Acciaio: recensione del film di Stefano Mordini

Acciaio

Nel corso dell’estate che segna il passaggio dalla scuola media al liceo, la scoperta della sessualità e una realtà sempre più scomoda le porterà verso nuove direzioni, alcune inaspettate. Stefano Mordini, noto regista di documentari, dirige e scrive assieme a Giulia Calenda e Silvia Avallone, Acciaio, trasposizione di uno dei più grandi successi letterari italiani degli ultimi anni.

 

In Acciaio Anna e Francesca hanno tredici anni e vivono a Piombino, città in cui la realtà dell’acciaieria Lucchini sembra essere l’unica possibilità di vita. Sognano un giorno di poter cambiare le loro esistenze, ma in realtà desiderano soltanto lasciarsi alle spalle una vita fatta di famiglie spezzate. Al lato opposto c’è Alessio, fratello di Anna, operaio amante del suo lavoro, saldo nei suoi principi, innamorato da sempre di Elena, che ritorna in città dopo aver avuto altre esperienze lavorative, nonostante sia passato tanto tempo, i due non si sono mai dimenticati.

Acciaio è stato presentato per la prima volta durante la 69° Mostra del Cinema di Venezia nelle Giornate degli Autori e porta sullo schermo la realtà di questa fabbrica senza però scendere nelle relazioni umane associate a questo lavoro, molto più forte è la situazione delle due ragazze che si ritrovano ad  attraversare e crescere in questo mondo operario, soffrendo nel relazionarsi con quest’ultimo e quindi trovarsi a vivere un “adolescenza a metà potenziale”. Acciaio punta sulle due esordienti Matilde Giannini e Anna Bellezza cambiando così lo sguardo e la profondità che aveva la fabbrica nel libro. Il regista ci tiene a mostrare la realtà e le domande delle ragazze, però sottovalutando la realtà in cui vivono i giovani operari toscani e su cui si basano molte realtà limitrofe riducendo, così, il tono che porta con sé il libro.

Acciaio, il film

Inoltre poco accennato è il ritorno sul grande schermo della classe operaia che prende bene le distanze dall’ideologia politica ed inquadra esclusivamente la vita di Alessio (Michele RiondinoDieci Inverni) un ragazzo (ormai) padre di famiglia cresciuto con dei valori ed appassionato del suo lavoro, da apparire quasi un eroe anomalo, perché sembra accontentarsi della sua vita senza ambizioni, dall’esistenza quasi leggera ma bella anche se continuamente precaria. Altro personaggio sfuggente e poco approfondito è Elena (Vittoria Puccini Magnifica Presenza) che pur trovandosi in una situazione privilegiata, lontana dalla fabbrica e della sua vita dura ne è coinvolta emotivamente, un personaggio che scappa dalla città e che riflettere troppo velocemente sulle ipotesi di un futuro che non deve essere per forza altrove. Una donna indecisa e sbilanciata rispetto alle giovani adolescenti, che sembra non avere né la forza né il coraggio di decidere della sua vita.

Quindi anche se vediamo la fabbrica sin dai titoli di testa che con la sua attività incessante cerca di riflettersi con delle immagini-metafore nelle storie coinvolte nella pellicola, (il fuoco che plasma la materia prima di solidificare) queste vite in realtà sono troppo fragili per sostenere tutto il processo, anche quello del film. Anche se lo stile e il tono di regia sono delicati e rispettosi senza lasciarsi andare a banalismi, c’è sempre il rischio del fraintendimento o della doppia lettura, segnato forse da delle azioni poco incisive per personaggi così complessi.

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