Rumore bianco (White Noise): recensione del film di Noah Baumbach

Rumore bianco (White Noise), il film di apertura del concorso di Venezia 79, per la regia di Noah Baumbach e con Adam Driver e Greta Gerwig.

Rumore bianco (White Noise) recensione
Cr. Wilson Webb/Netflix © 2022

È con rumore che si apre la 79ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Con il suo Rumore bianco (White Noise), Noah Baumbach torna al Lido assieme alla compagna – sulla scena e nella vita – Greta Gerwig e ad Adam Driver, che aveva fatto brillare nel precedente Storia di un Matrimonio. Il film, basato sull’omonimo romanzo di Don DeLillo, chiede agli spettatori di approcciarsi al concetto di rumore bianco: un particolare suono con potenza uguale a tutti i livelli, che favorisce il rilassamento, aiutando il cervello a ignorare i suoni che si manifestano naturalmente, ad alta intensità o spiacevoli. L’adattamento di Baumbach, che verrà distribuito da Netflix, gioca col concetto di sonorità mascherata: in ultima istanza, saranno le catastrofi naturali tanto decantate dai protagonisti a fare meno paura rispetto a un equilibrio familiare che va frantumandosi. Nel cast del film, anche Raffey Cassidy, Don Cheadle e Jodie Turner-Smith.

 

Il rumore bianco (White Noise) delle icone (e di mamma e papà)

Rumore bianco (White Noise)La morte fa paura. O meglio, è il pensiero di questa a logorare costantemente i protagonisti di Baumbach. Jack e Babette Gladney si sono trovati dopo una serie di matrimoni sfortunati e conducono un’esistenza piuttosto stravagante: i quattro figli Denise, Arlo, Elliot e Heinrich sono fratelli, provenienti da matrimoni diversi ma uniti a livello caratteriale. La paranoia regna infatti sovrana nella famiglia Gladney, non lascia immuni neanche i più giovani, ma sortisce un effetto diverso rispetto all’età: nei fratelli, diventa ingegno e curiosità, negli adulti fomenta il terrore di non lasciare il segno, tanto dal punto di vista privato quanto da quello professionale.

C’è un unico modo per sopravvivere alla morte: diventare icona. Imperatori “musicali”, come Elvis, o politici – secondo il punto di vista di Jack, pioniere degli studi su Hitler – fiori imperituri del consenso, forzato e non, che sopravvivono ai processi di creazione e disintegrazione. Non c’é incidente, catastrofe naturale, o cospirazione, che possa minare gli studi sostanziosi dei due professori. Ma l’insegnamento si ferma all’università; a casa, sono i figli a domandare, a captare i segnali negativi di un male che si sta insinuando tanto all’interno di un nucleo familiare quanto nello spazio geografico. Jack sa tutto di Hitler, ma poco dei suoi figli.

Babette vive in un mondo completamente a sè stante: i due membri della coppia cercano in ogni modo di trovare un appiglio, una scorciatoia per rifuggire il pensiero intrusivo per eccellenza, quello di non avere abbastanza tempo. Ed è qui che Baumbach ci offre maggiore intensità dal punto di vista della scrittura, “sorella” del meraviglioso Storia di un Matrimonio: infilandosi nei meandri di un dramma emotivo, di una circoscrizione mentale che diventa però estremamente materica, tattile, assumendo perfino forma fisica: quella di una pillola bianca, dalla composizione incerta, che contiene il rumore assordante di psicologie in frantumi, quelle di uomini che si professano grandi comunicatori, ma in realtà perdono vigore proprio nella fatica di confessare che qualcosa non va.

La cospirazione come legge matrimoniale

Rumore bianco (White Noise)La cospirazione si insinua così in ogni frangente della comunicazione famigliare. A differenza delle icone, che ricevono risposte dalle folle, Babette non ha un riscontro: rimane sola, infreddolita tra le lenzuola che ne mangiano il volto, che fanno fare incubi a Jack, inducendolo a domandarsi cosa sia andato storto nell’alchimia della coppia (che ha lasciato spazio alla chimica). Jack e Babette erano abituati a procedere assieme, uniti da una vera e propria psicosi concettuale, che ha a che fare con le radici più profonde dell’ideologia Americana, purtroppo non trattate con la stessa enfasi claustrofobica del romanzo di De Lillo, in cui la paranoia politica diventa domestica, la comunicazione verbale lascia il passo a quella tecnologica, i giovanissimi iniziano ad essere più informati degli adulti.

Se il libro di De Lillo è assurto ad archetipo della letteratura postmoderna, con Rumore Bianco Baumbach si appropria di una narrazione estremamente stratificata, ma riadattata al suo marchio registico da dark comedy, alla The Squid and The Whale (2005), non riuscendo tuttavia a impostare al meglio i momenti che effettivamente avrebbero goduto di satira pungente. Il fantomatico evento tossico aereo non è nulla rispetto al vero dramma, è – appunto – un Rumore bianco (White Noise), che attutisce qualcosa di molto più profondo e potenzialmente pericoloso.

Rumore Bianco: un adattamento silenzioso

La catastrofe se ne va via con la stessa velocità con cui è piombata ad Iron City, è un frangente fulmineo, dinamico dal punto di vista registico, ma che non assume la stessa pregnanza visiva e simbolica che gli è associata nel romanzo. È la preparazione che porta al tragico evento spartiacque, perpetrato da un lasso di tempo indefinito in cui all’interno delle famiglie americane, a metà anni ‘80, hanno iniziato ad insediarsi le fatiche comunicative, la dissociazione dal ruolo a cui si dovrebbe tenere testa in nome del presagio negativo, caricato a dismisura dalla comunicazione mediale. Nel film vi è un ribaltamento dei ruoli: sono i professori a diventarsi giornalisti, di cronaca, politica, vere e proprie sibille che impiegano il loro tempo nel sensazionalizzare figure e ideali del passato e incapaci di reagire e prendere atto dei cambiamenti del presente.

Rumore bianco (White Noise) è un adattamento silenzioso, gentile nei confronti del genere di appartenenza di Baumbach, ma non altrettanto nei confronti di personaggi surclassati dai nomi delle star che li impersonano. La difficoltà di passaggio da un genere all’altro si concilia a fatica con la vastità di una base di partenza stratificata, aperta a plurivoche interpretazioni e, soprattutto, controversa. Una pillola che piace sicuramente a Babette e andrà bene anche su Netflix, un ritorno forse un po’ sottotono di Baumbach, fagocitato dalla sovraesposizione ai rumori bianchi.

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