Suzume, la recensione dell’anime di Makoto Shinkai

Presentato alla 73° edizione della Berlinale, il film è il settimo lungometraggio del regista nipponico

Suzume recensione film

Quando nel 2016 arriva al cinema Your Name, Makoto Shinkai – sia alla regia che alla sceneggiatura – è inondato da uno straordinario successo. Applaudito da pubblico e critica, il film guadagna ben 382 milioni di dollari in tutto il mondo, trasformandosi in una delle pellicole d’animazione con i migliori incassi di sempre. A sette anni da quel capolavoro tecnico e artistico, nel cui mezzo c’è stato anche Weathering with You (2019), il regista giapponese torna al cinema con un’altra storia di lotte e passioni: Suzume, presentato alla 73° edizione della Berlinale.

 

Il film, distribuito nelle sale asiatiche l’11 novembre scorso, ha percepito ¥35.5 miliardi di yen, ri-confermando anche la bravura di Shinkai e la sua sensibilità verso narrazioni profondamente complesse. Il racconto, in cui sono presenti figure folkloristiche nipponiche e il cui terremoto che ha devastato Tohoku nel 2011 ne costituisce fulcro e tematica, arriva nelle sale italiane il 27 aprile, distribuito da Sony.

Suzume, la trama

Nella regione di Kyūshū, nel sud del Giappone, vive Suzume, una diciassettenne energica che però dentro di sé porta il peso di un grande dolore: la morte della madre, avvenuta per colpa di un terrificante terremoto. Un giorno, mentre è intenta ad andare a scuola, la giovane incontra un misterioso ragazzo alla ricerca di rovine. Dopo avergli indicato una zona del villaggio abbandonata, Suzume decide di seguirlo di nascosto dove lo trova intento a chiudere una porta dalla quale fuoriesce un mostro di fumo rosso.

La ragazza, seppur spaventata aiuta Sota (questo il suo nome) a confinarlo nell’Altrove, regno dal quale proveniva, scoprendo così che l’entità con la quale si era interfacciata si chiama Verme, un provocatore di terremoti. Quella, poi, non è l’unica porta dal quale può fuoriuscire, ma ce ne sono tante sparse per il Giappone. Compito di Sota è richiuderle tutte. Ma quando un gatto, che si scopre essere una divinità, trasforma il ragazzo in una sediolina giall, la ragazza sarà costretta a continuare la missione da lui intrapresa, se non vuole che il suo Paese venga distrutto.

La bellezza narrativa di Suzume

Materia narrativa di molti registi nipponici, fra cui il celebre Hayao Miyazaki, è la dualità uomo – natura e tradizione – modernità, che spicca nella poetica di Shinkai. Anche in Suzume è presente il passaggio dal paese all’urbe, con tutti i cambiamenti che ne derivano, e l’affrontare una natura che da madre benevola diviene assassina spietata. Ma ad elevare la portata drammatica del racconto non è solo, in questo caso, la minaccia dei terremoti o il distacco fisico dalla propria terra, bensì l’elaborazione de lungo lutto della protagonista che, durante il solitario viaggio, si ritrova per forza di cose ad affrontare un forte trauma: la morte della madre.

Per focalizzarsi sulla caratterizzazione di Suzume, di cui si assimilano le sofferenze attraverso incubi e memorie, il regista rinuncia all’approfondimento psicologico dei suoi comprimari, fra questi proprio Sota, compagno di viaggio della diciassettenne. Tale mancanza è però magistralmente colmata dal character design di Suzume, stratificato, dettagliato e curato con estrema precisione. Di lei si coglie ogni mutamento d’umore, fotografato da incantevoli primi piani, i quali trasmettono il dolore e la tenacia di una giovane che deve misurarsi sia con le difficoltà del mondo esterno, che con le sue crepe interiori. Costretta ad affrontare da un lato una battaglia contro le calamità naturali, dall’altro un difficile viaggio di crescita, che la porterà a perdonare se stessa e comprendersi meglio.

Cieli stellati e acque cristalline

Il percorso itinerante di Suzume, che si trascina per tutto il Giappone con Sota (trasformatosi nella sua sedia gialla), permette alla storia di alternare momenti di estremo pathos, nei quali la giovane deve chiudere le porte dell’Altrove, e attimi di divertissement, grazie ad alcuni simpatici sketch proprio con la sediolina. A supporto di uno sceneggiato così intenso e compiuto, arriva un’estetica maestosa. Grazie infatti al viaggio, che funge da espediente artistico e da pretesto, Shinkai invita lo spettatore a immergersi nei suoi paesaggi vividi, le cui ambientazioni cesellate al millimetro garantiscono un’esperienza al tempo stesso fascinosa e spaventosa. Dal sole che si staglia sul mare, rendendo la sua superficie un letto di cristalli luccicanti, al cielo violetto ricoperto di stelle, fino al fuoco ardente dell’Altrove, tutto sembra estremamente reale ed evocativo. Una spettacolarità che innalza ancor di più il racconto già di per sé travolgente e sensoriale, e che si accende maggiormente nella variegata palette di colori e campi lunghi, grazie ai quali le immagini diventano sfavillanti affreschi.

Fra mito e realtà

Ma l’operazione di Shinkai non si limita a regalare visioni estatiche e intrecci avvincenti. Rappresentare la cultura del Sol Levante, inserendo anche delle parentesi storico-contemporanee del Giappone è una delle priorità del regista. Come dicevamo in apertura, il terremoto del 2011 è uno degli espedienti narrativi di Suzume, oltre che centro attorno al quale gravitano le dinamiche. Una ferita ancora aperta per il Paese, che Shinkai rende visivamente concreta facendola diventare sia la causa del lutto della protagonista, che l’”antagonista” della storia stessa. I terremoti minacciano ancora quella terra, e nel film sono rappresentati da un gigantesco Verme rosso scuro, un colore che fra l’altro simboleggia il pericolo e la minaccia. Il suo abbattersi in varie aree del Giappone è la prova che ancora oggi quel popolo vive nella paura di altri disastri.

Il regista però sembra volerla esorcizzare questa paura, condendo il film di bellezze mitologiche e religione. Le quali si incarnano principalmente nella presenza di un gatto, una pietra-sigillo con il compito di contenere il Verme (che si rifà molto alla figura, sempre folkloristica, del Namazu, un pescegatto che dà origine ai terremoti). Il felino che la protagonista insegue per tutto il tempo è una sorta di divinità protettrice, ed è rappresentato con una coda biforcuta, chiaro rimando alla figura soprannaturale del nekomata. E così in Suzume fantasia, realtà e credenze si mescolano, plasmando una storia dalle grandi suggestioni, che brilla di spettacolarità e profondità, e che fa di Makoto Shinkai un grande e sensibile artista.

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RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Valeria Maiolino
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Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.
suzumeShinkai torna al cinema con una nuova intensa storia, in cui l'elaborazione del lutto e il terremoto che colpì Tohoku nel 2011 ne sono la chiave principale. Con una rappresentazione sempre curata e precisa dell'ambiente e dei dettagli, il regista trascina lo spettatore in un'atmosfera evocativa e spettacolare, che rende il racconto ancor più intenso ed emotivamente carico.