Il mio amico robot: recensione del film d’animazione di Pablo Berger

Il film, tra i candidati al Premio Oscar 2024 nella categoria del miglior film d'animazione, arriverà nelle sale italiane ad aprile.

Il mio amico robot, Pablo Berger
Dog e Robot a Central Park in un frame de Il mio amico robot (Fonte: The Movie Database)

Nell’interessantissima – seppur limitata – filmografia del regista di Bilbao Pablo Berger, che comprende film come Torremolinos 73, Blancanieves e Abracadabra, emerge il desiderio di catapultarsi in mondi antichi, peculiari, o semplicemente lontani dalla realtà in cui ci muoviamo. Tuttavia, prima de Il mio amico robot, il cineasta spagnolo non si era mai spinto così in là nel tentativo di inventare un intero universo da zero e con una formula che non aveva ancora padroneggiato (animazione), eppure, non è finita qui: la vera sorpresa è che, riprendendo lo schema di Blancanieves, anche Il mio amico robot è un film muto!

 

Candidato agli Oscar 2024 nella categoria del miglior film d’animazione, Il mio amico robot si svela presto, in realtà, come un film pieno di parole, semplicemente scritte in maniera inedita: queste si aggrovigliano infatti nelle linee eleganti, precise e chiare che delimitano i personaggi e che si nascondono negli sfondi di paesaggi perfettamente riconoscibili. Berger decide di lavorare solo con le immagini, dando l’impressione di lasciare più spazio al pubblico per completare ciò che vede.

Il mio amico robot, la trama: morfologia alleniana

La New York degli anni ’80 in cui è ambientato Il mio amico robot è una città abitata da animali antropomorfi un po’ annoiati, dato che l’isolamento urbano non apre la strada a nessuna possibile amicizia. Tra questi c’è Dog, un cane solitario che, per porre fine alla sua solitudine, decide di costruirsi un amico robot, dal quale diventa presto inseparabile. Insieme, li vediamo fare una passeggiata con un sacchetto di Naranjito, la mascotte della Coppa del Mondo 82, e raggiungere Coney Island. Sulla spiaggia, il robot si incastra nella sabbia e non riesce a liberarsi: fa diversi tentativi, ma arriva l’autunno e il parco chiude fino a giugno. Il robot bloccato nella sabbia sogna mondi possibili, storie di felicità, mentre il cane cerca nuovi amici e aspetta che qualcosa finisca: il tempo passa e il rapporto si trasforma. Arriva l’inverno, arriva la neve e il robot rischia di diventare un semplice rottame; così, sulla falsariga di “Soul” della Pixar, Il mio amico robot sfrutta l’animazione come veicolo per riflettere su tematiche come l’amicizia e la solitudine.

Il mio amico robot (2024)
Dog e il suo amico robot in una scena de Il mio amico robot (Fonte: The Movie Database)

Mano nella mano alla scoperta del mondo

Pablo Berger è un regista che non si accontenta di girare in modo convenzionale, ma vuole giocare o sperimentare con altre possibili forme dell’immagine. Se con Blancanieves ha indagato il cinema muto, in Il mio amico Robot, adattamento di un fumetto di Sara Vanon, realizza un doppio omaggio. Da un lato, scrive una lettera d’amore per la New York che Berger ha vissuto in gioventù, dall’altro, si rifà al meglio dell’animazione contemporanea: il film non è infatti così lontano da Il mio vicino Totoro dello Studio Ghibli e l’uso dell’animazione senza dialoghi ricorda La tartaruga rossa di Michaël Dudok de Witt, ma ci sono anche echi di Ernest e Célestine di Stéphane Aubier.

Se è vero che, in modo obliquo, Il mio amico Robot parla della morte – o della separazione forzata tra due persone che si amano – Pablo Berger non cede alla creazione di un mondo sotterraneo pieno di anime perdute. La prima cosa da fare, naturalmente, è costruire un rapporto credibile, prezioso nella sua delicata empatia, in cui due solitudini – quella di un cane solo e senza legami e quella del suo animale domestico, un robot con un cuore da vendere – scoprono di essere fatte per condividersi. In secondo luogo, il cineasta non ha bisogno di altro che di un recinto invalicabile per definire l’impotenza della perdita di una persona cara. Da un lato della recinzione, il cane è pura azione, idea dopo idea per attraversare il confine; dall’altro, il robot, immobile e arrugginito, può solo sognare.

(Ri)vedersi nel segno animato

Berger gioca abilmente con il suono e con una splendida colonna sonora in cui il tema September degli Earth, Wind and Fire diventa una vera e propria icona di riferimento. Il mio amico robot si configura così come una storia per bambini all’interno della quale risiedono molte altre storie possibili, in cui proprio questo gioco di strati e di sogni finisce per dare vita a un film tenero e ricco di immaginazione.

La narrazione de Il mio amico robot si apre come un libro di segni in cui gli occhi dello spettatore, anziché limitarsi alla contemplazione estatica, leggono la propria vita sullo schermo, costruendo con la loro esperienza, con le loro paure, con i loro amori dimenticati, con la loro malinconia e persino con i loro rimpianti, un autentico miracolo senza età. È un film per bambini per la scoperta di alcune perdite che verranno, ed è un film per adulti per la ricostruzione di uno spazio quasi sacro di riconoscimento, identificazione, pienezza e mistero. Non sono cani, non sono robot, siamo semplicemente noi.

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