È con rumore che si apre la 79ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Con il suo Rumore bianco (White Noise), Noah Baumbach torna al Lido assieme alla compagna – sulla scena e nella vita – Greta Gerwig e ad Adam Driver, che aveva fatto brillare nel precedente Storia di un Matrimonio. Il film, basato sull’omonimo romanzo di Don DeLillo, chiede agli spettatori di approcciarsi al concetto di rumore bianco: un particolare suono con potenza uguale a tutti i livelli, che favorisce il rilassamento, aiutando il cervello a ignorare i suoni che si manifestano naturalmente, ad alta intensità o spiacevoli. L’adattamento di Baumbach, che verrà distribuito da Netflix, gioca col concetto di sonorità mascherata: in ultima istanza, saranno le catastrofi naturali tanto decantate dai protagonisti a fare meno paura rispetto a un equilibrio familiare che va frantumandosi. Nel cast del film, anche Raffey Cassidy, Don Cheadle e Jodie Turner-Smith.
Il rumore bianco (White Noise) delle icone (e di mamma e papà)

C’è un unico modo per sopravvivere alla morte: diventare icona. Imperatori “musicali”, come Elvis, o politici – secondo il punto di vista di Jack, pioniere degli studi su Hitler – fiori imperituri del consenso, forzato e non, che sopravvivono ai processi di creazione e disintegrazione. Non c’é incidente, catastrofe naturale, o cospirazione, che possa minare gli studi sostanziosi dei due professori. Ma l’insegnamento si ferma all’università; a casa, sono i figli a domandare, a captare i segnali negativi di un male che si sta insinuando tanto all’interno di un nucleo familiare quanto nello spazio geografico. Jack sa tutto di Hitler, ma poco dei suoi figli.
Babette vive in un mondo completamente a sè stante: i due membri della coppia cercano in ogni modo di trovare un appiglio, una scorciatoia per rifuggire il pensiero intrusivo per eccellenza, quello di non avere abbastanza tempo. Ed è qui che Baumbach ci offre maggiore intensità dal punto di vista della scrittura, “sorella” del meraviglioso Storia di un Matrimonio: infilandosi nei meandri di un dramma emotivo, di una circoscrizione mentale che diventa però estremamente materica, tattile, assumendo perfino forma fisica: quella di una pillola bianca, dalla composizione incerta, che contiene il rumore assordante di psicologie in frantumi, quelle di uomini che si professano grandi comunicatori, ma in realtà perdono vigore proprio nella fatica di confessare che qualcosa non va.
La cospirazione come legge matrimoniale

Se il libro di De Lillo è assurto ad archetipo della letteratura postmoderna, con Rumore Bianco Baumbach si appropria di una narrazione estremamente stratificata, ma riadattata al suo marchio registico da dark comedy, alla The Squid and The Whale (2005), non riuscendo tuttavia a impostare al meglio i momenti che effettivamente avrebbero goduto di satira pungente. Il fantomatico evento tossico aereo non è nulla rispetto al vero dramma, è – appunto – un Rumore bianco (White Noise), che attutisce qualcosa di molto più profondo e potenzialmente pericoloso.
Rumore Bianco: un adattamento silenzioso
La catastrofe se ne va via con la stessa velocità con cui è piombata ad Iron City, è un frangente fulmineo, dinamico dal punto di vista registico, ma che non assume la stessa pregnanza visiva e simbolica che gli è associata nel romanzo. È la preparazione che porta al tragico evento spartiacque, perpetrato da un lasso di tempo indefinito in cui all’interno delle famiglie americane, a metà anni ‘80, hanno iniziato ad insediarsi le fatiche comunicative, la dissociazione dal ruolo a cui si dovrebbe tenere testa in nome del presagio negativo, caricato a dismisura dalla comunicazione mediale. Nel film vi è un ribaltamento dei ruoli: sono i professori a diventarsi giornalisti, di cronaca, politica, vere e proprie sibille che impiegano il loro tempo nel sensazionalizzare figure e ideali del passato e incapaci di reagire e prendere atto dei cambiamenti del presente.
Rumore bianco (White Noise) è un adattamento silenzioso, gentile nei confronti del genere di appartenenza di Baumbach, ma non altrettanto nei confronti di personaggi surclassati dai nomi delle star che li impersonano. La difficoltà di passaggio da un genere all’altro si concilia a fatica con la vastità di una base di partenza stratificata, aperta a plurivoche interpretazioni e, soprattutto, controversa. Una pillola che piace sicuramente a Babette e andrà bene anche su Netflix, un ritorno forse un po’ sottotono di Baumbach, fagocitato dalla sovraesposizione ai rumori bianchi.
