Marcello mio: recensione del film di Christophe Honoré – Cannes 77

Il regista, alla sua settima collaborazione con Chiara Mastroianni, confeziona un'opera che oscilla fra la commemorazione del divo italiano e il rapporto padri-figli.

Marcello mio recensione film

Marcello Mastroianni è stato uno dei pilastri portanti del cinema italiano. Divo indiscusso di quei tempi, in particolare i Sessanta, che ancora oggi si ricordano con nostalgia; figura di cui si scrivono tutt’ora fitte pagine per i manuali di cinema; attore feticcio e alter ego di Federico Fellini, il cui sodalizio artistico ha donato alla Settima Arte alcuni dei migliori capolavori, consacrandone il mito. Charme, eleganza, ironia, versatilità racchiusi in un uomo che la Storia (cinematografica), in fondo, non ha smesso mai di omaggiare. E un omaggio è anche il seme da cui germoglia la nuova fatica di Christophe Honoré, Marcello mio, in Concorso a Cannes 77, in arrivo per il centenario della sua nascita.

Si sarebbe potuto optare per un canonico documentario, o il più classico dei biopic, eppure il regista ha voluto compiere un lavoro diverso: far diventare la figlia, Chiara Mastroianni, suo padre. Solo così il ritorno di Marcello al cinema sarebbe stato magico e palpabile. Non poteva esserci un modo più toccante, diremmo anche originale, per celebrarlo adeguatamente, se non farlo rivivere attraverso chi custodisce una parte di lui. Chi lo ha vissuto da vicino, intimamente, e ne ha carpito ogni singola sfumatura, gesto, sguardo, persino respiro. Un compito che, forse, se lo avesse affidato a qualcun’altro, a un attore che avrebbe dovuto affrontare ore di studio per rappresentarlo nel migliore dei modi, non avrebbe sortito lo stesso effetto.

Non che questa scelta non costituisse comunque un rischio o un azzardo, e l’operazione se vogliamo è ancor più delicata e complessa, ma il sentimento alla base è chiaro aver avuto radici molto profonde per discostarsene e virare verso acque più sicure. Marcello mio è un’opera di natura molteplice: celebrativa senza dubbio, singolare negli intenti, a tratti fantasiosa nella messa in scena. E funziona bene nei primi due atti, perdendo l’orizzonte solo verso la fine. Scritta dallo stesso Honoré, arriva nelle sale italiane dal 23 maggio, subito dopo il passaggio al Festival, distribuito da Lucky Red.

La trama di Marcello mio

Parigi. Chiara Mastroianni è alle prese con alcuni provini, in particolare uno con la regista Nicole Garcia. Poco prima di incontrarla, l’attrice ha visto la madre, Catherine Deneuve, alla quale ha confidato di aver sognato il padre, Marcello, e di essersi sentita lui per un momento. Ripresasi da quell’esperienza che tanto le sembrava reale, si reca dalla regista per dare inizio alla sua prova che la vede recitare alcune battute con Fabrice Luchini, suo partnern nel film, quando all’improvviso la donna, pur inizialmente esitando, le fa una richiesta specifica per farla entrare di più nel ruolo: deve essere più Mastroianni che Deneuve. In sintesi: più il padre che la madre. Più italiana che francese.

Per lei quello è un segno del destino, che però si traduce in una crisi: chi è? Cosa sta succedendo alla sua vita? Perché gli altri non la vedono semplicemente come Chiara? Poi l’idea, il “colpo di genio”: trasformarsi nel padre, facendosi chiamare come lui da tutti. Un qualcosa che, più avanti, dirà “renderla felice” perché a Chiara Mastroianni quel padre manca molto. La transizione le permetterà di portare in scena non solo alcune scene simbolo dei film del divo italiano, ma proprio alcuni dei più bei suoi personaggi. Cercando sé stessa, l’attrice creerà un nuovo contatto con il padre, suscitando da una parte la perplessità di alcuni membri della sua famiglia, dall’altra la gioia di chi invece non aspettava altro che poter lavorare e incontrare per la prima volta il grande attore.

Marcello mio Christophe Honoré

Marcello… come here!

Christophe Honoré e Chiara Mastroianni, con Marcello mio, tornano a lavorare insieme per la settima volta, cinque anni dopo l’acclamato L’hotel degli amori smarriti, presentato proprio a Cannes nella sezione Un Certain Regard, dove lei vinse come miglior attrice. Un rapporto dunque consolidato, che mai come in questo progetto era fondamentale avere per poter condurre l’attrice dentro alcune delle memorie artistiche e umane del padre, in un percorso fatto anche di suggestioni e immagini vibranti, avvolte da un’atmosfera dolcemente malinconica. Chiara, che ha raccolto la considerevole eredità artistica di Marcello, qui lo riporta in vita, dimostrando plasticamente come quest’arte riesca a rendere immortale chi la attraversa. Mastroianni è ricordo, ma anche presenza concreta, veicolata tramite la figlia. Prova tangibile che nel cinema non si smette mai di esistere, si cambia semplicemente forma.

