La sala Professori, recensione del film tedesco candidato all’Oscar

Un furto in una scuola elementare porta a una serie di indagini che complicano la vita di un insegnante di matematica. 

La sala Professori recensione

Una congrega di ansia e odio che aumenta di intensità con il passare del tempo e disattiva gradualmente il pensiero razionale delle persone coinvolte, trasformandosi in una guerra aperta in cui le strategie più sporche e ingannevoli sono all’ordine del giorno. È così che si potrebbe riassumere The Teacher’s Lounge (La sala Professori), film diretto da Ilker Catak, presentato al Festival del Cinema di Berlino 2023 e candidato all’Oscar nella categoria del miglior film internazionale.

 

Al centro della trama di La sala Professori vi è un incidente scolastico particolare, che mette in scena una complessa e terrificante radiografia sociale, in cui il diritto alla privacy, la responsabilità accademica e la stigmatizzazione sociale vengono passati al microscopio, con una sapiente critica all’idiosincrasia e alle politiche di tolleranza zero prevalenti in Germania.

La sala Professori, la trama: caccia al colpevole

Nella scuola dove Carla insegna matematica ed educazione fisica, gli insegnanti e il personale sono preoccupati. Da qualche tempo si verificano una serie di furti di denaro che non riescono a risolvere e cominciano a diventare paranoici. A modo loro, cercano di convincere gli studenti a collaborare, ma questa richiesta li trasforma in qualche modo in potenziali informatori, cosa che Carla trova eticamente problematica. Ma come risolvere il problema?

Le autorità scolastiche e l’insegnante hanno opinioni diverse sulla situazione. Non esitano a entrare in classe e a chiedere agli studenti di mostrare il contenuto dei loro portafogli, cosa di cui Carla è inorridita. Allo stesso tempo, la scuola deve mantenere un fronte unito e non mostrare alcuna esitazione di fronte a potenziali “ladri”. Come affronteranno la situazione? Ben presto la stessa insegnante inizia a dubitare di tutti, ma se a rubare fossero gli insegnanti o il personale anziché i ragazzi?

Per verificare se ha ragione, Carla (Leonie Benesch) prenderà una decisione difficile. Dopo averlo messo in bella vista nella sala del personale, lascerà il portafoglio con i soldi nella tasca del cappotto e se ne andrà in classe. Farà un’altra cosa, altrettanto o più complicata: lascerà il computer aperto, affinchè la webcam possa riprendere tutto ciò che accade. Quando torna dalla lezione, come sospettava, è stata derubata. Gli indizi a cui risale dalla registrazione della webcam – un braccio, una felpa dal design preciso – le bastano per arrivare a una presunta soluzione e, senza troppi problemi, va ad accusare quella che ritiene essere la diretta interessata: è qui che iniziano i veri problemi.

Un’indagine sul sistema scolastico con ribaltamento di ruoli

La sala Professori immagina una situazione complessa in cui non esistono soluzioni o vie d’uscita facili. Dalla denuncia in poi, le cose si complicheranno ulteriormente in tutta la scuola: è etico riprendere il personale con una webcam all’insaputa di tutti? È possibile accusare qualcuno con avendo un indumento come unica prova? Quali sono le principali conseguenze di questo modo di lavorare con gli studenti e di educarli a un sistema di denuncia?

Ben presto, tutto diventa una sorta di guerra. Da un lato, tra studenti e insegnanti, soprattutto con Carla. Per quanto si sforzi di essere “comprensiva”, peggio la situazione diventa per lei. Dall’altro, tra insegnanti e autorità, che non riescono a trovare un accordo sull’atteggiamento da tenere nei confronti della situazione. Non compaiono né i soldi né i colpevoli e l’accusata non solo assicura che non si tratta di lei, ma si rivolge aggressivamente contro i suoi accusatori, coinvolgendo altre persone. Persone che forse non hanno tanti elementi per gestire la situazione.

Çatak riesce a dare al film un’interessante ambiguità. Non ci sono eroi o cattivi, almeno non in termini assoluti. Ci sono diversi gruppi di persone che adottano atteggiamenti discutibili ma, allo stesso tempo, comprensibili per la loro specifica situazione nell’ecosistema scolastico. I bambini iniziano a ribellarsi all’autorità, gli insegnanti non hanno le idee chiare su cosa fare (e non riescono a mettersi d’accordo tra loro) e quella bella scuoletta che abbiamo visto all’inizio in cui si canta una canzone del “buongiorno” si trasforma in un luogo dove dove botte, spintoni, urla, vetri rotti e minacce aggressive sono all’ordine del giorno.

The Teacher's Kounge, Oskar

L’immagine in tensione di La sala Professori

Con echi di altri film a sfondo scolastico come Essere e avere, L’onda e La classe – Entre les murs, il racconto di The Teacher’s Lounge, che si svolge interamente all’interno dell’edificio scolastico, presenta un’escalation di controversie la cui vittima principale non è tanto l’insegnante accusata o Carla – affiancata contemporaneamente dalla pressione irriverente dei ragazzi e dall’intransigenza dogmatica dei colleghi – ma la verità.

Ilker Catak ambienta il suo nuovo film in una scuola per analizzare nel dettaglio non solo il comportamento dei bambini, ma anche quello degli adulti che li educano. Piano piano, La sala Professori rivela la sua natura di thriller con uno spirito da mitragliatrice, che spara continui dilemmi morali allo spettatore senza dargli il tempo di digerirli. Gli insegnanti si tolgono presto le maschere di cordialità con cui nascondono il loro turpiloquio, la loro profonda mancanza di umanità, il loro egoismo e la loro scarsa capacità di educare gli alunni; i genitori fanno di tutto per ripulire la buona immagine dei figli, anche a costo di negare le loro colpe; i più giovani replicano il comportamento dei più anziani con inquietante cattiveria.

Per questo motivo, Catak opta per una messa in scena di tipo documentaristico che utilizza la camera a mano, i movimenti veloci e i primi piani soffocanti come strumenti per mettere in tensione l’immagine, fino ai titoli di coda, fino a trasformare lo schermo nel più spaventoso degli incubi; fino a trasformare, insomma, la sala cinematografica in una cantina di tortura.

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