Otto e mezzo: sessant’anni fa usciva l’autobiografia più intima di Federico Fellini

Otto e mezzo

Sono tanti i registi che hanno voluto raccontarsi sfruttando un alter ego sullo schermo, attraverso il cinema. Pensiamo, per esempio, a capolavori come È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino o al più recente The Fabelmans di Steven Spielberg. Il cinema diventa diario, sfogliato dagli spettatori, mentre si naviga nei ricordi di cineasti che sanno davvero come plasmare l’arte a loro immagine e somiglianza. Se andiamo a ritroso nel tempo ce n’è uno in particolare che ha scritto una splendida pagina del cinema italiano, raccontandosi con grande passione: Federico Fellini.

 

Molti associano a Fellini – erroneamente – un solo film che rispecchia la definizione di film biografico (in cui il regista racconta la sua vita), prendendo in considerazione solo Amarcord del 1973. Eppure nella filmografia del Maestro c’è un film che spicca più di tutti e che è considerato trai maggiori capolavori del cinema mondiale: parliamo di Otto e mezzo. La pellicola, uscita nel 1963, è un’autobiografia molto intima di Fellini, esempio massimo della sua poetica. A sessant’anni dal suo debutto, ripercorriamo uno dei capolavori felliniani.

Otto e mezzo, perché il film è un’autobiografia?

Otto e mezzo si inserisce nella “fase matura” della filmografia felliniana, periodo in cui il regista porta totalmente nelle sue opere la sua personale concezione di vita e di arte. Ne fanno parte anche Amarcord e La voce della luna. Tre anni dopo il capolavoro La dolce vita, che scuote profondamente l’Italia e che all’epoca desta scandalo, Fellini si dedica all’episodio del film corale Boccaccio ’70, Le tentazioni del dottor Antonio. Conclusa questa parentesi arriva l’idea di girare un film nuovo di zecca. Non c’è però una storia concreta nella sua mente, bensì un flusso di pensieri che cercano di trovare una strada per esprimersi. Fellini si rivolge allo sceneggiatore e amico Ennio Flaiano, ma questi non sembra convinto. In compenso, però, a questa pellicola inesistente viene affiancato un nome, Otto e mezzo, perché è sia una pellicola a metà sia il suo ottavo film. Già il titolo è autobiografico.

Deciso ad abbandonare un’idea che oramai è quasi svanita, arriva l’illuminazione mentre si trova a Cinecittà: Otto e mezzo parlerà proprio di questo, di un regista che vuole fare un film ma non sa quale. È intrappolato nei suoi stessi pensieri confusi e cerca un modo per risolvere una situazione così scomoda. Fellini affida a Marcello Mastroianni il suo alter ego, Guido Anselmi, che condurrà lo spettatore nella crisi profonda del regista. Il Maestro costruisce Otto e mezzo accavallando fatti reali, sogni e fantasticherie, in cui tutto si mescola, restituendo inizialmente un senso di disorientamento. Per questo, un’opera considerata pregna di tutto il genio felliniano.

Fellini perciò racconta se stesso e la sua difficoltà sul grande schermo e tanti sono i momenti in cui sembra lui a parlare. “Mi sembrava di avere le idee così chiare. Volevo fare un film onesto, senza bugie di nessun genere. Mi pareva di avere qualcosa di così semplice, così semplice da dire. Un film che potesse essere un po’ utile a tutti, che aiutasse a seppellire per sempre tutto quello che di morto ci portiamo dentro”, dice Guido, parlando dei desideri e delle confessioni dello stesso Fellini.

La crisi felliniana nella sequenza iniziale

La scena d’apertura di Otto e mezzo racchiude il significato più profondo della pellicola e dello stato d’animo in cui Fellini si trova prima di iniziare il film. Il protagonista è bloccato nel traffico, dentro un’auto in cui si sente soffocare. La macchina da presa si avvicina a lui, ma non ne vediamo il volto. I visi che invece Fellini ci mostra, nel silenzio assordante, sono quelli degli automobilisti con lo sguardo fisso su Guido Anselmi. Rappresentano al tempo stesso lo sguardo degli spettatori, mentre, identificandosi con essi, aspettano con ansia di riuscire a vedere quell’uomo che inizia a dimenarsi nella propria macchina.

