionando l’allievo davanti a uno specchio, mostrava al figlio
di Apollo il primo e più temibile avversario con cui avrebbe dovuto
fare i conti.
Blaxploitation e gusto pulp
Quel che è certo, giunti ormai al quinto lungometraggio del regista, è che il cinema di Coogler è innanzitutto un cinema di spazi, di luoghi-simbolo. Ambienti cioè che, all’interno di una poetica che con I Peccatori aggiorna con convinzione le tensioni della blaxploitation anni ‘70, sono facilmente riconducibili a un immaginario afroamericano pregno di significato. E che, dalla metropolitana di Oakland di Oscar Grant, passando per il regno africano della Pantera Nera, approda oggi alle radici della rivendicazione etnica; servendosi delle bianche piantagioni del Mississippi del 1932 come sfondo naturale di un racconto che va dunque ad aggiungere un ulteriore tassello all’apparato visivo-ambientale del cineasta.
Non manca, come accennavamo, la consapevolezza di ri-popolare immagini e inquadrature che il grande schermo ha già da tempo codificato. Ragion per cui non sorprende ravvisare nell’arroganza dei gemelli la medesima strafottenza del Django tarantiniano (rievocato tra l’altro, e soprattutto, nella progressiva svolta pulp della pellicola). Né tantomeno stupisce la rielaborazione di alcune coordinate horror tipicamente flanaganiane – su tutte la dimensione socio-comunitaria del capolavoro seriale Midnight Mass, seppur trattata con tono decisamente più divertito e sregolato.
Come già in passato, tuttavia, Ryan Coogler dimostra ancora una volta di sapersi confrontare con i “grandi” senza sacrificare il proprio sguardo. E, come il “suo” Creed simulava le mosse da combattimento del padre eseguendole davanti alla riproduzione su schermo del celebre scontro tra Rocky e Apollo, il regista fa dei segni del cinema del passato le fondamenta su cui erigere una struttura narrativa e teorica personale. Che, al netto di qualche passaggio grossolano e muovendosi a proprio agio più nell’action che nei frangenti di puro melò, costruisce una efficace metafora della vampirizzazione della comunità nera da parte di chi “ama il blues, ma non ama quelli che lo suonano”. E che di quei simboli e di quelle radici identitarie si vuole appropriare nel tentativo di cancellarne ogni traccia. Lasciando alle proprie vittime la sola possibilità di una maschera (bianca) di libertà.
Estremamente lucido nel consegnarci una potente e stratificata testimonianza della storia del suo popolo, Ryan Coogler non ci sta. Si aggrappa alle note, all’intensità di certi attimi rubati, al romanticismo di vecchie strade polverose che corrono verso l’orizzonte e verso un ultimo tramonto di riscatto e fratellanza autentica. E in un periodo storico cupo come quello della seconda era Trump, sfoga nel blues, nel sangue e nelle pallottole la rabbia e l’amarezza per il presente al di là (e al di qua) della macchina da presa. Perché se i mostri invocano il Paradiso, ben vengano l’Inferno e le sue fiamme di redenzione.
I Peccatori
Sommario
Pulp, sregolato, talvolta grossolano, ma potente ed efficace nel racconto della “vampirizzazione” della comunità nera. Una ribellione a suon di blues, sangue e pallottole che guarda ai “grandi”, ma è pregno dell’identità del suo regista.