È impressionante constatare l’estrema somiglianza fra i due, già evidente senza il lavoro di trucco e parrucco svolto sull’attrice, tanto che quando assume ufficialmente la sua identità, sembra di avere realmente di fronte Marcello. Indossando il completo nero con la camicia bianca, il cappello e gli occhiali massicci, Chiara riesce a evocare non solo l’attore ma anche i personaggi iconici di cui ha vestito i panni. Da Guido Anselmi in Otto e mezzo, a Marcello Rubini in La dolce vita, passando per Ferdinando Cefalù in Divorzio all’italiana, arrivando a Giovanni Pontano in La notte. E potremmo continuare.

Un omaggio tanto a Mastroianni quanto ai film che lo hanno reso eterno, in particolare rievocati in alcune memorabili scene. Chiara vaga per le strade di Parigi e richiama la camminata dei protagonisti-simbolo delle opere più famose di Fellini, fa il bagno nella Fontana di Trevi e imita le spallucce del padre nella scena finale de La dolce vita. L’attrice si muove con disinvoltura, portando in scena la gestualità e le espressioni del padre, innate e tramandate, con così tanta naturalezza da risultare convincente. Ed è proprio in quell’istante che, come Chiara fa con la sua famiglia, altrettanto fa Honoré con il suo pubblico: chiede – almeno in parte – di credere in quel surreale viaggio e in ciò che viene mostrato, senza esitare. Dove i confini tra realtà e finzione si dissolvono, e non rimane che lasciarsi condurre nella danza.

Di padri, di figlie…

Fra sogno e realtà, in cui si amalgamano parentesi comiche e altre di commozione, Marcello mio passa dalla dimensione prettamente celebrativa della carriera dell’attore a quella più intima e familiare, più lontana dai riflettori, mettendo in luce la connessione che c’è fra un padre e una figlia e la ritrovata identità di quest’ultima attraverso la figura paterna. La crisi di Chiara, che innesca la ricerca del suo posto nel mondo, non può non passare dal confronto con i genitori, in tal caso con Marcello. Non sono in fondo loro, il nostro riflesso, a indicarci sempre la strada? A guidarci per ritrovare noi stessi, sentendoci in contemporanea ancor più vicini? Chiara cerca il padre perché non riesce a capire più chi è: una condizione che le fa sentire da una parte il peso d’essere figlia d’arte, dall’altra la mancanza di una figura andata via precocemente, creando un cortocircuito che la condurrà alla rinascita.

Nel momento cruciale in cui Chiara si immerge nel ruolo del padre, riesce a percepirlo profondamente, come se Marcello fosse davvero presente accanto a lei. Lo sente, lo commemora, ne rievoca il legame e lo ritrova. Vestendo i panni di Marcello e giocando con l’idea di uno scambio d’identità, Chiara dialoga con lui, riunendosi infine con quella parte di sé che aveva perduto, ma anche con il padre stesso. Questa ritrovata consapevolezza suscita emozione nelle battute finali, anche se non si può fare a meno di notare che l’epilogo, per quanto visivamente bello, arrivi in modo un po’ improvviso, generando un leggero disorientamento. E questa, nell’economia del racconto, non è l’unica incrinatura.

Marcello mio Chiara Mastroianni

…e di scelte non sempre all’altezza

Nonostante Marcello mio risulti piacevole nel suo complesso, non è infatti esente da difetti. In primo luogo il fim soffre di un’eccessiva lunghezza, specialmente a causa di scene troppo dilatate, che avrebbero potuto essere eliminate per alleggerirlo. Come dicevamo in apertura, i primi due atti funzionano bene, al netto di quelle (per fortuna) poche scene in cui i personaggi cantano, come mostrato anche dal trailer, che spezzano la fluidità della narrazione, non essendo ben integrate con il resto. Tuttavia è il terzo atto a raccogliere i maggiori problemi del film, con dei passaggi – verso il finale – che stridono parecchio. In particolare, a far storcere il naso, è la scena in cui Chiara/Marcello è ospite di un programma televisivo pomeridiano su Rai 1, che risulta essere fuori contesto, oltre a contenere delle recitazioni altamente posticce, persino da Stefania Sandrelli.

Si tratta di un’idea sbagliata alla base, poco coerente con l’atmosfera quasi onirica dell’opera, che smorza la magia fino a quel momento costruita con cura. Se ci si fosse invece limitati a questo aspetto, evitando di tirare troppo la corda con altre incursioni narrative ingiustificate e compiendo magari dei tagli nel montaggio, il film avrebbe guadagnato in coerenza e solidità. Nonostante queste criticità, Marcello mio rimane comunque un lavoro da apprezzare. Pur inciampando in qualche scelta narrativa poco lucida e fuori tono, con non sempre una sceneggiatura equilibrata, ha un cuore grande, che porta il nome di Chiara e Marcello Mastroianni.

RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Valeria Maiolino
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Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.
marcello-mio-christophe-honoreFra sogno e realtà, in cui si amalgamano parentesi comiche e altre di commozione, Marcello mio passa dalla dimensione prettamente celebrativa della carriera dell'attore a quella più intima e familiare, più lontana dai riflettori, mettendo in luce la connessione che c'è fra un padre e una figlia e la ritrovata identità di quest'ultima attraverso la figura paterna. Non sempre la sceneggiatura rimane equilibrata, in particolare nel finale, ma nel complesso l'operazione riesce e commuove.