Siamo sicuri che a sentire titoli del calibro di Scarface, Carlito’s Way, Carrie – Lo Sguardo di Satana, Il Falò delle Vanità, Mission: Impossible e Gli Intoccabili, solo per citarne una manciata in una lista di ventinove, può tornarvi alla mente solo un unico, grande nome: Brian De Palma. Classe 1940, terzo di tre figli, personaggio dall’aspetto un po’ rude ma dall’animo gentile, in netto contrasto con molti dei suoi film in cui si celebra la violenza più spietata. Un uomo divenuto un simbolo della sua generazione, che conta gente sconosciuta come Steven Spielberg, Martin Scorsese, George Lucas, e capace di ritagliarsi uno spazio e uno stile propri, di creare nuovi linguaggi. Oltre al pubblico, che lo osanna da oltre quarant’anni, lo sanno bene anche Jake Paltrow e Noah Baumbach (regista rivelazione di Frances Ha), che dopo dieci anni di chiacchierate sul suo cinema e sul suo modo di fare cinema hanno deciso di girare un documentario a lui dedicato.

Una masterclass in piena regola, che vi farà venire voglia di procurarvi una macchina del tempo e tornare almeno quarant’anni indietro, solo per studiare cinema negli USA. Di catapultarvi in un’epoca in cui Robert De Niro era vostro compagno di corso, si girava in continuazione e Steven Spielberg vi telefonava dalla sua auto, essendo fra i primi americani ad avere un telefono fisso nell’abitacolo della macchina. Tutto all’ombra di Alfred Hitchcock, il deus ex machina che tutto ispira, tutto crea, che dal primo momento di lucidità cinematografica ha segnato la personalità di De Palma, e il suo modo di vedere la settima arte. Spingendolo ad andare oltre, a impiegare anche giornate intere per una sola inquadratura, un solo movimento di macchina, nell’imbarazzo generale della produzione. Una metafora dell’andare oltre, del vedere cose che altri non vedono, il “Break on through to the other side” dei Doors, necessaria a lasciare un solco profondo nella storia.