Questa prima sequenza è fondamentale per comprendere il senso di oppressione che Guido, e quindi Fellini stesso, provano. Metaforicamente schiacciati e ingabbiati nella macchina da presa, soffocati da una responsabilità che non vuol dare loro aria. Fin quando non arriva il sogno, quello tanto caro al regista, e su cui si gioca la sua poetica. Guido si libra nel cielo, vola in alto e sempre più su, fino a immergersi nelle nuvole candide. Una sensazione di libertà pura, che si interrompe quando una corda avvolge la sua caviglia tirandolo di nuovo giù, sulla terra, nella realtà. Ed ecco il produttore che lo richiama ai doveri. Devono fare il film. Quel film che tutti aspettano, ma che non riesce a nascere. Qui Fellini descrive in maniera perfetta il suo smarrimento; quello di un regista costretto a dover far qualcosa ma che non sa cosa dire.

La potenza di “Asa Nisi Masa”

Otto e mezzo è, come dicevamo, un’opera molto complessa ma è proprio nella sua lettura che si scova il senso della pellicola autobiografica. La scena più emblematica, che rispetto ad altre è maggiormente circondata da un alone di mistero, è quella del mago, a cui segue la famosa frase “Asa Nisi Masa”. Per tanto tempo si è dibattuto sul suo significato, soprattutto perché Fellini era un regista che amava giocare con il suo pubblico. Tanti hanno pensato che la frase del film non significasse niente. Altri invece hanno ipotizzato che il concetto fosse legato alle teorie dello psicanalista Jung, da cui Fellini era affascinato, e che quindi fosse una traduzione di “Anima” dall’alfabeto serpentino. Per Jung tale parola era volta a rappresentare le caratteristiche femminili nella personalità di un uomo.

Eppure, proprio perché cinema autobiografico, la sequenza sopracitata si comprende solo scavando nell’infanzia del Guido/Fellini che lo stesso Otto e mezzo ci mostra. L’assistente del prestigiatore scrive alla lavagna la frase pensata da Guido, e subito dopo le immagini fotografano un bambino, per l’appunto il protagonista, che scorrazza in una casa di campagna. In questa sequenza il dialogo fra i personaggi è in dialetto, e solo alla fine si sente dire “Asa Nisi Masa”. In una ricerca sul dialetto romagnolo e, nello specifico, su quello riminese, si è scoperto che “masa” è l’imperativo di “masè” che significa “nascondere”. Se ne è dedotto dunque, che fosse proprio una reminiscenza dell’infanzia di Federico e che l’autore mette dentro la testa di Guido, il quale esce fuori da una situazione di imbarazzo aggrappandosi a un caro ricordo del suo burattinaio. Otto e mezzo da qui comincia a prendere una piega diversa: i ricordi si uniscono ai sogni per indirizzare il regista sulla giusta strada, aiutandolo a mettere ordine in quella confusione soffocante.

Il finale di Otto e mezzo

La dimensione dominante di Otto e mezzo è quella onirica, già elemento peculiare della produzione felliniana e che qui prende progressivamente il sopravvento su quella realistica. Il cineasta che aveva cominciato la sua carriera nella scia del neorealismo (I vitelloni) era rimasto deluso dalle trasformazioni che la società stava attraversando. Fellini tenta di evadere dalla corruzione servendosi del sogno e della fantasia, unico mezzo attraverso il quale potersi esprimere in libertà, non rifiutando però un confronto fra passato e presente. Otto e mezzo diventa così massima espressione della sua arte, che sfocia nella conclusione del film in cui il Maestro chiude il viaggio con un messaggio dedicato a tutti.

Guido è riuscito ad avviare il suo film, proprio come Fellini è riuscito a realizzare Otto e mezzo. Lucido e consapevole dell’esperienza portatasi sulle spalle, il protagonista incontra tutti i personaggi che gli sono stati accanto, sogno e realtà si fondono in una bellissima conclusione, con una musica diegetica che fa da accompagnamento. Il finale diventa positivo, un monito da parte di Fellini a non lasciarsi sopraffare dalla tempesta, ma passarci attraverso per combatterla e uscirne più coscienti. Un invito a credere sempre in quello che si fa, aiutati dalle persone che si amano, nonostante gli ostacoli che si incontrano lungo la strada. Ecco Otto e mezzo: una lettera di Federico Fellini al suo pubblico grazie a cui, mettendosi a nudo, diventa grande esempio di vita.

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Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.