Io Capitano: recensione del film di Matteo Garrone #Venezia80

In sala dal 7 settembre, il nuovo film di Matteo Garrone porta lo spettatore a vivere il drammatico controcampo di immagini a cui si è ormai sempre più insensibili.

Foto di Greta De Lazzaris

Le immagini riguardanti l’arrivo degli immigrati africani che vediamo ogni giorno nei telegiornali ci mostrano uomini, donne e bambini ai quali troppo facilmente si appiccicano etichette con cui definirli senza che neanche li si conosca. Sono persone senza nome, senza identità, la cui storia rimane avvolta nella leggenda, nell’esagerazione o, troppo spesso, nell’ignoranza. Con il suo nuovo film, dal titolo Io capitano, il regista Matteo Garrone (Gomorra, Dogman, Pinocchio) si pone dunque l’obiettivo di fornire un’identità e una voce a chi troppo spesso non ce l’ha. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, il film porta dunque lo spettatore ad intraprendere l’odierna Odissea dei migranti.

 

Per Garrone si tratta quasi di un controcampo sul suo film d’esordio, Terra di mezzo, del 1996, articolato in tre episodi distinti che raccontano le storie di emarginazione di alcuni stranieri immigrati in Italia. Se lì il focus era dunque su come queste persone vengono recepite nel nuovo contesto raggiungo, con Io Capitano si va invece all’origine del viaggio, a ciò che lo ha motivato, come anche a tutti gli orrori e gli ostacoli che si è dovuto superare per poter arrivare dove desiderato. Raccontare tutto ciò è un obiettivo ambizioso, ma Garrone sa come approcciarsi alle sfide più ostiche, traendone il meglio.

Io Capitano, la trama del film

In Io Capitano si racconta dunque il viaggio avventuroso di Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall), due giovani cugini che decidono segretamente di lasciare Dakar, capitale del Senegal, per raggiungere l’Europa, con l’obiettivo di poter inseguire il sogno di diventare celebrità nel campo della musica. Lasciandosi alle spalle le proprie famiglie, per i due ha così inizio un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare. Quando ormai sarà troppo tardi per tornare indietro, i due ragazzi si troveranno a dover proseguire il percorso, scoprendo quanto quel paese dei balocchi promesso sia meno splendente e colorato del previsto.

Odissea nel deserto

L’immigrazione è uno degli argomenti più scottanti e delicati tra quelli presenti sul tavolo delle discussioni odierne. Nel farlo, si può facilmente banalizzare, fraintendere o peggio ancora distorcere ciò che lo riguarda. Ecco perché il regista Matteo Garrone ha atteso a lungo prima di decidersi a realizzare questo film, convinto di non avere il diritto di raccontare una storia che non gli è propria e come la maggior parte degli italiani e degli europei vive principalmente attraverso le immagini proposte dai media. Fortunatamente, però, si può scegliere di voler andare oltre le comuni convinzioni, gli stereotipi, e svolgere ricerche necessarie a far emergere la verità di queste situazioni.

Così ha fatto Garrone, circondatosi di collaboratori che in prima persona hanno vissuto gli orrori di questa Odissea nel deserto, con interminabili traversate nel deserto, senza riparo dal sole o dalle intemperie, con il rischio di essere catturati e posti in stato di schiavitù nei centri di detenzione libici. A partire da queste testimonianze, Garrone segue dunque i due personaggi protagonisti nel loro scontrarsi con queste tappe di cui poco o nulla si sa fino a quando non ci si scontra personalmente con esse. Avviene dunque una vera e propria trasformazione nel corso di Io Capitano, con i due protagonisti che passano dall’essere spensierati giovani a sopravvissuti ormai privati della loro innocenza.

A sua volta, anche il film si trasforma, passando da una prima parte più colorata, allegra, spensierata nei toni e nelle atmosfere, coerentemente con lo stato di Seydou e Moussa in quel dato momento. Quando però ha inizio il viaggio, piano piano il film si incupisce sempre di più, l’atmosfera si fa pesante, spaventosa e non c’è più posto per quanto si era visto fino a quel momento. È a questo punto che Garrone non si risparmia alcune immagini particolarmente crude, ritrovabili naturalmente all’interno delle carceri libiche. Se dunque il tutto inizia come una fiaba sulla scia di quel filone del regista che ha prodotto fantasy come Il racconto dei racconti e Pinocchi, ben presto si giunge in territori più dark, propri di un film come Gomorra.

Io Capitano Seydou Sarr
Seydou Sarr in una scena di Io Capitano. Foto di Greta De Lazzaris.

Matteo Garrone infonde verità ed emozione nel racconto

Il modo in cui Garrone sceglie di costruire il racconto ha dunque l’obiettivo di ricercare una certa spontaneità e sincerità, necessarie per coinvolgere il pubblico e renderlo partecipe di questa problematica tanto grande. Talmente grande che non è facile dare delle risposte a riguardo, motivo per cui al regista si rinfaccerà il suo non aver proposto una versione più politica di tale argomento, ma di essersi tenuto invece più dalle parti del racconto d’avventura. Un racconto che però giustifica la propria semplicità – che talvolta può essere confusa con un certo didascalismo – con l’intenzione di raggiungere un pubblico molto ampio, possibilmente di ragazzi, da sensibilizzare su tali vicende.

Per farlo il regista si muove dunque consapevolmente sopra un confine molto esile tra la retorica e la sincerità, riuscendo grossomodo a rimanere nell’area di quest’ultima e portando a compimento un film particolarmente emozionante. Il merito è da riconoscere però anche a Seydou Sarr, il giovane protagonista esordiente, che dà vita ad un’interpretazione convincente, che acquista intensità di pari passo con la crescita emotiva del suo personaggio. Seyoud ci appare inoltre come una sorta di Pinocchio migrante, alla ricerca di una terra dei balocchi che scoprirà essere tutt’altro che paradisiaca. E terminando lì dove iniziano le immagini dei telegiornali, Io Capitano ci offre dunque un controcampo a cui non si dovrebbe rimanere indifferenti.

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Gianmaria Cataldo
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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
io-capitano-matteo-garrone-2Matteo Garrone ci porta a confrontarci con il controcampo di certe immagini, ponendo la la macchina da presa dall'angolazione dei migranti, per raccontare la loro odissea contemporanea dal loro punto di vista. Nasce così un film in equilibrio, per via dell'argomento trattato, tra la sincerità e la retorica, che sa però appassionare nel proporre il percorso dei due ragazzi protagonisti.