La chimera: recensione del film di Alice Rohrwacher – Cannes 76

Quello della regista è il terzo titolo italiano che punta alla Palma d'Oro

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Quarto film e quarto Festival di Cannes per Alice Rohrwacher, che dopo Corpo celeste (alla allora Quinzaine des réalisateurs), Le meraviglie e Lazzaro felice torna in concorso per la Palma d’Oro con La chimera. Il film sarà distribuito da 01 Distribution entro la fine dell’anno, ultimo dei tre film italiani presentati sulla Croisette e a distanza sia da Il sol dell’Avvenire di Nanni Moretti sia dal Rapito di Marco Bellocchio. Una anteprima comunque importante per una artista che merita sempre attenzione, per quanto sarà difficile che possa bissare i risultati del 2014 e del 2018, quando conquistò – rispettivamente il Gran Premio della Giuria e quello per la Migliore Sceneggiatura del festival francese. Che nel frattempo ha applaudito la storia di tombaroli nella quale al protagonista Josh O’Connor (The Crown, God’s Own Country) si affiancano Isabella Rossellini e Alba Rohrwacher.

 

Arthur e il mondo sotterraneo

Arthur è il giovane archeologo inglese appena uscito dal carcere e intenzionato a tagliare i ponti con i suoi (ex) amici tombaroli, molto attivi sul mercato clandestino per le opere d’arte e i reperti archeologici che trafugano dai sepolcri etruschi tra la Tuscia e la bassa toscana. Ma ‘l’inglese’ è un elemento imprescindibile per la banda, che senza la sua capacità di riuscire a percepire la presenza delle tombe non saprebbe dove scavare. Un dono, del quale forse Arthur farebbe volentieri a meno, visto che il vuoto che sente nella terra corrisponde a quello che ha lasciato in lui il ricordo del suo amore perduto, Beniamina. La sua chimera più dolorosa, quella che sembra continuare a inseguire in questo viaggio tra vivi e morti, tra boschi e solitudini.

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Ognuno insegue la sua chimera

Ognuno insegue la sua chimera, anche Alice Rohrwacher, che sceglie un cast internazionale per arricchire ancora di più il mosaico di personaggi, tempi, luoghi, livelli, vite e colori del suo nuovo film. Un vero e proprio “caleidoscopio” nel quale la frammentazione è complessità, possibilità, libertà, nonostante qualche problema nel gestire l’armonizzazione e l’equilibrio tra le singole tessere. Tante e distribuite tra il mondo di sopra e il mondo di sotto, il presente e il passato, una realtà e l’altra o i diversi elementi di cui si compone la ricerca della regista e sceneggiatrice, oltre che autrice del soggetto insieme a Pietro Marcello e Carmela Covino.

La chimera recensione film

Il primo impatto con il film è attraverso “l’inglese”,lo spaesato e solitario Arthur di Josh O’Connor che ci accompagna e che seguiamo dall’inizio alla fine. Più Caronte che Virgilio, volutamente tramite tra i mondi diversi che la storia tiene insieme, volontariamente ai margini di entrambi, dove la sua ricerca del suo scomparso amore è rimasta delusa. Quella, sentimentale, la chimera del titolo, ma non solo. Sono “chimere” anche quelle che gli permettono di stabilire un contatto con l’oltretomba, etrusco nello specifico, per i tombaroli fonte di sostentamento, per lui, spazio di libertà e di speranza.

Temi e suggestioni sono notevoli, spesso però da inseguire nella lunga elaborazione del lutto che in qualche maniera racconta il film. Nel quale sembrano esserci troppe deviazioni e parentesi, troppi film nel film, linee narrative (geniale e felice quella del cantastorie che appare a più riprese) che si intrecciano alla principale. Effettivamente come accade nella vita, di tutti noi, che si interrompe, riprende, cambia direzione, e spesso si ferma a seguire altre suggestioni, possibilità o urgenze.

La chimera Josh O'ConnorAnche lo stile, è quello proprio della regista, che torna a utilizzare le tonalità tanto amate e a guardare verso i diseredati, gli innocenti loro malgrado, la natura e le sue creature. Una comunità ideale nei quali perdono di senso i confini, tanto spaziali quanto temporali, e le regole, dell’uomo e di una società che non ha rispetto di nulla e nessuno. Nella quale non è banale che siano le donne a offrire e cercare un’alternativa, e a mostrare – come detto dalla stessa Rohrwalcher – una attitudine diversa nella costruzione delle cose, che dia loro una vita nuova. Una donna apre e chiude il film, d’altronde, a una donna è affidato il colpo di scena del plot, donne diverse caratterizzano il percorso esistenziale di Arthur, dall’Italia di Carol Duarte alla Flora di Isabella Rossellini, in un ruolo di poca presenza ma di indubbio peso.

Piani paralleli, che si sovrappongono e si sviluppano, finendo per tangere, pur con poche speranze di ricavarne benefici. Soprattutto per l’affollarsi di storie, livelli, personaggi e final, che non aiutano a rendere meno involuto il film. Chiuso da immagini bucoliche, il più classico dei Franco Battiato e un trionfo conciliatorio tra il sognante e il visionario.

Sommario

Piani paralleli, che si sovrappongono e si sviluppano, finendo per tangere, pur con poche speranze di ricavarne benefici. Soprattutto per l'affollarsi di storie, livelli, personaggi e final, che non aiutano a rendere meno involuto il film. Chiuso da immagini bucoliche, il più classico dei Franco Battiato e un trionfo conciliatorio tra il sognante e il visionario.
Mattia Pasquini
Mattia Pasquini
Nato sullo scioglimento dei Beatles e la sconfitta messicana nella finale di Coppa del Mondo, ha fortunosamente trovato uno sfogo intellettuale e creativo al trauma tenendosi in equilibrio tra scienza e umanismo. Appassionato di matematica, dopo gli studi in Letterature Comparate finisce a parlare di cinema per professione e a girare le sale di mezzo mondo. Direttore della prima rivista di cinema online in Italia, autore televisivo, giornalista On Air e sul web sin dal 1996 con scritti, discettazioni e cortometraggi animati (anche in concorso al Festival di Cannes), dopo aver vissuto a New York e a Madrid oggi vive a Roma. Almeno fino a che la sua passione per la streetart, la subacquea, animali, natura e ogni manifestazione dell'ingegno umano non lo trascinerà altrove.

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Piani paralleli, che si sovrappongono e si sviluppano, finendo per tangere, pur con poche speranze di ricavarne benefici. Soprattutto per l'affollarsi di storie, livelli, personaggi e final, che non aiutano a rendere meno involuto il film. Chiuso da immagini bucoliche, il più classico dei Franco Battiato e un trionfo conciliatorio tra il sognante e il visionario.La chimera: recensione del film di Alice Rohrwacher - Cannes 76